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Da Venezia a Dakar, l’anno di Angelo Accardi in tre domande
Angelo Accardi è passato dalle atmosfere sognanti del Giardino dell’Eden alle disturbanti immagini di Icarus’ Dream, portando in questo 2024 la sua particolare visione della realtà e della società in tre continenti: dall’Europa, con Venezia e Londra, all’Africa con la partecipazione a Dakart, fino all’America con New York e Miami, dove ha partecipato alla prestigiosa Art Basel, la fiera d’arte più importante del mondo.
In questa intervista l’artista di Sapri, che è attivo sulla scena dal 2000, racconta un po’ la sua visione e le sue ispirazioni artistiche.
– Che esperienza hai vissuto all’Art Basel Miami, come artista ma anche come appassionato d’arte?
R: Art Basel Miami è sicuramente l’evento più atteso dagli addetti ai lavori, galleristi e collezionisti. Gli artisti fanno benchmarking che possa suggerire nuove soluzioni stilistiche, soprattutto per chi fa scultura e installazioni, nuovi materiali e soluzioni tecniche particolari. Personalmente preferisco eventi in contesti meno vacanzieri di Miami, come Frieze di Londra, o l’Independent Art Fair di New York che riserva sempre delle sorprese fuori dal controllo dell’algoritmo che dovrebbe garantire il successo, se pur effimero, e che tutti abbiamo un po’ interiorizzato, nostro malgrado.
-Raccontaci in breve The Garden of Eden, cosa significa per te la seduzione dell’arte?
R: The Garden of Eden è nato da una mia rivisitazione – in chiave Pop – del “Trittico del Carro del Fieno” di Bosch. La vita è come un carro del fieno: ognuno tenta di afferrarne un po’. L’ascesa alla virtù dell’uomo passa attraverso svariate prove e ai potenti della terra, viene riservata una sorta di legge del contrappasso che li costringe, al momento del giudizio universale a confrontarsi con un improbabile. La realtà di oggi, conferma tristemente le mie previsioni, consegnandoci un Musk ai vertici della finanza, della politica, della comunicazione e della tecnologia…in pratica un Dio in terra, ma la terra non è l’Eden e il green deal 2030 dovrà ancora attendere.
-Quanto ha a che fare la tua arte con la Lowbrow della Los Angeles degli anni ’70?
R: Mi sono avvicinato alla Lowbrow Art di Robert Williams già una decina d’anni fa, consapevole della incompatibilità con il leggero e coloratissimo trend Pop contemporaneo che spopola da qualche anno, dove ogni negatività è bandita. Tuttavia, la mia formazione classica, il mio interesse per la pittura rinascimentale ispirata a un’ideale neoplatonico di bellezza, mi hanno salvato dal cadere nel vortice deformante tipico della cultura underground (che non mi appartiene) per abbracciare un personalissima interpretazione del Surrealismo Pop che nel tempo mi ha permesso di trovare oltre al favore della critica, anche quello del mercato.
Roma 22 Dicembre 2024