di Chiara GRAZIANI
Notre Dame, San Pietro, 8 dicembre, festa dell’Immacolata. Due piazze, due visioni del mondo. Meglio, due mondi davanti a scelte che faranno il futuro in un precipitare degli eventi sempre più tumultuoso, ora che la caduta della dinastia Assad in Siria apre uno spaventoso vuoto in uno scenario di caos.
Eppure, in teoria, la continuità dei valori fra le due piazze, sarebbe chiara. La scelta del giorno per la riapertura al pubblico della cattedrale di Notre Dame, dopo il disastroso incendio del 2019, intenzionalmente è caduta sull’8 dicembre, giorno dell’Immacolata Concezione per la Chiesa cattolica, dedicato dunque alla titolare della cattedrale-madre della Francia. Ossia a Maria, concepita senza peccato: in una visione laica, Maria anche madre dell’Occidente che si presenta al mondo come fondato sul primato di diritti umani costruiti nei secoli.
Ma il Papa, fra gli invitati più attesi – e tenacemente inseguiti dall’Eliseo, checchè se ne dica – ha scelto di non esserci per la fastosa inaugurazione della sera prima (ed anche per l’attesissima cena all’Eliseo, ritenuta a ragione un grande tavolo informale di dialogo sulle varie crisi mondiali, dall’Ucraina al Medio Oriente). Ha scelto Roma e San Pietro, fra le due piazze possibili. Non per caso, riteniamo. Ce lo suggerisce la scelta, meglio crediamo la volontà, di essere fisicamente altrove, con il corpo del Papa (concetto caro e comprensibile ai francesi, quello di corpo del re).
A conferma che la scelta di Francesco sia meditatissima e significativa, basti ricordare che da almeno un mese il Papa ha, al contrario, confermato una storica visita in Corsica (la prima di un Pontefice sull’isola-nazione) per partecipare ad un convegno sulla religiosità popolare nel Mediterraneo. Il viaggio apostolico, dunque è dedicato al Mediterraneo e la Corsica ne è la porta d’accesso.
Come non ricordare, a questo punto, il viaggio apostolico a Marsiglia del settembre 2023 per i Rencontres Méditerranées quando il Papa volle puntualizzare che nel Mediterraneo si stava recando e non in Francia? Non certo per poco amore alla Francia – lo precisò subito – ma per la volontà di percorrere le vie ritenute secondarie da altri; ed il Mediterraneo è una di queste.
Francesco ha sempre dato l’idea di una precisa concezione, ovviamente adeguata ai casi, dell’importanza del “corpo del Papa” e della fisicità della sua presenza. Del resto, ubi Petrus, ibi ecclesia. La Chiesa, a quel che pare, torna a sceglere le apparenti periferie degli attuali assetti mondiali e si comporta di conseguenza con l’abituale stile; ossia presenza, non giudizio. O anche “predilezione degli umili” come ha spiegato l’arcivescovo di Parigi Laurent Ulrich.
Parigi, fra il 7 e l’8 dicembre è stata tutto fuorché umile periferia geopolitica. Su Parigi, anche per un intensissimo lavorio diplomatico, hanno fatto rotta in tantissimi, non solo dai luoghi forti del potere politico (primo fra tutti il potenziale leader di una nuova internazionale di destra, il rientrante della Casa Bianca Donald Trump, accompagnato dal sempre più ingombrante Elon Musk, l’uomo dello spazio, dell’intelligenza artificiale e dalla mostruosa ricchezza), ma anche da quelli della finanza. Finanza che ha avuto un ruolo massiccio nel donare per una colossale opera di recupero da 800 milioni di euro finita per essere, inevitabilmente, anche una colossale autocelebrazione di chi l’ha portata a termine in appena cinque anni.
Il “corpo” diffuso del re occidentale o alleato, dunque, era fortemente rappresentato fra 40 capi di stato e di governo nella cattedrale e nei mega sponsor (dagli Arnault a LVMH, l’Oreal, al colosso petrolifero Total per dirne alcuni). A far da corona stati africani dell’influenza coloniale al declino, quella della quale Parigi cercherebbe di conservare i vantaggi per ripartire le perdite con la comunità internazionale. C’erano anche l’ucraino Volodomyr Zelensky e i re di Marocco e Giordania, a garantire che il dossier guerre sarebbe stato informalmente trattato.
Secondo la stampa francese fino all’ultimo Donald Trump ha posto la condizione di sedere accanto a Macron, al posto d’onore, in cattedrale, sulla stessa fila del capo dello Stato e dei suoi predecessori all’Eliseo. E’ andata così. Brigitte Macron, che avrebbe dovuto sedere alla destra del marito, ha avuto la terza sedia da sinistra, gomito a gomito con l’ospite statunitense. Il presidente-eletto, già di fatto entrato in scena, è stato anche così senz’altro al centro dell’evento, assieme a Macron, ben al di sopra degli altri invitati. Gli Usa, formalmente ed ufficialmente, erano però rappresentati dalla moglie di Joe Biden, Jill.
Il Papa ha voluto salutare con gioia la riapertura, ma ha scelto la forma del messaggio. Sottolineando la grande avventura spirituale della popolosissima maestranza operaia ed artigiana che ha fatto l’impresa grazie a tecniche ed arti preservate ha scritto:
“I nostri cuori hanno sofferto per il rischio di veder scomparire un capolavoro della fede e dell’architettura cristiana, una testimonianza millenaria della vostra storia nazionale. (…) Cari fedeli di Parigi e della Francia, questa dimora, che il nostro Padre del Cielo abita, è vostra: voi ne siete le pietre vive. Quanti vi hanno preceduto nella fede l’hanno edificata per voi: le innumerevoli rappresentazioni e i simboli che racchiude sono destinati a voi al fine di condurvi in modo più sicuro verso l’incontro con Dio fatto uomo e di riscoprire il suo immenso amore. (….)”.
La parte più forte del messaggio pare questa:
“Possa dunque la rinascita di questa ammirevole chiesa costituire un segno profetico del rinnovamento della Chiesa in Francia”.
Una Chiesa che dovrà sapere accogliere, è la richiesta del Papa, chiunque varcherà la soglia della nuova Notre Dame per fede o anche solo per il bisogno di una ricerca di senso.
Nell’omelia dell’8 dicembre pronunciata a San Pietro il Papa ha indicato Maria ed ha detto, citando l’amato Dostoevskij:
“Questa è la bellezza che salverà il mondo”. Non una bellezza distante, mitica, quella della madre di Dio”.
Ma la proposta di un progetto bello e concreto, il modello pienamente realizzato della nostra umanità, attraverso cui, per grazia di Dio, possiamo tutti contribuire a cambiare in meglio il nostro mondo”. Ci pare che così Pietro abbia voluto parlare a quel mondo che, sempre ad ascoltare la sua omelia, ha un’altra prospettiva di futuro, davanti alla guerra ed al caos. “Vediamo purtroppo – le sue parole – attorno a noi, come la pretesa del primo peccato, di voler essere “come Dio”, continui a ferire l’umanità, e come questa presunzione di autosufficienza non generi né amore, né felicità. (…)”
Il richiamo all’attuale situazione dei rapporti internazionali, ed alla loro possibilità di perseguire e raggiungere la pace, arriva a questo punto:
“A cosa servono gli alti livelli di crescita finanziaria dei Paesi privilegiati, se poi mezzo mondo muore di fame e di guerra, e gli altri restano a guardare indifferenti? A cosa serve viaggiare per tutto il pianeta, se poi ogni incontro si riduce all’emozione di un momento, a una fotografia che nessuno ricorderà più nel giro di qualche giorno o qualche mese?”.
Gli incontri fra leader, spesso accompagnati da abbracci, baci, parole d’intesa all’orecchio, cosa lasciano, sembra dire il Papa che ha scelto di non essere fisicamente parte della cerimonia? La ricostruzione di Notre Dame, nelle sue parole, può essere un inno alla Madre di Dio ed al progetto “bello e concreto” incarnato dalla Madonna che rende possibile “cambiare in meglio il nostro mondo”. Un progetto alternativo a quello di chi “esalta come conquista il rifiuto di ogni legame stabile e duraturo” o di “chi toglie il rispetto al padre e alla madre, chi non vuole i figli”, o anche considera la solidarietà una perdita, senza diffondere “né gioia né futuro”. A cosa serve, chiede, viaggiare in mezzo mondo se il frutto di tante photo opportunities resta mezzo mondo morto di fame e di guerra che guarda il benessere dei privilegiati del mondo piccolo?
Dopo la celebrazione Francesco si è affacciato, come sempre, su piazza San Pietro per l’Angelus. E, come spesso accade, il suo non è stato un discorso rituale, ma densissimo di significati e messaggi. Stavolta, ci pare, in maniera particolare. Su tutto la richiesta di arrivare alla festa del Natale con un cessate il fuoco generale “su tutti i fronti di guerra” per la festa del Natale. Tutti i fronti, non solo alcuni. Non solo. Il Papa ha voluto toccare, e non girandoci attorno, la nevralgica questione della pena di morte che non è solo un retaggio odioso di Paesi sottosviluppati:
“Mi viene al cuore chiedere a tutti voi di pregare – ha detto – per i detenuti che negli Stati Uniti sono nel corridoio della morte. Credo che sono 13 o 15. Preghiamo perché la loro pena sia commutata,cambiata. Pensiamo a questi fratelli e sorelle nostri e chiediamo al Signore la grazia di salvarli dalla morte”.
Richiesta che potrebbe arrivare al presidente uscente, il cattolico Joe Biden, che dispone ancora, fino a gennaio, di tutti i suoi poteri di perdono. Il terzo segnale forte del Papa è sociale:
“Sono vicino ai lavoratori di Siena, Fabriano e Ascoli Piceno che – ha sottolineato – difendono in modo solidale il diritto al lavoro, che è un diritto alla dignità! Che non sia loro tolto il lavoro per motivi economici o finanziari”.
Pace, diritti dell’uomo, diritto al lavoro che è dignità. Il Papa aveva appena finito in indicare la via di Maria come quella possibile per un “cambiare in meglio il nostro mondo”. Ha salutato dando appuntamento ai fedeli a piazza di Spagna per l’abituale omaggio alla Madonna, nella sua immagine che svetta sull’altissima colonna eretta per celebrare il dogma dell’Immacolata Concezione. E prima ha voluto far tappa dall’amata immagine della Salus Populi Romani a Santa Maria Maggiore. Notre Dame è affidata alle mani dei fedeli di Francia che ne sono le vere pietre vive. Il Papa si prepara ad abbracciare la Corsica, porta del Mediterraneo, accesso al futuro.
Dopo, prima di rientrare in Vaticano, ha visitato un’opera d’arte non solo a lui molto cara, ma anche particolarmente attuale, la Crocifissione Bianca di Marc Chagall, in mostra in questi giorni a via del Corso, palazzo Cipolla. Un’opera del ‘38. Un anno dopo, dalle persecuzioni razziali e dal mito nazista sarebbe sgorgata la seconda Guerra Mondiale. Il Cristo viene suppliziato mentre intorno divampa l’incendio delle persecuzioni. Pare, dunque, che il Papa, con una delle sue frequenti decisioni a sorpresa, abbia scelto ancora una volta di parlare attraverso l’arte.
Anche quella di cui è carica Notre Dame, cattedrale da lui affidata però alle mani dei fedeli di Francia che ne sono le vere pietre vive. Francesco (o Francescu, come dice il logo ufficiale del viaggio apostolico del 15 dicembre) si prepara ad abbracciare la Corsica, porta del Mediterraneo, accesso al futuro.
Chiara GRAZIANI Roma 8 Dicembre 2024