di Nica FIORI
Piccole figure bronzee finemente modellate, anfore da vino, ceramiche dipinte, unguentari in alabastro e in vetro, spade, monete, iscrizioni in diverse lingue, pettini in avorio e preziose oreficerie affascinano i visitatori della mostra “Da Sharjah a Roma lungo la via delle spezie”, ospitata all’interno della Curia Iulia, nel Foro Romano, a poca distanza degli Horrea Piperataria, i magazzini delle spezie di età domizianea, che sono stati recentemente resi accessibili al pubblico dopo un lungo intervento di messa in sicurezza e restauro.
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Le spezie, il cui commercio era regolamentato dall’autorità imperiale, erano utilizzate nella cucina romana, come pure nella medicina, nella cura personale e nei culti pubblici (in particolare l’incenso). Per arrivare a Roma facevano interminabili viaggi dall’Arabia, dalla Persia e perfino dalla Cina e dall’India lungo strade carovaniere che passavano attraverso montagne e deserti, in una babele di lingue e di razze, per poi solcare il Mediterraneo su apposite navi e giungere a destinazione.
Ed è proprio l’idea del cammino, dello spostarsi dei mercanti con i loro cammelli o dromedari procedendo nel deserto, investiti da tempeste di sabbia, e infine nel mare, anch’esso soggetto agli umori del vento, ciò che si è voluto evocare in mostra con un’impressionante videoproiezione.
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L’esposizione, curata da Eisa Yousif e Francesca Boldrighini, è il frutto della collaborazione tra il Parco archeologico del Colosseo, diretto da Alfonsina Russo, e la Sharjah Archaeological Authority, promossa da Sua Altezza lo sceicco Dr. Sultan bin Al Qasimi, membro del Consiglio supremo e sovrano di Sharjah. Grazie a numerosi reperti esposti per la prima volta in Italia, la mostra ci fa scoprire la ricchezza culturale dell’Emirato di Sharjah, la cui conoscenza si è modificata negli ultimi decenni in seguito alle ricerche archeologiche, soprattutto nelle città di Mleiha e Dibba, fiorite tra l’epoca ellenistica e i primi secoli dell’Impero Romano.
Ricordiamo che Sharjah è uno dei sette emirati che compongono la federazione degli Emirati Arabi Uniti. Si trova nella parte centrale della penisola dell’Oman, con accesso dal Golfo Arabico a ovest, dal mare dell’Oman a est. L’insediamento umano nell’area è attestato già nel Paleolitico (130.000 anni fa); all’età del Ferro (1250-300 a.C.) si data la domesticazione del cammello e la creazione di un sistema di irrigazione che permise un rapido sviluppo dell’agricoltura.
Mentre le dune di sabbia arancione e le cime rocciose delle montagne offrono classici paesaggi desertici (a breve distanza da Dubai), le valli di fiumi prosciugati (wadi), le grotte e gli altopiani di Mleiha ospitano antiche tombe, resti di insediamenti e siti di produzione di utensili in pietra che narrano la storia della lunga e complessa presenza dell’uomo.
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In epoca storica nella penisola arabica, all’interno della quale si trova quella dell’Oman (a est), si sviluppò una complessa rete stradale che metteva in comunicazione il sud della penisola, dove si producevano l’incenso e la mirra, con i Paesi del Vicino Oriente antico, che facevano grande uso di quei prodotti costosissimi nei loro templi e nelle corti reali.
Teofrasto (371-287 a.C.), che fu allievo di Aristotele e gli succedette nella direzione del Liceo nel 322 a.C., nella sua Storia delle piante narra che gli esploratori inviati dall’Egitto nel 324 a.C. circa, durante il regno di Tolomeo I, nell’Arabia meridionale, vi trovarono arbusti di mirra e piante d’incenso. Queste piante non erano sorvegliate e sotto quelle d’incenso trovarono delle stuoie sulle quali era gocciolata la resina gommosa da incisioni praticate dall’uomo sugli alberi. Plinio il Vecchio ci fa sapere che “in nessun’altra regione, eccetto che nell’Arabia, si conosce l’incenso, e anche lì solo in un’area ristretta” (Naturalis Historia, XII 51).
Ciò non è del tutto vero, perché l’incenso (sostanza secreta da diverse specie del genere Boswellia) veniva anche dall’Africa, che era pure la fonte principale della mirra, ma l’incenso arabico era certamente quello ritenuto più pregiato. L’anonimo autore del Periplus Maris Erythraei (Periplo del Mar Rosso, databile probabilmente alla metà del I secolo d.C.) ci fa sapere che questo prodotto veniva da una terra chiamata Sachalites, dove era raccolto dagli schiavi del re e in seguito “portato alla capitale, Sabbatha, a dorso di cammello e lungo la costa a bordo di zattere e battelli per essere immagazzinato”. Da Sabbatha, che era il punto più meridionale della via dell’incenso, partivano le carovane dirette a nord che passavano per le capitali di altri regni.
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Oltre alle resine profumate, dalla penisola arabica provenivano anche le preziose perle (pescate nei suoi caldi mari), che a Roma venivano vendute nella Porticus Margaritaria, collocata probabilmente sulla via Sacra.
Il mondo ellenistico e poi i Romani ebbero scambi commerciali con l’Arabia e con il Regno dell’Oman e c’era sicuramente anche uno scambio di informazioni e di cultura, evidenziato dai reperti in mostra. Se pensiamo alla religione, per esempio, potremmo far dialogare una statuina in bronzo di Afrodite, ritrovata a Mleiha e datata tra il II secolo a.C. e il I d.C., con una divinità femminile preislamica locale, chiamata Al-Lat (letteralmente “la Dea”), alla quale è dedicata una placca votiva in argento (I-II secolo a.C.) in lingua sudarabica antica (zafur). Elemento tipico del culto della dea sembra fosse il ricorso consistente all’incenso, mentre il suo animale sacro era il leone.
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Mleiha, la cui storia va dal III secolo a.C. al III d.C., apparteneva all’antico Regno dell’Oman, che l’impero di Alessandro Magno e i successivi stati ellenistici non riuscirono a tenere sotto il loro controllo. La città costituiva un importante crocevia dei commerci euroasiatici ed ebbe contatti con i Romani a partire dal I secolo a.C., presumibilmente dopo che Elio Gallo, prefetto d’Egitto, fu inviato nel 24 a.C. dall’imperatore Augusto nel sud della penisola arabica, con 130 navi, con l’intento di aprire una via commerciale marittima verso l’India. L’obiettivo era il controllo delle importazioni di merci quali avorio, seta, pietre preziose, perle, e soprattutto le spezie.
Le navi onerarie romane trasportavano a loro volta verso Oriente tessuti, corallo, gioielli, vetro e oggetti in metallo. Il vino proveniva da Rodi e dal Mediterraneo orientale, ma anche dalla Spagna. Oggetti in vetro, come gli unguentari, venivano spesso importati dalla Siria e dall’Egitto.
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L’influenza romana è attestata nella mostra anche dai ritrovamenti di monete, tra le quali una in oro con l’effigie di Tiberio (una riproduzione locale) e una in bronzo di Nerva, con la dea Libertas sul rovescio, esposte in una vetrina insieme a un tesoretto di monete d’argento che imitano emissioni di Alessandro Magno.
Nel sito di Mleiha sono stati rinvenuti vasti cimiteri con tombe appartenenti ai membri più importanti della comunità, circondate da tombe più modeste. La tomba più importante, scoperta nel 2015, faceva parte di un gruppo di cinque tombe monumentali. Le pareti della struttura erano costituite da mattoni di gesso intonacato e le parti sotterranee definivano una pianta a forma di “H” con un lungo corridoio d’ingresso. Saccheggiata in antichità, la tomba fu poi riutilizzata e un muro di mattoni chiuse il passaggio tra le due camere. Tra i mattoni, uno recava un’iscrizione bilingue (sudarabica e aramaica) datata al 222/221 o al 215/214 a.C., che attribuisce la tomba a un ispettore reale del regno dell’Oman. Questo è il primo riferimento storico al regno omanita, citato successivamente nella Storia Naturale di Plinio e nel Periplo del Mar Rosso.
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I reperti di questa tomba, tra cui una ciotola in bronzo decorata a sbalzo con motivi ellenistici (centauro), africani (rinoceronte, elefante, iena), arabi (guerriero con dromedario che combatte un leone) e perfino un dromedario che allatta due bambini (iconografia che sembra richiamare quella romana dei due gemelli allattati da una lupa), un’anfora da vino di Rodi e un set da vino in bronzo, testimoniano non solo l’alto rango del defunto, ma anche il prestigio culturale e la tradizione consolidata dell’importazione di vino dal Mediterrane
Collegate a Mleiha erano le due città portuali di Ed Dur e Dibba, rispettivamente sul Mar dell’Oman e sul Golfo Arabico: dovevano essere molto più cosmopolite di quanto siamo abituati a credere e i loro traffici erano organizzati in modo efficiente e, in un certo senso, moderno, con tanto di documentazioni di sbarco e imbarco.
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Negli scavi effettuati in questi siti sono stati rinvenuti oggetti (in oro, argento, ferro, bronzo, avorio, corniola, pietra tenera, vetro, ceramica), nei quali si nota l’influenza delle culture egizia, greca, romana, partica, centroasiatica e indiana.
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Tuttavia, nel III secolo d.C., il misterioso antico regno di Oman scoperto dagli archeologi scomparve improvvisamente.
Scrive Alfonsina Russo, Direttore del Parco archeologico del Colosseo, nel catalogo breve che accompagna la mostra:
“Dopo l’esposizione su Goebeliktepe (un sito neolitico turco del X millennio a.C., nda) il Parco archeologico del Colosseo vuole con questa mostra proseguire un percorso di divulgazione e ricerca scientifica che si ampli alla dimensione mediterranea ed internazionale, affinché la cultura divenga sempre più un ponte ed uno strumento di amicizia tra i popoli” .
Un desiderio auspicato anche dal curatore Eisa Yousif, direttore della Sharjah Archaeological Authority, che da parte sua commenta:
“Ci auguriamo che questa mostra offra ai visitatori l’opportunità di esplorare una storia globale condivisa: questi oggetti non sono semplici reliquie silenziose; sono storie vibranti che ci raccontano come civiltà e città come Roma e Sharjah abbiano stabilito legami che si estendevano lungo migliaia di chilometri”.
Nica FIORI Roma 9 Febbraio 2025
“Da Sharjah a Roma lungo la via delle spezie”,
Curia Iulia, PArCo, ingresso da Largo della Salara Vecchia,
8 febbraio-23 aprile 2025
Giorni di apertura: sabato, domenica e lunedì (chiusa il 2 marzo e il 6 aprile).
Per info e biglietti: www.colosseo.it