di Federica FACCHINI
Salvifica. Il Sassoferrato e Giovanni Manfredini tra pelle e profondo, a cura di Federica Facchini e Massimo Pulini, Palazzo degli Scalzi e Chiesa di San Michele Arcangelo, Sassoferrato (Ancona), 11 ottobre – 26 gennaio 2025;
Salvifica è un progetto espositivo triennale che dal 2022 è stato promosso e ospitato nella città marchigiana di Sassoferrato (AN) nell’ambito della longeva Rassegna Internazionale d’Arte/ Premio Salvi, giunta quest’anno (2024) alla sua 73^ edizione.
Un percorso che ha voluto innescare un dialogo serrato e fecondo tra antico e contemporaneo, affiancando al nume tutelare di Giovan Battista Salvi, interlocutori contemporanei che hanno intrapreso nella individuale ricerca e pratica artistica, un percorso introspettivo e di meditazione sull’uomo, sull’arte e sul tema del sacro.
Salvifica è un termine nato sicuramente dall’assonanza con il cognome del pittore sentinate e dalle suggestioni mosse dalla sua grazia pittorica e dal suo spirito ricco di fervore devozionale. Allo stesso modo è un termine che ribadisce la profondità della ricerca pittorica di quei protagonisti che hanno dimostrato nel loro percorso artistico una “forza” – visiva, spirituale, filosofica ed esistenziale – da poter essere affiancati al Salvi, attraverso una pratica rigorosa che si fa tramite per addentrarsi alla sfera del sacro.
Artisti che hanno la capacità di invitare l’osservatore a percorrere assieme un’indagine, un cammino fatto di silenzio, di sobrietà, di sedimentazione, di pulizia dalla ridondanza e dalla superficialità, per condurlo senza distrazioni ad osservare la realtà con atteggiamento contemplativo.
Le tre edizioni di Salvifica hanno ribadito nelle parole di un sottotitolo, delle affinità, dei punti di contatto tra le ricerche di due artisti che pur a secoli di distanza, hanno dimostrato un dialogo vivo e fecondo. La 71^ edizione che metteva in relazione la pittura del Salvi con quella di Nicola Samorì aveva come sottotitolo Tra rito e ferita. La 72^ con Ettore Frani metteva in luce Tra luce e silenzio il concetto della pratica pittorica come luogo di autentica e profonda esperienza meditativa.
Quest’anno è la poetica di Giovanni Manfredini (Pavullo nel Frignano, Modena, 1963) a rappresentare un ulteriore e profondo terreno di confronto.
L’artista emiliano non è nuovo al raffronto con l’antico. Già nel 2010 espose due grandi opere in “dialogo” con la Crocifissione di San Pietro e la Conversione di San Paolo del Caravaggio nella Cappella Cerasi della Basilica di Santa Maria del Popolo a Roma. Nel 2018, presso il Museo della Città di Rimini presentò Corpo Sacro, opera posta in relazione con la Pietà di Giovanni Bellini e con il crocifisso ligneo di Giovanni Teutonico. Nel 2021, in omaggio alla scomparsa del grande compositore Ennio Morricone, l’opera Stabat Mater Dolorosa veniva ospitata ed esposta nella chiesa di Sant’Agostino a pochi metri dal dipinto Madonna dei Pellegrini di Caravaggio.
Quest’anno Manfredini si è misurato in un nuovo e inedito dialogo con otto dipinti inediti di Giovan Battista Salvi (Sassoferrato, 1609 – Roma 1685) e due di Alessandro Mattia da Farnese (Farnese 1631 – post 1681), provenienti dal mondo collezionistico e antiquario.
Anche la pittura di Manfredini dunque può ritenersi Salvifica perché con il Sassoferrato condivide una visione contemplativa e di sospensione del tempo. La sua è una pittura misteriosa, potente, vitalistica, un inno alla vita ma anche inno alla morte come liberazione, emancipazione, catarsi, come superamento dei limiti e della sofferenza dell’uomo.
Nel percorso espositivo ad un certo punto, ci si imbatte in un’opera su cui campeggia la parola “ViVi” fatta di ombre proiettate da sei lunghi chiodi arrugginiti, simili a quelli della Crocifissione, “cicatrizzati sulla pelle del quadro”, una serie inaugurata nel 1993 che rappresenta una tappa fondamentale per i successivi esiti formali ed etici del suo lavoro.
In quegli anni infatti inizia la ricerca di un nuovo linguaggio, aperto sul rapporto tra la superficie dell’opera e il potenziale della materia organica, utilizzando una tecnica pittorica su basi preparate con polvere di conchiglia e ruggine.
Il sottotitolo della Salvifica di quest’anno è “Pelle e Profondo” a sottolineare anche la tecnica messa a punto da Manfredini che permette di percepire qualsiasi dettaglio epidermico.
La pelle dell’artista si fa diaframma, membrana, si fa canale energetico perché diviene pennello, mezzo per trasfondere nel quadro un frammento di vita. Pur essendo epidermiche le opere si addentrano nelle viscere dell’essere, nel profondo. E profondo è il suo nero, magmatico e misterioso, che introduce all’intuizione e alla contemplazione dell’Altro, del trascendente, dell’insondabile, dell’incomprensibile.
Nell’opera e nella ricerca di Giovanni Manfredini la corporeità è stata protagonista come soggetto centrale e pratica diretta, come tema e tecnica, un’autorappresentazione dai significati universali.
La concretizzazione del corpo avviene nel 1994 con il ciclo “Tentativo di Esistenza“.
Unendo performance ed esistenzialismo a espliciti rimandi all’arte sacra, queste opere eseguite mediante il calco corporeo impresso su velature di nerofumo, poi trattato pittoricamente, segnano l’apice della ricerca formale e simbolica dell’artista.
Un metodo di lavoro affinato nel tempo, attraverso tante sperimentazioni, che ha dato il via a una pittura nuova dal punto di vista tecnico e ha imboccato una strada inedita, deviando dalla tradizione pur mantenendone un’esperienza.
Nel suo lavoro si sedimentano, precipitano, esperienze artistiche che provengono dalla pittura seicentesca, come l’osservazione del trattamento della luce carico di contenuti spirituali e altamente simbolici, fino alle esperienze tardo novecentesche della Body art e dell’Arte Povera.
Non a caso l’elemento del fuoco riappare nella sua vita – dopo una prima volta che lo portò quasi alla morte a soli due anni a causa di un incidente – come strumento pittorico attraverso l’uso del nero-fumo. Il fuoco per i suoi significati generativi e distruttivi porta con sé una serie di implicazioni che incarnano perfettamente la concezione della natura come madre e matrigna, malevola e benevola al tempo stesso.
Utilizzato nel corso del Novecento da artisti come Yves Klein, Arman, Burri, Kounellis, Nunzio, Marina Abramović, Claudio Parmiggiani il fuoco è materia organica che rappresenta il trauma, la potenza della degenerazione, della consunzione ma anche della creazione e della luce.
Con Manfredini il fuoco diviene materia per creare un nero profondissimo e assoluto, che con varie stesure e trattamenti si fa anche superficie specchiante. Uno specchio sul quale l’artista riflette e proietta le inquietudini, le complessità dell’esistenza e del proprio presente.
Dunque questa dialettica tra luce e nero diventa l’emblema per esplorare analizzare, sviscerare, destrutturare e ricomporre l’eterno conflitto, l’eterno rapporto fra corpo, dimensione fisica e carnale) e sacro, fra purificazione e peccato, fra estasi e punizione, tra redenzione e dannazione.
Il Nero Manfredini rappresenta così a mio avviso, una zona liminale a quel mysterium tremendum et fascinans che designa il Sacro, secondo l’analisi dell’esperienza religiosa proposta da Rudolf Otto[1].
Giovanni si è proiettato interamente nella sua arte, lasciando ogni volta sé stesso all’interno delle sue opere a documentare diversi stati della sfera emotiva, per questo i Tentativo di Esistenza sono intrisi di esistenzialismo.
Ogni volta ha depositato una parte di sé che dapprima si è dispersa e che successivamente si è rigenerata sulla superficie. La sua arte infatti desidera essere rigenerazione di sé stesso, l’esaltazione di una bellezza legata al tormento. Sono alter ego, corpi fermati nell’estasi di un momento sospesi nella perenne dicotomia tra spirito e materia. C’è una forza sottesa a questi lavori, una forza generatrice. Un sodalizio di vita umana ed eternità artistica, dolore e bellezza.
Questi calchi corporei, ora impronte opaline, ora tracce sindoniche, ora simulacri di parti anatomiche che si materializzano in modo spettrale, emergono da una reale azione sulla tavola.
Una superficie trattata mediante reagenti tra cui una pasta vinilica mescolata a perlite, polvere di conchiglie macinate, bianca come un talco che distribuita sui pannelli in forma liquida, essiccando diventa una sostanza porosa, come una seconda pelle su cui poi l’artista stende velature di nero fumo, capaci di registrare i segni di una pressione.
L’artista premendo il proprio corpo sulla superficie rimuove parte di quella stratificazione e la sagoma appare per negazione, per sottrazione di materia.
Con successivi interventi pittorici l’impronta viene poi trattata e fissata, accrescendo la definizione e la plasticità dell’impronta, allontanandola dall’originale espressività performativa fino a trasformarla in una presenza umana a volte più definita altre meno, che emerge verso l’esterno.
Non c’è nulla di narrativo nelle opere di Giovanni Manfredini, tutto è vissuto nel presente. Ciò che viene svelato richiama alla mente immagini di martirio, di dolore, forme espressive vicine a un’iconografia di matrice sacra.
Al Palazzo degli Scalzi di Sassoferrato, nella corte centrale il visitatore è accolto dall’opera realizzata appositamente per questo evento, Solo Amore, realizzata con laterizi fatti a mano che compongono un cuore fatto di croci ed è dedicata alla città che lo ospita, alla sua storia e alla sua architettura
Opere come Giudizio Universale, Ipotesi del Volto di Cristo, Tentativo di esistenza evocano una profonda spiritualità e si proiettano sulla ricerca di una luce salvifica, per uscire dalla sofferenza umana e terrena.
Sono figure che lottano col buio, contemporaneamente esaltate da esso, cercano di uscire e trovare un proprio spazio nella Redenzione in costante rapporto tra materia e spirito, contingenza e trascendenza.
Come sottofondo sonoro alla visione della mostra, anche il brano musicale La via della croce, composto appositamente da Ennio Morricone per un’opera di Manfredini.
Esposte nella mostra sentinate per la prima volta, la serie delle Liturgie Cosmiche, sistemi ordinati e armonici in forma di spirale, denotano una connotazione più mentale, contemplativa, legata a una ricerca di armonia e di equilibri superiori.
Dal momento in cui “cosmo” si porta dietro il concetto greco di “ordine”, oltre a quello che nella tradizione biblica si definisce “Creato”, le Liturgie rappresentano un “universo ordinato”, cieli notturni, spazi siderali che diventano polifonie visive ad articolare galassie del pensiero e dell’immaginazione.
Le sfere luminose sono apparizioni in un’enorme energia dove lo spirito si riallinea e ritrova armonia lontano dal corpo e dalla materia. I tentativi dell’artista si ora spingono a organizzare il vuoto, a dare forma alle forze di un pensiero.
Nella Chiesa di san Michele Arcangelo, nel centro storico del Castello di Sassoferrato, sono installate infine tre altre grandi opere di Manfredini.
La caduta degli angeli ribelli che allude al conflitto tra il Bene e il Male, è perfettamente inserita nel contesto perché la chiesa di San Michele si trova sulla linea micaelica adriatica che dall’Irlanda arriva in Palestina passando per l’Italia: una linea immaginaria che rappresenta il colpo di spada con cui San Michele scaraventò il diavolo all’inferno. Nella Chiesa anche un video estratto dal pluripremiato film-documentario “Io spero paradiso” (Italia, 2023) diretto da Daniele Pignatelli, su iniziativa della Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti. L’attenzione è posta su un’opera liturgica realizzata da Giovanni Manfredini, in particolare l’Ostensorio – Pastorale della Misericordia realizzato con lamiere di una baraccopoli in Kenya. La scena si svolge durante una celebrazione religiosa sulla spiaggia di Lampedusa, luogo di arrivo e spesso di morte dei migranti.
L’arte di Manfredini, come tutta la grande arte, è il tentativo di articolare l’inarticolabile, di dare una forma alla forza, che è fatta di ossessioni, di pulsioni e di visioni, di rendere visibile l’invisibile, di stabilire una relazione con ciò che sfugge. Il sacro dell’opera non concerne i suoi contenuti ma la sua forza di apertura all’inedito, all’eterogeneo, all’inassimilabile.
Il compito dell’arte di Manfredini è interrogare la ferita assoluta dell’essere, della vita e della morte, e trasformare questa ferita in una poesia.
Federica FACCHINI Bologna 8 Dicembre 2024
Nota
[1] Rudolf Otto (Peine,1869 – Marburgo, 1937) è stato un teologo e storico delle religioni tedesco, il cui pensiero è alla base della filosofia della religione, della psicologia della religione, della sociologia della religione e degli sviluppi più moderni della teologia cristiana. La sua opera cardine fu Das Heilige (Il Sacro) pubblicata in Germania nel 1917 e tradotta dal grande storico del cristianesimo Ernesto Buonaiuti.
Bibliografia:
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Giovanni Manfredini – Daniel Spoerri, The Other Half of the Sky may be Obscured? Mostra presso Palazzo Ducale, Duomo, Museo Diocesano di Massa, Grafiche Aurora Verona, 2018;
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Corpo Sacro. Giovanni Bellini, Giovanni Manfredini, Giovanni Teutonico. Mostra presso Rimini Museo della Città, 2018;
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Giovanni Manfredini, Tutti Santi, Logos Modena, 2007.
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Alain Badiou, Lo splendore del nero. Filosofia di un non colore, Ponte alle Grazie 2018;
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Massimo Recalcati, Il trauma del fuoco. Vita e morte nell’opera di Claudio Parmiggiani, Marsilio Arte 2023;