Pieno successo per il “Simon Boccanegra”, spettacolo inaugurale del Teatro dell’Opera di Roma.

di Claudio LISTANTI

Il Simon Boccanegra di Giuseppe Verdi ha aperto con vistoso successo la stagione 2024-2025 del Teatro dell’Opera di Roma grazie alla direzione di Michele Mariotti e di una valida compagnia di canto. Qualche riserva per la regia di Richard Jones.

Notevole il nuovo allestimento dell’opera: una scelta dalla particolare valenza musicale in quanto essa è da considerarsi tra le più emblematiche della produzione del nostro grande musicista.

Simon Boccanegra, infatti, ha la particolarità che ha avuto un iter compositivo piuttosto inusuale. Scritto da Verdi nel 1857 su un libretto di Francesco Maria Piave che adattò per il teatro d’opera un dramma dello spagnolo Antonio García Gutiérrez, Simón Bocanegra. Gutiérrez già aveva fatto breccia sulle necessità rappresentative di Verdi fornendo la base di un altro dei capolavori verdiani, Il Trovatore, ispiratato al dramma El trovador.

Simón Bocanegra trovò terreno fertile in Verdi in quanto narra le vicende del corsaro genovese che nel XIV secolo salì al trono dogale grazie all’ appoggio di un amico. La sua fu una vita segnata da tragici eventi come la morte della donna segretamente amata, appartenente a una famiglia patrizia, e la scomparsa della figlia. Mise fine ai suoi giorni avvelenato dallo stesso amico che lo aveva sostenuto.

Questi torbidi accadimenti di carattere privato avvengono sullo sfondo di una guerra civile, tra patrizi e plebei: temi particolarmente adatti alla poetica musicale verdiana che affidò la stesura del libretto al suo devoto librettista Francesco Maria Piave. Non con contento però a pieno del lavoro chiese aiuto, all’insaputa del Piave, a Giuseppe Montanelli, poeta e patriota toscano in esilio a Parigi per aver partecipato al governo rivoluzionario del 1849. Nonostante questi aggiustamenti emerse comunque la pecca più grave del libretto, quella di proporre un’azione a prima vista incomprensibile che richiedeva una attenta lettura per capire con precisione la trama.

Fig. 1 Il soprano Eleonora Buratto nella parte di Amelia. Credito fotografico Fabrizio Sansoni-Teatro
dell’Opera di Roma.

Comunque il soggetto era adatto a Verdi per portare avanti quella sua ‘rivoluzione’ rivolta a produrre un’opera basata sul declamato che superasse gli stilemi dell’opera primo ‘800 per giungere ad una forma nuova, più compatta e teatrale. I prodromi di tutto ciò già c’erano stati con I due Foscari, andati in scena nel 1844 al Teatro Argentina di Roma.

Il Simon Boccanegra del 1857 non ebbe molto successo anche per la ‘tinta’ piuttosto uniforme nell’insieme e per la mancanza di un necessario lirismo. Presto se ne esaurirono le rappresentazioni che relegarono all’oblio, fatto che Verdi ritenne ingiusto senza però dare segni di immediati aggiustamenti.

L’opera rimase nel limbo per più di 20 anni nonostante i tentativi di Giulio Ricordi di sollecitare un opportuno rifacimento già nel 1868, intraprendendo un’azione diplomatica che pian piano fece breccia nell’animo di Verdi. La svolta ci fu nel 1879, a seguito del lungo silenzio del musicista dopo il capolavoro di Aida. Ricordi propose a Verdi di mettere in scena l’Otello di Shakespeare su una riduzione per teatro d’opera approntata da Arrigo Boito che il musicista trovò eccellente. Da quel giorno si instaurò una delle collaborazioni più proficue del teatro lirico che produsse i grandi capolavori della vecchiaia di Verdi. E la prima tappa della nuova collaborazione fu proprio la revisione del Simon Boccanegra considerata prova propedeutica della collaborazione tra l’anziano musicista e il giovane letterato che poi continuò nel futuro.

Fig .2 Il tenore Stefan Popp Gabriele Adorno nella scena del gran consiglio. Credito fotografico Fabrizio Sansoni-Teatro dell’Opera di Roma.

Il primo pensiero di Verdi fu dare vita alla seconda scena del primo atto, nella prima versione risultata un po’ opaca. A tal proposito suggerì l’utilizzo di due lettere che Francesco Petrarca scrisse a Boccanegra, Doge di Genova e al Doge di Venezia, propugnando una pace tra le due repubbliche marinare rivali, per giungere ad una sorta di situazione embrionale dell’unità d’Italia. Queste due lettere furono la base della costruzione della nuova scena alla quale fanno da contorno diversi eventi, dalla rivolta popolare al chiarimento sul rapimento di Amelia che vede coinvolto Paolo e che sfocerà con la celebre esortazione all’unità tra le due repubbliche affinché fosse viatico di amore e pace, scena che si conclude poi con la celebre invettiva di Boccanegra che costringe Paolo ad auto maledirsi per i suoi misfatti. Una scena compatta e massiccia dalle forti tinte che con la versione 1881 assume il carattere di baricentro dell’opera.

Fig. 3 Eleonora Buratto (Amelia, Luca Salsi (Simone) e Gevorg Hakobyan (Paolo) nella prima scena del primo atto. Credito fotografico Fabrizio Sansoni-Teatro dell’Opera di Roma.

Oltre a questa scena la revisione comportò il radicale mutamento del prologo, ma solo dal punto vista musicale con il testo che rimase pressocché inalterato in quanto Boito lo giudicò letterariamente la parte più valida. Poi fu approfondita teatralmente la figura di Paolo con una nuova scena per il terzo atto.

Fig. 4 Una immagine di Giuseppe Verdi e Arrivo Boito.

Ma Verdi ritoccò in special modo la parte musicale nella quale trasfuse tutta la sua abilità di compositore maturata indiscutibilmente nei 23 anni che separano la prima dalla seconda versione. Modifiche all’armonia e alla strumentazione che si rendono ben evidenti nel prologo tutto, come in diverse parti dell’opera.

L’opera, così, perse quella ‘tinta’ forse un po’ troppo uniforme e arricchita da diversi episodi lirici che contribuirono ad accrescerne la varietà. Per quanto riguarda la parte vocale la partitura prevede un numero del tutto limitato di arie puntando tutto su recitativo e su quel declamato melodico che è la specialità del Verdi maturo anche se questa via fu perseguita anche in gioventù con opere di gran classe come Macbeth, Stiffelio e Luisa Miller.

Il Simone seconda stesura andò in scena per la prima volta alla Scala il 24 marzo 1881 con la direzione di Franco Faccio, all’epoca uno dei più quotati. Al suo fianco una compagnia di canto formata da tutte stelle di prima grandezza dell’epoca come Victor Maurel (Simone), Francesco Tamagno (Gabriele), Anna D’Angeri (Amelia) ed Édouard de Reszke (Fiesco). L’opera ottenne un buon successo che consentì a Verdi di considerare superato l’esame della collaborazione con Arrigo Boito con il quale produsse poi i due capolavori della vecchiaia, Otello e Falstaff.

Nonostante il chiaro successo il Simon Boccanegra rinnovato, l’opera cadde ancora nell’oblio, ancora più immeritato della prima versione. Fu solo la Verdi Renaissance tedesca che ne propose esecuzioni già dal 1929 in lingua tedesca e l’anno successivo ebbe le cure di un grande direttore dell’epoca, Clemens Krauss. Dopo una riproposta al Metropolitan di New York che ottenne un nuovo importante successo, l’opera rientrò anche in Italia rimanendo stabilmente in repertorio fino ad oggi riuscendo ad ammaliare sempre il pubblico come ha dimostrato anche questa occasione romana.

L’esecuzione musicale del teatro dell’Opera. 

Per quanto riguarda l’esecuzione musicale del Simon Boccanegra inaugurale è stata affidata a Michele Mariotti, il Direttore Musicale del teatro lirico romano, che ha fornito una prova complessivamente valida anche in considerazione della sua specializzazione per la musica di Verdi che ha dimostrato di averlo nelle sue corde come ha dimostrato spesso in altre occasioni alle quali abbiamo assistito. Qui, forse, la sua interpretazione mancava nel dovuto colore di quell’elemento onnipresente nell’opera, il mare, che colpì l’immaginazione di Verdi nei lunghi soggiorni genovesi per i quali ottenne, nel 1867, dall’amministrazione municipale la cittadinanza onoraria.

Mariotti ha però diretto con grande polso la scena cardine, quella del Gran Consiglio, mettendo al servizio del momento una direzione efficace e coinvolgete, ottenendo grande collaborazione dalla compagnia di canto e dal coro diretto da Ciro Visco che qui citiamo come uno dei protagonisti del successo.

Da segnalare la più che valida prova, nel ruolo del titolo, del baritono Luca Salsi, cantante di grande esperienza per i grandi ruoli verdiani tra i quali quello di Simon Boccanegra è tra quelli più a lui affini e che lo rende vero punto di riferimento. Ha messo in evidenza una voce calda e appassionata messa al servizio della rappresentazione del personaggio, dall’amore paterno per la figlia ritrovata alla voce autoritaria dell’uomo di potere andando incontro alla morte gradualmente perdendo progressivamente il piglio autoritario prima della fine.

Il ruolo di Amelia è stato affidato al soprano Leonora Buratto, una voce fresca che è riuscita a mettere in risalto la giovinezza del personaggio, l’amore verso Gabriele Adorno e quello per il padre. Il tenore Stan Pop ci ha dato un Adorno convincente anche se spesso si trova di fronte a delle forzature. Jacopo Fiesco è stato affidato all’esperta voce di Michele Pertusi altro cantante che ha lo spirito giusto per interpretare i grandi ruoli verdiani per basso, abilità che dimostra in ogni parte del mondo e che ha confermato anche qui a Roma.

Al baritono Gevorg Hakobyan, la difficile parte di Paolo Albiani, acclarato precursore del futuro Jago, che ha messo bene in risalto tutte le perfidie del ruolo che lo rende motore imprescindibile del dramma che si sta maturando in scena. Mentre il ruolo del popolano Pietro è stato affidato al basso Luciano Leoni che lo ha interpretato con merito.

Fig. 5 Gevorg Hakobyan (Paolo) nel prologo dell’opera. Credito fotografico Fabrizio Sansoni-Teatro dell’Opera di Roma.

 L’impostazione scenica.

A realizzare scenicamente Simon Boccanegra in questa nuova produzione per l’Opera di Roma è stato chiamato il regista londinese Richard Jones uno dei più acclamati di oggi.

Anche lui ha rinunciato ad un’ambientazione tradizionale per indirizzarla verso i nostri giorni. Scelta questa, ormai, troppo abusata ai giorni nostri, che non fa più nemmeno notizia e che rende la rappresentazione esangue e priva di ogni fascino che la splendida musica di Verdi regala a quest’opera. I personaggi avevano abiti moderni ma in certe occasioni sopra l’abito novecentesco indossavano elementi che ricordavano l’ambientazione originale. Tutto ciò crea una certa dose di squallore che impedisce di gustare l’opera per il suo significato. Così come lo sfondo metafisico primi anni del ‘900 che toglie fascino a quel momento teatrale nel quale, nell’oscurità, si compie il destino di Simone.

Questa smania filosofica cozza con la poetica musicale di Verdi artista dalle vedute precise messe a disposizione per un certo realismo dei contenuti. Stesso discorso vale per la scena del Gran Consiglio a cui le scelte di Jones hanno tolto quel carattere massiccio e compatto, serrato e coinvolgente che Verdi volle dare alla sua creatura considerandola baricentrica per lo svolgimento del dramma.

Alla realizzazione scenica hanno contribuito la professionalità di Antony McDonald per scene e costumi, di Adam Silverman per le luci, di Sarah Kate Fahie per coreografia e movimenti mimici e Renzo Musumeci Greco maestro d’armi, dimostrando tutti il massimo impegno per la realizzazione dello spettacolo.

Al temine della recita (3 dicembre) vivo successo decretato da un pubblico attento a consapevole di essere di fronte ad uno dei capolavori musicali più importanti di tutti i tempi.

Claudio LISTANTI  Roma 8 Dicembre 2024