“Il capolavoro di Caravaggio dovrebbe restare a Palazzo Barberini !”. Maffeo Barberini tra il quadro di Caravaggio e il marmo del Bernini: Vania Colasanti ne parla con Urbano Barberini, discendente del Pontefice.

di Vania COLASANTI

Vania Colasanti, nota giornalista e scrittrice (ultimo lavoro Inseguendo Caravaggio, per i tipi di Baldini e Castoldi, 2024 Cfr. https://www.aboutartonline.com/inseguendo-caravaggio-un-volume-particolare-sul-genio-lombardo-lautrice-vania-colasanti-ne-parla-ad-about-art/  ) esordisce su About Art con questa intervista ad Urbano Barberini, attore e sceneggiatore, oltre che discendente del nobile casato, in occasione della presentazione a Palazzo Barberini del Ritratto di Maffeo Barberini, un dipinto conosciuto in particolare dagli addetti ai lavori per essere stato pubblicato in cataloghi e studi d’arte, ma per la prima volta eccezionalmente esposto in pubblico fino al 23 Febbraio (vedi in questo numero l’articolo di Nica Fiori).   

«Nello sguardo colto da Caravaggio in Maffeo Barberini, che non è stato ancora eletto cardinale, si coglie tutto il desiderio di emergere, di ascesa. L’occhio è vigile, attento. Invece nel busto del Bernini, che lo ritrae quando è Papa Urbano VIII, c’è la consapevolezza di chi ce l’ha fatta».

L’attore Urbano Barberini, discendente del pontefice che attraverso il Barocco riporta Roma al centro della scena culturale mondiale, in occasione della mostra “Caravaggio. Il ritratto svelato”, mette a confronto le due opere che ritraggono il suo antenato di cui porta nome e cognome. Così come ha chiamato Maffeo il figlio di 6 anni.

Urbano Barberini davanti al ritratto del suo avo realizzato da Caravaggio
Urbano Barberini davanti al ritratto del suo avo realizzato da Bernini

«Un uomo che veniva da una famiglia di commercianti di tessuti, originaria di Barberino Val d’Elsa, vicino a Firenze, e che inizialmente si chiamava Tafani, con infatti tre grandi mosche nere nello stemma. Una volta a Roma compie una vera e propria operazione di marketing, oggi si direbbe rebranding. Riprende il nome dalla sua terra d’origine e cambia i tafani in api, consapevole del simbolo anche spirituale di quegli insetti operosi che hanno una gerarchia, come la Chiesa e hanno la capacità di trasformare gli elementi, creando il prezioso miele. Maffeo Barberini riesce a emergere tra le grandi famiglie romane da outsider, facendo politica attraverso una rivoluzione culturale, proprio come era avvenuto in epoca romana con l’imperatore Augusto. E quella tensione, quella brama di quando lui è ancora monsignore, sebbene temperata parzialmente dalla sua enorme cultura, la ritrovo nel ritratto di Caravaggio, nella tensione del corpo, nello sguardo intelligente, acceso nel presente. In quel volto si capisce che è ancora rampante».

Nell’opera di Merisi, il gesto quasi improvviso compiuto dalla mano destra che buca lo spazio racconta lo stato d’animo di un uomo dinamico, in movimento. Un uomo che ci parla anche nel silenzio. L’occhio è acceso da un lampo di luce, grazie a una pennellata di biacca che dà intensità e rivela la sua fame di fama. La stessa che in fondo aveva Caravaggio.

Grazie alla mostra a Palazzo Barberini, dove è esposto ora il quadro appartenente a una collezione privata, si può ammirare anche il ritratto marmoreo dello stesso soggetto eseguito da Gian Lorenzo Bernini una trentina d’anni dopo, ai tempi in cui Maffeo è Papa Urbano VIII.

«In quest’ultimo caso – prosegue l’attore che ha da poco pubblicato il libro La bellezza nel destino per Sperling & Kupfer e che sta ultimando insieme a Daniele Falleri il suo prossimo spettacolo Barbari, Barberini e Barbiturici, in scena dal 17 al 19 gennaio al teatro Off/Off di via Giulia – si coglie la grande confidenza che aveva l’artista con il pontefice. Era infatti l’unico a poterlo incontrare senza appuntamento, conversava con lui fino a tardi, gli chiudeva le persiane prima di andar via. Un rapporto padre-figlio, da quando gli era stato affidato artisticamente da Papa Paolo V Borghese, in tempi in cui lo scultore era poco più che un bambino e già stupiva tutti con la sua bravura. Nel busto del Bernini è ritratto un uomo che è entrato in un’altra dimensione. Il rapporto tra committente e artista è talmente profondo che lo scultore può permettersi di ritrarlo in un momento privato, con due apparenti sciatterie legate alla fretta: la leggera ricrescita della barba e il bottone non perfettamente inserito nell’asola. Ma soprattutto ha un atteggiamento più rilassato, rispetto agli anni in cui lo ritrasse Caravaggio, perché ormai ha ottenuto il sommo riconoscimento per il quale aveva tanto lottato.

Il confronto delle due opere a palazzo Barberini è possibile solo per il tempo della mostra dedicata al ritratto realizzato da Michelangelo Merisi, ovvero fino al 23 febbraio. E per questo dobbiamo ringraziare il direttore Thomas Clement Salomon che ha permesso di mostrare per la prima volta al pubblico quest’opera straordinaria, curando l’esposizione con la storica dell’arte Paola Nicita. Un’occasione unica. Ma sarebbe auspicabile che il ministero dei Beni Culturali si adoperasse per far restare quel capolavoro nel luogo che gli è più consono, ovvero alla Galleria Nazionale di Arte Antica di Palazzo Barberini. Sarebbe un investimento certamente produttivo, considerando che i beni culturali sono la principale attrattiva del nostro Paese. Il mio appello è che lo Stato possa riacquistare l’opera di Caravaggio e riportare Maffeo finalmente a casa sua».

Vania COLASANTI  Roma  24 Novembre 2024