“Post scriptum. Un museo dimenticato a memoria”. Dal concettuale all’Arte Povera a Pippa Garner, passando per Charlemagne Palestine e il mito tutto romano di Victor Cavallo

di Alessandra IMBELLONE

Post scriptum. Un museo dimenticato a memoria. Dal concettuale e l’Arte Povera a Pippa Garner, passando per Charlemagne Palestine e il mito tutto romano di Victor Cavallo

C’è tempo fino al 16 febbraio per visitare Post scriptum. Un museo dimenticato a memoria, collettiva che costituisce l’atto conclusivo della programmazione del MACRO con la direzione artistica di Luca Lo Pinto.

La mostra, che ha la pretesa di occupare tutti gli spazi dell’innovativa architettura realizzata fra 2010 e 2011 da Odile Decq come espansione e ristrutturazione del museo romano, ha aperto i battenti il 4 ottobre 2024 ma non se n’è parlato troppo. Questa, a dire il vero, è stata un po’ la pecca di tutta la direzione Lo Pinto: la scarsa comunicazione e quindi risonanza di eventi e progetti espositivi al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori ossia del pubblico più aggiornato in fatto di arte contemporanea. Ed è un peccato perché alcune mostre avrebbero meritato una maggiore attenzione da parte dei media, una fra tutte la grande retrospettiva di Emilio Prini, tra i protagonisti dell’Arte Povera rimasti meno noti al grande pubblico.

Post scriptum. Un museo dimenticato a memoria presenta al pubblico romano le opere di più di trenta artisti che vanno dai padri del concettuale e dell’Arte Povera, come Agnetti e Fabro, a figure storicizzate, quali Absalon, Félix González-Torres, Pierre Guyotat, Simone Forte, Isa Genzken, Charlemagne Palestine e Pippa Garner, fino ad alcune delle voci più affermate della giovane scena artistica quali Issy Wood, Tolia Astakhishvili, Hamishi Farah o Sandra Mujinga.

1 Vincenzo Agnetti, Dimenticato a memoria, 1972

Il titolo dell’esposizione prende a prestito da Vincenzo Agnetti (Milano, 1926 – 1981) l’ossimoro “dimenticato a memoria”, coniato dall’artista sul finire degli anni Sessanta (la prima versione del Libro dimenticato a memoria è del 1969) per sostenere che “la cultura è l’apprendimento del dimenticare. Esattamente come quando si mangia” ( Vincenzo Agnetti ). La metafora potente dell’artista concettuale milanese, che identificava l’arte con l’assenza, si pone come ideale punto di partenza per la messa in scena di un atto performativo in cui tramite la mostra collettiva il museo mette in scena se stesso. L’esposizione, si è detto, conclude il discorso aperto con Editing, che nel 2020 inaugurava la programmazione chiamata da Lo Pinto Museo per l’Immaginazione Preventiva, un titolo ispirato al progetto Ufficio per la Immaginazione Preventiva istituito nel 1973 da Carlo Maurizio Benveduti, Tullio Catalano e Franco Falasca con l’obiettivo di produrre un’arte capace di rivoluzionare la società.

Museo per l’Immaginazione Preventiva ha voluto significare la messa in discussione del museo stesso come uno degli indirizzi principali del progetto espositivo del MACRO. Coerentemente con le premesse, infatti, nel quinquennio della direzione Lo Pinto l’istituzione museale è andata interrogandosi sulla propria identità e le proprie modalità di produzione e relazione con gli artisti e il pubblico, portando avanti un discorso già affrontato, sebbene in maniera meno organica, dal precedente direttore artistico Giorgio De Finis.

“Cittadini, consideratemi irresponsabile di quanto succede, declama la voce registrata all’altoparlante dell’Apologo di Luciano Fabro (1936-2007), padre dell’Arte Povera. La voce proviene dall’alto, dal tetto dell’Auditorium amaranto di Odile Decq, allo stesso modo in cui, nel 1970, sorprendeva i passanti di Montepulciano scaturendo da un palazzo cinquecentesco.

2 Charlemagne Palestine, sgabelliiiiii diiii tribùùùù diiii peluchessss, 2023-2024

Molte le scelte interessanti, a partire dalle prime opere che accolgono i visitatori nel foyer: i coloratissimi sgabelliiiiii diiii tribùùùù diiii peluchessss di Charlemagne Palestine, (nome d’arte di Martin Charles), compositore, performer e artista visivo che è leggenda vivente della sperimentazione made in USA.

Gli animali non mentono mai – dichiarava in un’intervista del 2022 -. I sacri giocattoli zoomorfi possono rimanere ad ascoltare per l’eternità”  (Cfr. Intervista al musicista Charlemagne Pestine, di V. Veneruso, Artribune, 26-5-2022).

L’importanza di avere un animale-guida sempre con sé è ribadita nella nuova intervista rilasciata per l’attuale collettiva:

“Quando hai una specie di animale-anima gemella, è con te per tutta la vita. È qualcosa di sacro e continuo. Non è solo un oggetto bambinesco, infantile, giovane, in crescita, di transizione… Il tuo animale guida rimane con te”

(MEET THE ARTIST: CHARLEMAGNE PALESTINE | MACRO Museum).

3 Tolia Astakhishvili (con Thea Djordjadze, Heike Gellmeier e Dylan Pierce), When the others are within us, 2024 (ph Piercarlo Quecchia)

L’artista multimediale georgiana Tolia Astakhishvili è presente con un’installazione site-specific realizzata con Thea Djordjadze, Heike Gellmeier e Dylan Pierce dal titolo evocativo: When the others are within us. Essere abitati dagli altri è una metafora della vita umana e dell’arte. È anche uno dei temi che attraversano la mostra e che ci fanno andare avanti e indietro nel tempo, con la memoria e l’immaginazione, muovendoci nello spazio.

4) Simone Forti, Adventures of Red Hat. Red Hat Between Two Figures, 1966
5) Thomas Hutton, lampade, 2024

Un accostamento suggestivo fra un’artista del passato e l’arte del presente è proposto in una delle sale del museo con alcune opere su carta degli anni Sessanta della statunitense Simone Forti e le belle lampade in alabastro e tufo scolpite nel 2024 dal londinese Thomas Hutton. Un’altra sala che mette in dialogo passato e presente vede collocato al centro un video del mitico Absalon (1964-1993), Noise (1993), mentre sulle pareti intorno è esposta la serie fotografica di Sohrab Hura, Snow. L’effetto è drammatico. Come si può infatti non ascoltare il grido (letteralmente rumore) dell’artista israeliano e di tutta una generazione falcidiata dall’AIDS (a questa appartiene anche il cubano Félix González-Torres presente in mostra) e non sentire il freddo, la fame, la povertà del Kashmir fotografato da Hura?

6 Al centro: Absalon, Noise, 1993. Sulle pareti: Sohrab Hura, Snow, 2015-2019 (ph Piercarlo Quecchia)
7) Sohrab Hura, Snow, 2015-2019, part.
7) Sohrab Hura, Snow, 2015-2019, part.
9) Pierre Guyotat, Untitled, 2017

A esplorare l’erotismo sono i disegni di Pierre Guyotat (1940-2020), scrittore e drammaturgo francese d’avanguardia che con le sue opere fatte di sesso e violenza, raramente visibili in Italia, ha sempre fatto gridare allo scandalo. I suoi disegni danno forma a una visione distopica della realtà, secondo cui la vita nella società capitalistica è una forma di prostituzione e di sottomissione alla volontà altrui Pierre Guyoat / Frieze

10 Victor Cavallo

A Roma però aleggia lo spirito curioso e tormentato di Victor Cavallo (Roma, 1947 – 2000), attore, poeta e scrittore che fu fra i protagonisti degli happenings e dell’underground romano degli anni Sessanta per poi sopravvivere mollemente nei decenni successivi prima di rimanere ucciso da una cirrosi epatica. I suoi appunti, i versi, ci sprofondano immediatamente nella malinconia più disperata, nell’amara dolcezza di un’inquietudine e una solitudine esistenziale senza rimedio, truccate dall’alcol e dagli psicofarmaci e malcelate da una maschera comica. “Che me magno? – scriveva – Sedanini e broccoletti”. “È esile come una foratura il sorriso che ci lega alla tramontana”. Agosto 1996:

“Mi sveglio come un pazzo dio mio il giorno le ore. Qualsiasi andare qualsiasi venire Alcol tranquillanti medicinali vari fughe in fondo ai bar. Quando mi tranquillo è come fosse tutto finito” Victor Cavallo, La Garbatella, 1987).

E poi c’è Pippa Garner (Evanston, 1940 – Los Angeles, 2024)

Questa mostra è sua. E dato però che, il 30 dicembre 2024, Pippa si è spenta a Los Angeles, questa rassegna che la vede protagonista nei più diversi spazi dell’architettura del MACRO costituisce il suo testamento spirituale. Anche qui, come in tutto il suo percorso artistico ed esistenziale, si è spinta oltre i limiti consentiti.

Nata uomo si è sottoposta negli anni Ottanta a una transizione di genere (cambiando nome da Philip a Pippa), considerando la propria transizione un progetto artistico in sé “per creare del disorientamento riguardo alla mia posizione nella società”. Con il suo lavoro, il suo corpo e la sua ironia ha messo in crisi dall’interno la società dei consumi americana, giocando con largo anticipo rispetto al presente sugli stereotipi del genere. Ricorda Lo Pinto:

“Ha prodotto incessantemente idee profondamente ironiche e intensamente politiche. Ha cambiato sesso intendendo il suo stesso corpo come un oggetto di consumo, alterabile al pari di una macchina o di un elettrodomestico” ( Cfr. Artribune, 4 /1/2025).
11 Pippa Garner, Carpet Car, 1980/2024
12 Pippa Garner, Penis Skettch on Toaster, 19772024
“I’m an object too – dichiarava l’artista al magazine Frieze –. What can I do to play with my body? I had the opportunity to get breast implants at a reasonable price, so I went ahead and did it. I went to Brussels in 1992 and came home with a vagina” (Cfr. Artforum.com, Pippa Garner DFies at 82).

Nel Museo dimenticato a memoria le immagini create da Pippa Garner sono ovunque, dalle diapositive stereografiche in 3D realizzate con la Stereo Camera Kodak nel 1976-77 alle fotografie più recenti, sempre dissacranti e cariche di ironia.

13) Pippa Garner, Doll, 1985/2024
Pippa Garner, I Is A Ass, n.d./2024

La sorpresa finale è nei bagni, sulle pareti a specchio delle avveniristiche toilettes progettate da Odile Decq, dove l’artista ci saluta con due autoscatti in cui indossa delle t-shirts della serie I wearing a t-shirt, from the series Shitstorm iniziata nel 2005.

“Le magliette sono un mezzo di comunicazione trash che si è sviluppato a partire dai cartelloni pubblicitari dell’epoca della depressione – ha dichiarato -. [—] Quando indosso le mie magliette, per quanto esplicite o oltraggiose, nessuno se ne accorge, perché tutti si aspettano che una maglietta abbia una pubblicità. Le percepiamo come fossero cartelloni pubblicitari”.
15) Pippa Garner, I wearing a t-shirt, from the series Shitstorm, 2005-2024
15) Pippa Garner, I wearing a t-shirt, from the series Shitstorm, 2005-2024

La pubblicità di Pippa però è un controsenso ironico e profondamente corrosivo per la società dei consumi, nella quale anche la vita e il corpo umano sono trattati alla stregua di merci: “Power to the peep hole“, recita la t-shirt nel bagno delle femmine, ironizzando su un vecchio slogan. Scrotinize your scrutum”, fa eco la t-shirt nel bagno dei maschi, in un gioco di parole intraducibile ma comprensibile e irresistibilmente comico.

17 Pippa Garner, I wearing a t-shirt, from the series Shitstorm, 2005-2024

Alessandra IMBELLONE  Roma 12 Gennaio 2024