A palazzo Spada, il prete che amava le nudità: Francesco Furini, la “Donna vista di dorso” (ovvero “Santa Lucia”).

di M. Lucrezia VICINI

 

Francesco Furini Santa Lucia, olio / tela, cm 68,5 x 51,8, Inv. n.92; collocazione III sala

Francesco Furini
(Firenze, 1604 – Firenze, 1646)

PROVENIENZA: COLLEZIONE DEL CARDINALE BERNARDINO SPADA

Esposizioni: Un’altra bellezza. Francesco Furini – Firenze Palazzo Pitti 22 dicembre 2007-aprile 2008

Nell’inventario dei beni ereditari del Cardinale del 1661, il dipinto risulta citato nella Stanza contigua alla Galleria dove è lo studiolo grande, attuale quarta sala del Museo, tra i cosiddetti Quadri più piccoli, e senza riferimenti attributivi, come: Un ritratto che volta la schiena (1). L’inventario del 1759 lo registra ancora in maniera anonima e sempre in quarta sala, come:

Un quadro in tela di testa in piedi con cornice rossa filettata d’oro rappresentante una donna con spalla nuda voltata di schiena (2).

Nel Fidecommesso del 1823 è riportato con l’attribuzione al Guercino e spostato in seconda sala, nella quale rimarrà fino al 1951, quando Federico Zeri, in occasione del ripristino del Museo per la sua riapertura al pubblico lo collocherà nella terza, dove ancora si può ammirare. Nel suddetto elenco del 1823 il dipinto viene  ricordato per la prima volta col titolo di Santa Lucia, così descritto: Una Santa Lucia, del Guercino (3).

L’attribuzione al pittore Furini compare invece per la prima volta nella successiva Appendice al Fidecommesso del 1862, che segnala il quadro con i suoi esatti connotati, come: Santa Lucia, Furini Fiorentino (4). L’attribuzione permane anche nella ricognizione inventariale di Pietro Poncini del 1925 e nella coeva stima di Hermanin, che valuta lire 10.000. In questi ultimi due elenchi si ripropone con incertezza il significato del soggetto che viene contrassegnato in parentesi con un punto interrogativo, come: Donna vista di dorso (Santa Lucia?) Furini (5).

Al Furini si era già  rifatto  il De Montault (6), seguito, oltre che da Hermanin, da Porcella (7) e  da Lavagnino (8) che interpreta il soggetto come forse Santa Cecilia.

Toesca (9) lo riferisce al periodo tardo del pittore e nota come lo schema compositivo del dipinto sia stato replicato altre volte con varianti e cita la Fanciulla con calice, già nella Galleria Corsini di Firenze. Zeri (10), nel confermare il riferimento al Furini, riconosce definitivamente nel personaggio effigiato Santa Lucia, protettrice della vista, proprio in virtù della presenza del calice sul quale sono posti due occhi, simbolo del martirio sofferto, e della testa di aquila, rapportata sempre alla vista, in particolare alla credenza secondo cui l’aquila ha uno sguardo tale da poter reggere la vista del sole. Lo studioso ne conferma una datazione tarda, non prima del 1630.

Giovanni Mannozzi, detto Giovanni da San Giovanni, Autoritratto, Firenze, Uffizi

Incamminato alla pittura dal padre, Filippo Furini, attore e a sua volta pittore di ritratti, apprese i primi rudimenti nella bottega di un amico dello stesso padre, Cristoforo Allori, e successivamente presso il Passignano e il Bilivert, la cui scuola aveva sede nella galleria granducale. A sedici anni, nel 1619,  si recò a Roma, dove entrò in contatto con un altro pittore toscano, Giovanni Mannozzi, detto Giovanni da San Giovanni che aiutò nell’esecuzione dell’affresco con il Carro della notte, commissionato dal cardinale Enzo Bentivoglio per il palazzo di Montecavallo, oggi Pallavicini Rospigliosi. A Roma avrebbe  inoltre frequentato l’atelier di Bartolomeo Manfredi, già attivo presso la corte dei Medici a Firenze.

Di impronta caravaggesca, con rimandi alla pittura dell’Allori, ma anche alla scultura del Bernini, risultano di fatto essere le prime opere realizzate al  suo ritorno a Firenze, come l’Aurora e Cefalo (olio su tela, cm.228 x 189,4)  del Museo de Arte di Ponce, Portorico. Altri influssi romani, riferiti sempre alla statuaria berniniana e all’antichità classica, soprattutto ellenistica, si inseriscono nelle opere successive, che subiscono man mano una variazione di stile, nella natura poetica e sensuale delle figure, dalla bellezza statuaria e dai morbidi incarnati, e  reso con tonalità vibranti, assimilate in un soggiorno a Venezia. Nella produzione del quarto decennio del secolo, che è la più proficua, non mancano riferimenti anche alla pittura di Andrea del Sarto, del Correggio e di Leonardo, di cui possedeva una copia del Trattato della pittura che elaborò diventando in quel periodo a Firenze il più geniale interprete dello sfumato pittorico.

Furini fu anche un apprezzato poeta e nonostante avesse indossato l’abito sacerdotale nel 1633,  continuò a frequentare le famiglie nobili fiorentine e ad avere incarichi importanti che gli conferirono notevole successo fino alla morte avvenuta prematuramente nella sua casa a Firenze nel 1646, mentre era impegnato a Roma a dipingere opere nel palazzo del duca fiorentino Iacopo Salviati.

Il dipinto Spada ritenuto da Toesca (11) del periodo tardo del pittore, è stato  ultimamente collocato da Cantelli proprio nei primi anni trenta (12), quando il pittore approfondisce l’aspetto sensuale delle figure femminili che raffigura statuarie e seminude, tanto da incontrare la disapprovazione del suo biografo Baldinucci che riteneva non giovassero a chi indossava l’abito ecclesiastico.

Francesco Furini, Lot e le Figlie

La figura così colta con la spalla denudata o anche con la capigliatura raccolta da uno chignon fermato da un filo di perle o da un nastro, si ritrova frequentemente con varianti in quasi tutte le opere del Furini degli anni trenta e anche in quelle più tarde. Vanno citati in particolare i dipinti come Ila e le ninfe (olio su tela, cm.230×261), del 1632 della Galleria Palatina di Palazzo Pitti a Firenze; le Tre Grazie (olio su tela, cm.225×180), del Museo Hermitage di Pietroburgo, del 1632;  Lot e le figlie, del Museo del Prado di Madrid (olio su tela, cm.123×120), del 1634;  La Fede (olio su tela, cm. 65 x 42), della Galleria Palatina di Palazzo Pitti a Firenze, del 1635 circa, ognuno basato sullo studio dell’antico con la presenza di figure femminili dalla classica compostezza.

Lucia, vergine e martire siracusana, dopo un pellegrinaggio presso la tomba di Sant’Agata dove sua madre era stata miracolosamente guarita, volle distribuire i propri beni ai poveri in segno di ringraziamento. Il gesto sconvolse a tal punto il suo promesso sposo che la denunciò come cristiana al giudice Pascasio. Rifiutando di abiurare e di adorare i loro idoli, subì varie prove di martirio dalle quali uscì indenne fino alla decapitazione avvenuta il 13 dicembre del 304, sotto Diocleziano.  L’attributo degli occhi che ne connota l’iconografia, risulta però estraneo alla Passio vera e propria del V e VI secolo.

La sua diffusione ha avuto origine in età tardo medioevale in seguito alla nascita di una leggenda secondo la quale Lucia, esasperata per le incessanti lodi sulla bellezza dei suoi occhi da parte del suo promesso sposo, si li strappò e glieli inviò su di un piatto, ma la Vergine Maria le fece dono di altri occhi ancora più belli. A stabilire la tradizionale iconografia e a far si che la Santa venisse invocata contro le malattie della vista ha contribuito anche la contaminazione tra i due termini, Lucia e Lux (luce).

Quasi a voler nasconder allo spettatore il viso deturpato, il pittore presenta la Santa di spalle, operando una scelta del tutto originale. La schiena, dall’incarnato trasparente e solo in parte ammantata, risalta dal fondo oscuro dove si intravede con difficoltà la coppa sorretta dalla Santa contenente i suoi occhi, mentre scivolano oltre la nuca le ciocche dei capelli sfuggite all’acconciatura trattenuta da un fermaglio a forma di becco d’aquila. L’uccello, simbolo della saldezza della fede in Cristo e dell’illuminazione, diventa simbolo stesso di Lucia, capace di spingere la propria vista, privata dal martirio, fino a Dio (13).

Il dipinto si presenta compromesso da molte abrasioni. Già Zeri al suo tempo definiva cattivo il suo stato di conservazione e comunicava la seguente situazione:

il mantello verde è un rifacimento del secolo XIX, che nasconde i resti di quello originale, in azzurro. Nelle parti in ombra l’ossidazione del pigmento cromatico è giunta al grado estremo. Qualche ritocco sulle carni, e svelature nei capelli (14).

Un restauro effettuato del 1989 ha evidenziato le originali velature cromatiche di tono azzurrino, che il pittore otteneva con il blu oltremarino, ma non ha potuto restituire all’opera i suoi valori, data la effettiva consistenza delle ossidazioni.

Al Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi si conserva un disegno a carboncino e sanguigna con Testa di donna vista di spalle (n. 9693), forse autografo, che Cantelli ritiene preparatorio al dipinto Spada (15). Un altro disegno (n.239) è presso il Palais des Beaux-Arts di Lille, considerato una copia da Furini (16).

Il Fantozzi (17) nella sua guida cita un dipinto simile al nostro presente nella Quadreria Corsini:

277. Palazzo di abitazione dei Signori Principi Corsini…Camera dell’Arcova sull’Arno…Femmina veduta dalla schiena, del Furino”.

Maria Lucreizia VICINI  Roma 2 Febbraio 2025

NOTE

1) Cannatà R., Il Collezionismo del Cardinale Bernardino Spada, in Cannatà R., Vicini M.L. La Galleria di Palazzo Spada. Genesi e Storia di una Collezione, Roma 1992, pp. 29,63
2) Zeri F., La Galleria Spada in Roma, Firenze, 1954, p. 161, n. 653; Cannatà R., Vicini M.L.cit. 1992, p. 172 n. 653
3) Cannatà R., Vicini M.L. cit. 1992 p. 187
4) Cannatà R., Vicini M.L. cit. 1992, p. 190
5) Cannatà R., Vicini M.L. cit. 1992, pp.193-196
6)Barbier De Montault X. Les Musées et Galeries de Roa, Roma 1870 p. 443
7) Porcella A. Le pitture della Galleria Spada, Roma 1932 pp, 128, 177
8) Lavagnino E. La Galleria Spada in Roma, Roma 1933, pp. 8,12
9)Toesca, E. Francesco Furini, Roma 1950
10)Zeri F. cit. 1954 p.82
11)Toesca, E. Francesco Furini, Roma 1950
12)Cantelli, G., Repertorio della pittura fiorentina del Seicento, Fiesole 1983,p. 154; Barsanti, A. , Francesco Furini in La pittura in Italia. Il Seicento 1989, II, p. 748
13)Weddigen T.,Lucias Augen: zu Francesco Furinis Patronin der Kunstbetrachtung, in Kunst und ihre Betrachter in der fruhen Neuzeit: Ansichten, Standpunkte, Perspektiven, a cura di Sebastian Schutze, Berlin 2005, p.103
14) Zeri F., cit. 1954, p.82
15) Cantelli G. Disegni di Francesco Furini e del suo ambiente. Gabinetto disegni  e stampe degli Uffizi. Catalogo 1972, pp. 33-34
16)Brejon de Lavergnée, B., Catalogne des Dessins Italiens. Collection du Palais des Beaux-Arts de Lille, Paris 1997 p. 411
17)Fantozzi F., Nuova Guida ovvero Descrizione storico-artistico-critica della città e contorni di Firenze, Firenze 1842 p. 560

Bibliografia

Maffeis, R., Furini : Trailer,  in Paragone, III n. 54, 2004
Del Bravo, C., Francesco Furini, prete e pittore in Artista, 2005, p. 83
Heussler, C., Furini, Francesco, in Allgemeines Kunstlerlexicon. Die Bildenden Kunster aller Zeiten und Volker, 46, Munchen-Leipzig 2005, p. 366
Maffeis, R., Un’altra bellezza Francesco Furini, catalogo della Mostra a cura di Mina Gregori e Rodolfo Maffeis, Firenze 2007, pp. 194-195
von Buerker, L. Francesco Furini, in Jahrbuch der Kunsthistorischen Sammlungen der Allerhochsten Kaiserhauses, XXVII, 1908, 2, pp. 55-90
Vicini M.L. Guida alla Galleria Spada, Roma 1998, p.70
Cannatà R..Galleria di Palazzo Spada, Roma 1998, p.69