La Storia della Dc (1942 – 1994): una mostra su “come eravamo e come potremmo essere” (Musei di San Salvatore in Lauro , fino al 3 Marzo)

di Chiara GRAZIANI

Come eravamo, come potremmo essere, se la Storia non cambierà.

Claudio Koporossy, Senza titolo, 2025

Dc, storia di un Paese,  mostra voluta nell’ambito delle celebrazioni per l’ottantesimo anniversario della nascita della Democrazia Cristiana, non è una rivendicazione nostalgica anche se quel sentimento circola di sottofondo, inevitabile, nelle sale quattrocentesche dei Musei di San Salvatore in Lauro che ospita foto e opere d’arte commissionate per l’occasione.

La storia della Democrazia Cristiana, fin dalle “Idee ricostruttive della DC”,  opuscolo clandestino del 1942 firmato Demofilo, amico del popolo, è quella di un intero Paese, che, ancora in pieno conflitto mondiale, scommette sulla vittoria, sull’affermarsi delle ragioni della libertà e del diritto sulla brutalità della forza e incontra una comunità di spiriti  liberi e profetici.

Manifesto, Demofilo (De Gasperi), Idee ricpstruttive della DC

Ed è proprio  la lettera sul futuro di Demofilo-De Gasperi che viene consegnata al visitatore all’inizio del percorso, in una brochure (casa editrice Il Cigno) che raccoglie tre documenti fondativi dell’esperienza democristiana e delle sue radici nel Partito Popolare di Sturzo: l’opuscolo (che andò definitivamente alle stampe nel ‘43), l’appello ai liberi  e forti del ‘19 ed il discorso alla conferenza di pace di Parigi del ‘46 con il quale De Gasperi rivendicò davanti ai vincitori il diritto dell’Italia, nata dalla Resistenza e da 18 mesi di guerra sanguinosa contro l’occupante tedesco, a non essere schiacciata dalle responsabilità fasciste.

Sono questi i fermenti di un destino nazionale non scontato e, per certi versi, unico nella storia occidentale.

Alcide De Gasperi alla Conferenza di Parigi
DC Manifesto elettorale

Un destino che, nell’equilibrio obbligato fra due grandi forze popolari condannate a non poter dialogare, Dc e Pci, sarà figlio (attingiamo dalle parole di De Gasperi a Parigi)

“delle aspirazioni umanitarie di Giuseppe Mazzini, delle concezioni  universaliste del cristianesimo, delle speranze internazionaliste dei lavoratori”,

a partire dalla roccia della Costituzione repubblicana ed antifascista.

A ben vedere – e ricordando lo scenario di pesantissimi e anche occulti condizionamenti internazionali sfociati nella guerra fredda, nella strategia della tensione, nello stragismo neofascista nel terrorismo brigatista e nel piano eversivo di Rinascita democratica della P2 –  il vero miracolo italiano: scrivere la Costituzione e saper trovare l’equilibrio per avviare una stagione di riforme e di investimenti a lunghissimo termine (come il piano casa Fanfani e la riforma agraria ma anche l’introduzione del Servizio sanitario pubblico, madrina Tina Anselmi) e per provare a realizzare le promesse del ‘43: tra le altre la “soppressione del proletariato”  (Demofilo dixit).

Comizio di Amintore Fanfani per il Piano casa

Strumento della politica dovevano essere le riforme, l’emancipazione dal bisogno e dall’ignoranza, un fisco progressivo, il diritto all’istruzione e, financo “la partecipazione con titolo giuridico  dei lavoratori agli utili, alla gestione ed al capitale di impresa”.

Foto 5 Vito Bongiorno, Libertas, 2025 (carbone e cenere su tela)

Tanto del “manifesto” di Demofilo fu portato a casa, dice la mostra. Molto altro rimase nelle aspirazioni, magari nelle eredità morali alla politica di oggi che pure guarda con irrisione a chi parla di “abolizione della povertà”.

In questo senso la storia della Dc è davvero la storia di tutti. La storia di come, un’idea di Paese si forgiò, camminò formandosi nel continuo confronto-scontro che qualcuno ha chiamato “democrazia bloccata” e che toccò alla Democrazia Cristiana gestire dal governo senza mai lasciare il Paese affondare nel vassallaggio, nelle derive autoritarie, nella rottura della legalità costituzionale che pare evocare l’opera di Vito Bongiorno, a partire dalla tecnica stessa, carbone e cenere su tela.

Le immagini esposte – foto, opere ed un video –  raccontano una storia etimologicamente potente e che nasceva con la vista lunga. Sempre il Demofilo del ‘43 evoca addirittura il rischio dei grandi monopoli, della ricchezza concentrata in poche mani che, leggiamo, possono “favorire il costituirsi e prevalere di un feudalismo industriale e finanziario che consideriamo pericoloso per un popolo libero”. Vale appena la pena di notare che il neo-feudalesimo che divorzia dalla democrazia grazie al monopolio della ricchezza finanziaria e dell’informazione rischia oggi di diventare realtà.  Eppure queste idee sono in marcia da oltre ottant’anni e la mostra cerca di metterle in fila con i volti che le hanno incarnate.

Don Battista Testa “il prete partigiano”

Si parte da don Battista Testa, prete partigiano, nella sezione “Resistenza e clandestinità” e si passa, dopo la promulgazione della Costituzione all’adesione all’Alleanza Atlantica, ricordata dalla riproduzione formato murales della conta dei voti in commissione tenuta di pugno da Paolo Emilio Taviani, firmatario della mozione pro-adesione. Fra i contrari nel gruppo parlamentare dc –  furono tre in quella circostanza –  Giuseppe Dossetti (per il quale la guerra era e rimase sacrilega).Era il 1949 e, parallelamente ad un dibattito infuocato nelle Camere, il partito comunista ed i socialisti contestavano acerbamente l’adesione.

Lettera di De Gasperi a Dossetti
Appunto Taviani sulle votazioni per l’adesione al Patto Atlantico

Un’amplissima sezione è dedicata alla riforma agraria che portò al superamento dei grandi latifondi

Manifestazione a favore della Rifroma Agraria
Manifesto per la Riforma Agraria

Un’intera sala racconta, poi, la biografia di Alcide De Gasperi, dalla prima incarcerazione nel 1904 per le proteste studentesche di Innsbruck – era nato cittadino austriaco in Valsugana – al seggio da deputato al Reichsrat, all’adesione al Partito Popolare di Sturzo. Seguiranno le persecuzioni fasciste, il processo del’27, la “protezione” vaticana, la clandestinità durante la guerra, la presidenza del Consiglio, le incomprensioni con la Chiesa, l’inserimento dell’Italia nella comunità internazionale ed il sogno dell’Europa unita, in pace e costruttrice di relazioni di pace.

Entrano in scena poi le altre grandi ombre, ognuna legata ad una stagione. Solo alcune fra le altre. Aldo Moro che pagò con la vita il tentativo di disincagliare la democrazia italiana dallo stallo in armi fra Dc e Pci. Francesco Cossiga, ministro dell’Interno durante il caso Moro e poi presidente della Repubblica, che qui non compare in effige ma è solo evocato dalle scritte murali (Kossiga boia) immortalate nelle foto di Alfredo Polichetti nella seconda metà degli anni ‘70.

Scritte Anti Kossiga
Tina Anselmi (Castelfranco Veneto, 1927 – 2016)

Giulio Andreotti, che stringe la mano a Yasser Arafat, o fronteggia l’opposizione in Parlamento dei comunisti sull’adesione dell’Italia al Sistema monetario europeo. Tina Anselmi, la donna che si battè per il servizio sanitario pubblico e processò in Parlamento la loggia eversiva P2.

Ciriaco De Mita, presidente del consiglio e segretario del partito, fra i principali esponenti della sinistra di base.  Mino Martinazzoli, l’ultimo segretario che nel ‘94 riportò il partito al nome sturziano, per ricordare agli italiani, nell’onda di Tangentopoli, che “le nostre ragioni sono più dei nostri torti”.

Marco Tamburro, Occhiali di Andreotti

La mostra resterà visitabile fino al 2 marzo.

Chiara GRAZIANI  Roma  9 Febbraio 2025