di Giulio de MARTINO
Si vede a Roma – alla Galleria di Arte Moderna e Contemporanea di Valle Giulia – la grande mostra sui Futuristi italiani e la loro epoca. La felice congiuntura è corroborata dalla recente acquisizione – ad opera del MAXXI – di «Casa Balla»: l’appartamento d’arte in via Oslavia in cui Giacomo Balla, la moglie Elisa Marcucci e le loro figlie Luce ed Elica, si trasferirono nel 1929.
Non soltanto. La mostra alla GNAMC, ambiziosa e articolata, «multidisciplinare e coinvolgente per il grande pubblico» rispetto ad altre precedenti, si inaugura nella ricorrenza dell’ottantesimo anniversario della morte del fondatore del movimento futurista Filippo Tommaso Marinetti (Alessandria d’Egitto, 22 dicembre 1876 – Bellagio, 2 dicembre 1944).
L’esposizione è vasta e richiede una visita lunga e accurata. Gli oggetti in mostra sono circa 500, di cui 350 tra dipinti e sculture e poi disegni, manifesti e fogli letterari. L’allestimento è fantasioso e creativo, supera la divisione scolastica tra futurismo delle origini (1909-1918) e secondo futurismo (1919-1939) con una mostra che è suddivisa in sezioni espositive collegate fra di loro: «Prima del Futurismo», «Futurismo analitico e Dinamismo plastico», «Ricostruzione futurista dell’universo», «Arte meccanica», «Aeropittura», «Idealismo cosmico», «Eredità del Futurismo».
Sale tematiche sono dedicate al cinema e all’architettura futurista, mentre una sala è dedicata a Guglielmo Marconi (Bologna, 25 aprile 1874 – Roma, 20 luglio 1937) tecnologo, inventore e imprenditore considerato il «nume tutelare» della rivoluzione elettrica e telegrafica che sconvolse gli stili di vita del primo Novecento, al di qua e al di là dell’Oceano.
La mostra punta a contestualizzare le opere d’arte futuriste attraverso una “sociologia culturale” che le collega alle scoperte scientifiche e tecnologiche. Per questo, accanto ai dipinti e ai bronzi, si vedono «intensificatori di raggi x», fluoroscopi, automobili da corsa, motociclette e un idrovolante. I congegni fisici e gli innovativi mezzi di trasporto mostrano come la microfisica e la locomozione elettrica siano riuscite a trasformare i concetti tradizionali e ottocenteschi di vita e di velocità, di movimento e di distanza spaziale (in collaborazione con il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia “Leonardo da Vinci” di Milano). La narrazione che sorregge la mostra è, quindi, sia scientifico-sociologica sia storico-artistica.
Si comincia con l’innovazione avanguardistica degli orizzonti pittorici apportata dal divisionismo ed esemplificata dall’Autoritratto di Umberto Boccioni (Reggio Calabria, 19 ottobre 1882 – Verona, 17 agosto 1916) del 1905, in prestito dal «Metropolitan Museum of Art» di New York. Si procede con il confronto fra «Il Sole» di Pellizza da Volpedo (1904) e la «Lampada ad arco» (1909) di Giacomo Balla (Torino, 1871 – Roma, 1958), prestata dal «MoMA» di New York. Nodo tematico è il rapporto tra natura e tecnologia nelle arti di inizio Novecento.
La sequenza affascinante di dipinti che si susseguono materializza il dinamismo della cultura artistica futurista che corre in parallelo all’alfabetizzazione tecnologica della società occidentale giunta alle porte del Novecento. «Idolo moderno» di Boccioni e «Le Boulevard» di Severini, concessi dalla «Eric e Salome Estorick Collection» di Londra, «La rivolta» di Russolo del Kunstmuseum Den Haag de L’Aia, il trittico degli «Stati d’animo» di Boccioni e la «Bambina che corre sul balcone» di Balla del “Museo del Novecento” di Milano, il «Notturno» di Boccioni della GAM di Torino, «Velocità astratta+rumore» di Balla della Collezione Guggenheim di Venezia, la «Danseuse articulée» di Gino Severini (Cortona, 7 aprile 1883 – Parigi, 26 febbraio 1966) della “Fondazione Magnani Rocca” di Parma sono l’espressione di questo rivoluzionamento della comunicazione sociale.
Il manifesto della Ricostruzione futurista dell’universo, firmato da Balla e da Fortunato Depero (Fondo, 30 marzo 1892 – Rovereto, 29 novembre 1960) nel 1915 spiega il linguaggio pittorico scomposto e artificializzato dei Futuristi. Lo illustrano le opere di Depero «Architettura sintetica di un uomo» (1916), dal Mart di Rovereto, e «Bambola blu» (1917) dalla “Collezione Giancarlo e Danna Olgiati” di Lugano.
Scrissero:
«[Noi Futuristi] per ricostruire l’universo rallegrandolo, cioè ricreandolo integralmente. Daremo scheletro e carne all’invisibile, all’impalpabile, all’imponderabile, all’impercettibile. Troveremo degli equivalenti astratti di tutte le forme e di tutti gli elementi dell’universo, poi li combineremo insieme, secondo i capricci della nostra ispirazione, per formare dei complessi plastici che metteremo in moto».
Nulla è più salutare – in epoca di trionfo della «rivoluzione digitale» – dell’immergersi in presenza nella temperie culturale e psicologica del Futurismo.
La mostra della GNAMC non vuole chiudersi nell’orizzonte italiano e, per descrivere l’atmosfera interculturale che permeava le arti dell’epoca, mette a confronto il cinetismo futurista con il «Nudo che scende le scale n. 1» (1911) di Marcel Duchamp (Blainville-Crevon, 1887 – Neuilly-sur-Seine, 1968) proveniente dal Philadelphia Museum of Art. Ricordiamo che Duchamp sarebbe fuggito negli Stati Uniti, con Peggy Guggenheim, per sottrarsi al terrore nazista che pervadeva la Francia occupata nel 1940.
Il 20 febbraio del 1909, Filippo Tommaso Marinetti aveva pubblicato sul quotidiano parigino “Le Figaro” un testo intitolato “Le Futurisme“. Recitava:
«1. Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità. 2. Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia. 3. La letteratura esaltò fino ad oggi l’immobilità pensosa, l’estasi e il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno. 4. Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un’automobile da corsa, col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo… un’automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bella della Vittoria di Samotracia […]».
Indubbiamente a Marinetti non mancavano estro, creatività e coraggio nell’aggredire e riplasmare lo scenario del contemporaneo. Anche se alcuni suoi testi grondano di affermazioni disgustose e inaccettabili, l’impeto della sua intuizione estetica rimane irresistibile.
È importante ricordare come, con il Futurismo, la pittura italiana sia andata oltre l’accademismo dei paesaggi, dei ritratti e delle nature morte della tradizione post-rinascimentale, per diventare raffigurazione fisica e psichica del movimento e della velocità. I soggetti privilegiati erano la motocicletta, l’automobile e il treno, mentre il rumore meccanico era diventata la “colonna sonora” della Modernità.
Marinetti sembra aver anticipato l’idea di Marshall McLuhan sugli «a-priori tecnologici»:
«Il Futurismo si fonda sul completo rinnovamento della sensibilità umana avvenuto per effetto delle grandi scoperte scientifiche. Coloro che usano oggi del telegrafo, del telefono e del grammofono, del treno, della bicicletta, della motocicletta, dell’automobile, del transatlantico, del dirigibile, dell’aeroplano, del cinematografo, del grande quotidiano (sintesi di una giornata del mondo) non pensano che queste diverse forme di comunicazione, di trasporto e di informazione esercitano sulla loro psiche una decisiva influenza» (La rivoluzione senza fili, Milano, 11 maggio 1911).
Tuttavia, appare un po’ affrettato il confronto fra il Futurismo e l’attuale contemporaneità digitale, suggerito dalla narrazione che pervade la Mostra. Si scrive, ad esempio, di
«un cambiamento epocale [il Futurismo] che ha ispirato una rivoluzione artistica che non solo ha celebrato la velocità e la tecnologia, ma ha anche anticipato molte delle questioni che oggi riguardano la digitalizzazione e l’intelligenza artificiale».
Occorre, infatti, mantenere la distinzione fra il Futurismo come movimento artistico e il Futurismo come ideologia politica. Se l’arte futurista riuscì ad integrarsi nell’industria culturale e a forgiare stili e modelli di cambiamento nelle tecniche di comunicazione sociale, l’ideologia politica futurista si scagliò dissennatamente contro quella stessa società – quella capitalistico-liberale di modello anglo-americano – che pure ne aveva consentito la formazione e lo sviluppo. Il Futurismo – con l’adesione di Marinetti ai fasci di Combattimento nel 1919 – contribuì all’ottuso e fanfaronesco nazionalismo che avviò l’Italia verso la catastrofe degli anni 1936 – 1945.
Il 15 aprile del 1919 Marinetti partecipò agli scontri di via Mercanti. Sia in Futurismo e Fascismo (1924) sia nella Grande Milano tradizionale e futurista (postumo, 1969) ha raccontato della sua partecipazione alla distruzione e all’incendio della redazione milanese dell’«Avanti!».
Restano, però, e sono grande spettacolo, i quattromila metri quadrati, le ventisei sale del museo dedicate alla mostra: i 350 tra quadri, sculture e opere (di cui 100 provenienti dalla Collezione della GNAMC).
Nella sala dell’aeropittura si vedono le opere di Gerardo Dottori, Mario Monachesi e il quadro di Tato Sorvolando in spirale il Colosseo: una visione aerea che anticipa quella dei droni tanto in uso nel cinema di oggi. Stupefacente è l’esemplare dell’idrovolante Macchi-Castoldi MC-72 con cui nel 1934 il pilota Francesco Agello raggiunse il «record mondiale di velocità per idrocorsa con motore a pistoni», opera del Museo Nazionale dell’Aeronautica.
La mostra Il Tempo del Futurismo illustra anche l’influenza del Futurismo letterario e pittorico sulle arti visive del secondo dopoguerra fino all’Arte Povera e alla Poesia visiva di Burri, Fontana, Dorazio, Vedova, Turcato, Julio Le Parc, Alberto Biasi, Pino Pascali, Mario Schifano.
Le idee e le intuizioni sono ottime, ma non possono venir adoperate per supportare la concezione retrograda che il Secondo Novecento sia già tutto contenuto nel Primo Novecento. Mentre giusti e pertinenti restano i riferimenti agli interscambi poliglotti apertisi fra i diversi segmenti dell’avanguardia storica, sembra eccessivo dedurne la costruzione di uno schema unico per interpretare il nostro tempo, per immaginare il futuro sulla sola base del passato.
Si può anche osservare che se la rivoluzione tecnologica di primo Novecento fu incentrata sullo sfruttamento e sulla sublimazione della corpuscolarità e del movimento meccanico e quindi su di una antropologia della velocità e della dinamizzazione, tutto opposto, invece, è stato l’impatto della rivoluzione digitale a noi contemporanea. Questa ha invitato, piuttosto, all’immobilità e alla stanzialità: a ricevere, a casa o in tasca, con i «device» più progrediti, il flusso delle immagini e delle informazioni provenienti dall’«infosfera globale» e ad interagire con esso attraverso il puro dinamismo nervoso e digitale.
Il progetto della mostra alla GNAMC è stato elaborato dagli uffici della “Galleria Nazionale d’Arte Moderna”, coadiuvati dalla Direzione Generale Musei del MIC (direttrice Cristina Mazzantini e direttore Massimo Osanna) per la curatela di Gabriele Simongini. Al MAXXI va attribuito il recupero del quadro “Espansione Fiore n. 17″ di Giacomo Balla (1917).
La mostra è stata preceduta da una fiumana di gossip politico-televisivo di cui non terremo alcun conto. È più importante commisurare il risultato espositivo ai contenuti messi in campo dai curatori. Il linguaggio delle opere e degli artisti spesso è andato al di là di ogni facile narrazione.
Come la scienza di quel tempo svelava la natura corpuscolare e ondulatoria dell’universo, così l’arte portava a visualizzare l’infinitamente piccolo e l’infinitamente veloce nella corporeità e nella percezione quotidiana. Oggi la scienza rifugge da visioni sintetiche e si sviluppa lungo diversi percorsi di ricerca e di sperimentazione. Le arti, quindi, oggi registrano il disambientamento e l’inquietudine di un mondo che appare effimero e contraddittorio, piuttosto che l’euforia della futurità e di un incerto progresso. Di mezzo c’è stato il Novecento.
Giulio de MARTINO Roma 8 Dicembre 2024
La mostra
Il Tempo del Futurismo
a cura di Gabriele Simongini
fino al 28 febbraio 2025
“Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea”, viale delle Belle Arti, 131 – 00197 Roma
Organizzazione: MIC Direzione Generale Musei, MAXXI, GNAMC
Catalogo Il tempo del Futurismo, con interventi di Gabriele Simongini, Francesca Barbi Marinetti, Günter Berghaus, Elena Gigli, Claudio Giorgione, Giovanni Lista, Ada Masoero, Ida Mitrano, Riccardo Notte, Francesco Perfetti, Marcello Veneziani, Edizioni Treccani 2024.