di Vitaliano TIBERIA
ICONICO, di FABIO SPATARO
Visitando, la scorsa settimana, la mostra ICONICO, di Fabio Spataro (Napoli 1974) nella Galleria Arteca 32 ad Ostia (fig.1), ho rivissuto la magia dell’anticonformismo espressionistico declinato in più forme, come polimorfico e per certi aspetti contraddittorio è stato l’Espressionismo storico italiano, da Gino Rossi ad Arturo Martini, ad Adolfo Wildt, ad Ardengo Soffici, a Lorenzo Viani, il cui Cieco, nella Galleria Farsetti di Prato, sublima l’incontro “assurdo” del pastello con la linea disegnativa; tema, questo, non secondario nell’estetica di Spataro, in cui trovano spazio, come ha ricordato anche Paola Martusciello, le suggestioni germaniche del gruppo Die Brücke coniugate da Munch, Kirchner, Egon e Schiele
Attraverso una poetica espressionistica declinata in forme intrise di esistenzialismo ora audace ora rasserenante Spataro riscopre il piacere del fare pittura e lo fa ponendosi in alternativa iconica, nell’accezione greca di questo termine oggi abusato, a quelle tendenze contemporanee avanguardistiche rivolte all’assolutezza dell’introspezione psicologica e allo scandaglio delle ideologie che costruiscono operazioni estetiche fondate su istallazioni o su concettualismi universalizzanti, talora al limite della caricatura, se non dello sberleffo.
L’Espressionismo storico, nato come critica all’ottimismo della figuratività, è reinterpretato da Spataro senza risentimenti nel foro interiore della coscienza, esprimendo (sono sue parole)
«suggestioni e reminiscenze che si mescolano a quelli che sono già i tratti più autentici del fare pittura».
E’un’estetica vivace che non si rassegna all’ascolto di segnali provenienti da un mondo conformistico appiattito sul virtualismo della pre-destinazione benintesa, perché Spataro ha fiducia nello spirito libero di volare, muovendo con forza anche dai sogni, sia pure talvolta attraversati da incubi e liberazioni, con un’espressività dei volti e della materia trattata che rinvia alla potenza dei Fauves, cui non fu estraneo il magistero di Gauguin. Ampliando questa eredità luminosa, Spataro non poteva non rivolgersi anche a Van Gogh, da cui mutua una pittura visionaria e talora “violenta” traduttrice di «suggestioni e reminiscenze» attraverso esplosioni di colori, ma anche con allucinate irruzioni sulla tela di rare sovrapposizioni di bianchi su bianchi (fig.2).
Costruendo ardite variazioni e sovrapposizioni cromatiche, Spataro teorizza il pensiero filosofico classicheggiante, per cui attraverso l’uso della linea disegnativa, si può raggiungere la «sintesi tra corpo e spirito, tra forma e idea», in un itinerario costruttivo che rievoca l’estetica originale idealistica delle “due vie” e della “costituzione dell’oggetto” e della “formulazione dell’immagine” di Cesare Brandi. Una dimensione in cui, riandando ad Alberto Burri, la linea, il disegno hanno valore spirituale, ma anche, come avverte lo stesso Spataro, sono «sintesi, semplificazione, passione per l’essenziale».
Da questa speculazione nascono i brillanti studi su Klimt (figg. 3-5), calligrafici e intessuti d’oro ma anche intrisi di nostalgia per le tessere aureee di un mosaico medievale;
ma l’approdo di raffinata bellezza dura un attimo: Spataro, infatti, disincantato, riprende la disillusione del pensiero classico dell’Et in Arcadia ego, per cui non si sfugge al dolore e alla morte, e fa suo l’Urlo di Munch, che riecheggia in Dolore, mentre recupera anche in Maschere (fig. 6) la drammatica Entrata di Cristo a Bruxelles, di Ensor, nonché (lo ha ricordato Francesco Abbate) il disperato esistenzialismo di Bacon.
Il risultato di questo travaglio dell’anima sono dunque Dolore e Maschere. Ma una citazione a parte merita Pensatore (fig. 7), del 2024, un approdo che è anche una misurata quanto sommessamente ironica parodia dell’intellettuale, colorato dalla sintesi cromatica del nero, ma racchiuso (forse prigioniero?) in una teca rettangolare sbilenca ed isolato dal mondo esterno, che, nonostante le sue intense speculazioni, continua a brillare di colore rosa.
E’ questo un esito geometricamente razionalizzato formatosi dopo l’esperienza introspettiva delle Teste, grumi materici informi di colore bianco e nero (figg. 8-10),
e del visionario Uomo pensante (fig. 11),
che evocano il libero pensiero di un grande del gruppo Die Brücke, E.L.Kirchner, quando ricordava la libertà della pittura, in quanto «arte di rappresentare su di un piano un fenomeno sensibile», precisando che
«Il mezzo della pittura è il colore, come fondo e linea. Il pittore, -aggiungeva Kirchner- trasforma in opera d’arte la concezione sensibile della sua esperienza»;
e ancora:
«La sublimazione istintiva della forma nell’avvenimento sensibile viene tradotta d’impulso sul piano», così che «L’opera d’arte nasce dalla trasposizione totale dell’idea personale nel lavoro».
Pensieri da cui scaturì una pittura che traduceva i disagi intimi, le fratture esistenziali, i rarissimi momenti di serenità in disegni dalle linee drammaticamente guizzanti fra colori vividi e innaturali; in questo filone si distende ora la poetica espressionistica di Fabio Spataro.
Vitaliano TIBERIA Roma, 24 Novembre 2024.