Il Giubileo della Cultura e “Nativity”, dal Quattrocento al Nuovo Progetto Astratto. La logica sentimentale della geometria.

di Chiara GRAZIANI

Un’opera d’arte, anche la più antica, è sempre fisicamente presente nel tempo di chi la osserva. E’ per questo che ogni opera è contemporanea, perché ne ascoltiamo il messaggio oggi. Ed è oggi che le parole della bellezza comunicata, materia viva, interferiscono con il punto di vista dell’osservatore; continuando un dialogo di formazione ed una semina dei sentimenti che dureranno –  eternamente contemporanei – finché ci saranno osservatori e bellezza comunicata.

(da Republica on line)

La Nunziatina, ovvero Santa Maria Annunziata in Borgo a Roma, ha accolto “Nativity” un esperimento stimolante, a cura di Davide Vincent Mambriani, voluto dal dicastero per l’Evangelizzazione,  dalla Fondazione Giovanna Dejua e inserito negli eventi del Giubileo della Cultura: rendere tangibile la sovratemporalità dell’arte, dalla Madonna del Latte di Antoniazzo Romano, quattrocentesco, al Nuovo Progetto Astratto di Giovanna Dejua, artista contemporanea. Dalla Madonna della Salute, non attribuita se non per collocazione al XV secolo, alle Natività astratte della Dejua, costruite geometricamente su punto, linea, forma e colore, ripartendo da dove la destrutturazione del reale delle avanguardie del ‘900 era arrivata al suo massimo.

Cosa hanno in comune questi due mondi? Una comunicazione di speranza, nella semplicità folgorante del messaggio di salvezza per l’umanità che giunge all’osservatore dagli artisti del Quattrocento come dalle geometrie odierne. E questo era l’intento degli organizzatori del Giubileo, con monsignor Rino Fisichella, il curatore David Vincent Mambriani, il direttore della fondazione Dejua Angelo Paletta, il direttore generale dell’Accademia di San Luca Claudio Strinati, autore di un saggio scientifico per il catalogo assieme a Lorenzo Canova, Paola Di Gianmaria,  Francesco Petrucci e Francesco Francesconi.

Spes non confundit, dice la bolla di indizione del Giubileo.

La speranza non delude ma va innanzitutto comunicata. E l’arte trasmette con lingua universale, articolata in linguaggi differenti, la medesima, semplice, folgorante, totalizzante, speranza. Oggi vi è nato un Salvatore. Lo dice il Bimbo incoronato attaccato al seno di Maria, che da secoli si rivolge ai pellegrini guardandoli senza smettere di poppare e di strizzare, assorto, il seno alla mamma. Lo dice, nell’acrilico della Dejua, il punto di luce che irradia dal baricentro di un triangolo composto dalla riduzione a figura geometrica di due figure umane, un padre ed una madre, custodi e adoranti, speculari, una necessaria all’altro e tutti e due necessari al Figlio-baricentro di luce e della Storia, nella logica sentimentale della geometria (logica scandalosa che, per chi crede, è da sola lode a Dio). Strinati la chiama “tridimensionalità del sentimento” che, nell’evolversi delle sensibilità umane che generano nuovi linguaggi d’arte è il contributo del Nuovo Progetto Astratto la cui base  è ricostruire quel che è stato destrutturato grazie alla potenza evocativa di semplici immagini geometriche. Le linee ed il punto sono la struttura armonica essenziale alla quale non serve null’altro per annunciare: oggi vi è nato un Salvatore. Il colore, poi, è la spinta all’emozione. Azzurro profondo ed un foglio d’oro a 24 carati ad illuminare l’acrilico.

Sempre Claudio Strinati ci fa notare quanto sia “commovente” l’accostamento fra l’odierno e l’arte Quattrocentesca praticamente scomparsa nella Capitale. Roma odierna o è archeologia o è barocca, ci fa notare lo studioso. Le due Madonne con il Figlio in braccio, uno che poppa, l’altro che benedice, sono fra i pochi testimoni superstiti di un dialogo fra altri osservatori estinti e l’arte che ne formò il sentire, l’immaginario e la speranza che oggi nessuno ci racconta più. In un certo senso ritrovarli in esposizione è un’opportunità di contatto con una Roma che, fra varie demolizioni e ricostruzioni (da secoli addietro fino all’apertura di via della Conciliazione che sventrò il borgo in era fascista) ci resta quasi estranea. E ci mostra, anche, un cammino che vorremmo dire teologico ma che, alla fine, può rientrare nella stessa categoria del sentimento, o se si preferisce dell’Amore, almeno come lo intende Dante: Amor che move il Sole e l’altre stelle.

Rispetto alle due Madonne dipinte nel ‘400, che offrono la speranza del mondo raffigurata e incarnata nell’amore totale fra madre e figlio, nelle due natività della Dejua c’è qualcosa in più che fa irruzione nell’immaginario. Le figure della speranza diventano tre. Sia nella Natività del ‘91, che in quella dell’87, linee, angoli e curve disegnano – speculare ed indispensabile – la figura di Giuseppe accanto a quella di Maria. Non si potrebbe togliere l’uno senza togliere il punto di equilibrio all’altra. Che il padre putativo del Figlio di Dio restasse in ombra era forse necessario alla narrazione di secoli fa, quando l’immagine era spesso la sola forma di educazione di gran parte delle persone che la vedeva in chiesa. Oggi – e le figure geometriche sono forse la forma più adatta per esprimerlo –  il mistero della speranza ha un baricentro e dei pilastri, nel quale Madre, Figlio e Padre putativo sono tre volti dell’unica attesa di salvezza. In fondo una raffigurazione della Trinità e del mistero dell’Amore cristiano.

Grazie all’essenziale della geometria, l’amore inarrivabile di Giuseppe – per la donna, per il Figlio, per Dio che glieli aveva affidati –  può essere raffigurato, anzi evocato, come strategico nel disegno di salvezza. Non puoi togliere un lato ad un triangolo. Non puoi sottrarre l’amore alla speranza. E così, misteriosamente, l’amore umano diventa il paradigma di quello divino, di un disegno di salvezza e della Storia stessa.

Nativity, pensata come mostra migrante, farà più incontri nelle sue cinque tappe (Toccherà Ariccia, Palazzo Chigi a febbraio, Lanuvio al Museo Civico Lanuvino a marzo, sarà a Gerano ad aprile, a  Parma al castello di Montechiarugolo a luglio,  per approdare a Firenze sempre a luglio, al museo de’ Medici). Può essere visitata anche nel metaverso, entrando nella piattaforma Oplan City (un progetto di città virtuale che ricorda Second Life). Quest’ultima senz’altro uno strumento prezioso per chi non può raggiungere i luoghi fisici, anche se richiede l’estraniazione in un avatar ed il consenso a lasciar prendere nota del “sentiment” del visitatore, delle sue reazioni, dei tempi di osservazione, soste e ripartenze incluse con l’inevitabile autocondizionamento che dà la sensazione di essere osservati. Come dialogo personale con l’arte un po’ affollato. Una visita diretta, probabilmente, resterà sempre la maniera migliore di ascoltare il linguaggio della bellezza.

Come si diceva la mostra toccherà Ariccia (Palazzo Chigi a febbraio 2025), Lanuvio (Museo Civico Lanuvino a marzo 2025), Gerano (ad aprile 2025) e Parma (Castello di Montechiarugolo a luglio 2025) per approdare a Firenze sempre a luglio, al museo de’ Medici. Ad attenderla la tridimensionalità del sentimento.

Chiara GRAZIANI   Roma 9 Febbraio 2025