“Pietro Paolini 1603-1681. Peintre caravaggescque de l’étrange”. La figura dell’artista lucchese in un’attenta monografia di Nikita de Vernejoul,

di Luca BORTOLOTTI

Nikita de Vernejoul, Pietro Paolini 1603-1681. Peintre caravaggescque de l’étrange, Arthena, Paris 2024, pp. 292 pp., 381ill. col. e b/n.

Negli ultimi decenni anche Pietro Paolini (Lucca 1603-1681) ha potuto giovarsi della spasmodica esplosione di interesse che ha investito Caravaggio e coinvolto a cascata tutti i pittori a qualche titolo qualificabili – seppur talora genericamente, quando non arbitrariamente – come “caravaggeschi” (e non sarebbe inopportuno se su questo termine, vista l’estensione ormai incontrollabile del suo impiego, si aprisse un vero dibattito al modo in cui, in epoche remote, si discusse del significato storiografico da attribuire alle categorie di Rinascimento, Manierismo o Barocco).

Dal primo sistematico impegno monografico dovuto a Patrizia Giusti Maccari nel 1987, fino alla recente mostra di Lucca che indirizzava proprio su Paolini la sua massima messa a fuoco (I pittori della luce da Caravaggio a Paolini, a cura di Vittorio Sgarbi, con oltre 20 dipinti a lui riferiti), la mole di nuove acquisizioni documentarie e attributive, e il progredire delle conoscenze intorno al contesto della pittura lucchese, oltreché ovviamente di quella romana, richiedeva un nuovo lavoro che facesse il punto sulla vita, l’opera e il ruolo di Pietro Paolini, tanto sulla scena artistica capitolina, quanto su quella della città natale. In codesta necessaria impresa monografica, che ha infine assunto connotati imponenti, si è brillantemente cimentata Nikita de Vernejoul, anomala figura di medico-collezionista-storico dell’arte che alla personalità e alla pittura dell’artista lucchese ha dedicato anni di studi appassionati e una nutrita serie di contributi a partire dal 2018.

Le Diseuse de bonne aventure, 1625 30, Auckland, Auckland Art gallery

Non che le sue fatiche, peraltro, vadano iscritte in quella speciale categoria di studi monografici opera di “dilettanti”, nel senso più alto del termine, che non furono rare ancora nei primi decenni del XX secolo (si pensi a capolavori come il Botticelli di Herbert Horne, del 1908, o al Pontormo di Mortimer Clapp, del 1916) e sono diventate (sarei tentato di dire: purtroppo) affatto impensabili oggi. Tantomeno il presente lavoro può essere assimilato alle incursioni spinte da motivazioni di carattere più teorico e programmaticamente prive di ambizioni filologiche, da parte di pensatori come Simmel (Rembrandt), Maravall (Velazquez), Sartre (Tintoretto) o Valery (Leonardo), in cui le attenzioni, rivolte non a caso ad artisti sommi, costituirono il punto di partenza per riflessioni di carattere più generale o apertamente filosofico. Al contrario, Vernejoul si conforma nel suo lavoro allo schema ormai canonico nelle monografie moderne a carattere sistematico, mostrandosi padrona di una strumentazione filologicamente impeccabile.

Nella prima parte, quindi, dopo una brillante prefazione di Elena Fumagalli (che inquadra lucidamente il tema ancora aperto della natura morta nella pittura di Paolini e del ruolo di questi negli sviluppi della natura morta lucchese e dell’allievo Simone del Tintore) e un’introduzione dell’autrice in cui viene sintetizzata la fortuna critica di Paolini ed esplicitate le motivazioni alla base della monografia, sono ripercorsi in modo approfondito e opportunamente interconnesso i percorsi biografici e professionali dell’artista secondo il loro sviluppo cronologico, a partire dal cruciale periodo di formazione e maturazione trascorso a Roma, tra il 1620 e il 1630 circa.

Un jeune homme tenant un papillon, 162 – 25, Londres coll. particulière
Un jeune chanteur, 1620 – 25, Roma Accademia Nazionale di Santa Cecilia

Come per tanti altri artisti, l’incontro di Paolini con la pittura naturalista dei principali seguaci di Caravaggio attivi nell’Urbe in quell’iper-cosmolita terzo decennio segna un approdo di non ritorno, che ne avrebbe liberato le potenzialità sia dal punto di vista tecnico, sia da quello immaginativo. L’adesione al caravaggismo, mediata dalle suggestioni in primis dell’arte di Valentin, ma anche di Van Baburen, Gherardo delle Notti e Ribera, sarà dapprincipio genericamente assimilabile agli standard della cosiddetta Manfrediana methodus, rispetto ai quali, però, presto Paolini assumerà una posizione eccentrica, ulteriormente rafforzata, tra il 1625 e il 1630, dal fondamentale contatto con Angelo Caroselli, presso la cui bottega Paolini stazionò nei suoi ultimi anni romani.

L’incontro col temperamento di Caroselli, estroso ai limiti della bizzaria, e con la sua impareggiabile capacità di assimilazione mimetica dello stile di tutti i principali artisti contemporanei e non, si rivelò l’estremo tassello nel processo di evoluzione di Paolini verso una maniera più matura e personale, che nel lunghissimo secondo periodo lucchese conobbe, più che profonde mutazioni, lievi movimenti tellurici. A Lucca Paolini, dopo il suo definitivo rientro in città verso il 1631-32, fu per mezzo secolo eminente caposcuola e incontrastato mattatore, ripetutamente celebrato da letterati locali, nonché fondatore di una ben frequentata Accademia del nudo.

La leçon d’Astronomie, 1635 – 40, Gerolamo e Roberta Etro collection

L’autrice identifica i cambiamenti che si registrano nella sua pittura eseguita a Lucca nel corso del quinto decennio con un progressivo minore ossequio caravaggista, in favore dell’esempio della grande pittura veneta del XVI secolo, in particolare Jacopo Bassano, e poi di Guercino e Salvator Rosa: oscillazioni che si accompagnano a un prevalere dei temi allegorici e musicali e poi delle scene pastorali, con la ricorrente figura del “mondone” (il vecchio pastore), spesso eseguite con l’ausilio sempre più attivo di un’atelier che dovette essere cospicuo, ma di cui a tutt’oggi i soli nomi certi sono quelli di Simone del Tintore e di suo fratello minore Francesco. Ad essi si devono aggiungere, ma solo per brevi periodi, Girolamo Scaglia, Antonio Franchi, Giovanni Coli e Filippo Gherardi: tutti artisti che presto svilupparono altrove le loro carriere, conoscendo le maggiori fortune fuori da Lucca.

Un mondone jouant de la piva et un bergère jouant du luth 1650 – 60 collocaction actuelle inconnue

Nella seconda parte del volume un accurato e informatissimo catalogo ragionato mette ordine nel corpus dell’autore, dando conto esaurientemente, oltreché delle opere documentate o unanimemente accettate come autografe e delle nuove attribuzioni emerse dopo il lavoro della Giusti Maccari, anche delle opere da considerare incerte ed eseguite con la collaborazione della bottega, nonché di molte vecchie attribuzioni oggi reputate dall’autrice non più accettabili.

Senza entrare in questa sede nel merito sia delle poche nuove proposte, sia dei declassamenti o dei rifiuti, si può senz’altro dire che l’autrice mostra un occhio sicuro per la qualità delle opere e adotta dei criteri di costante ragionevolezza nella classificazione attributiva dei dipinti. Colpisce, semmai, che Vernejoul fissi intorno al 1660, con l’artista non ancora sessantenne e con oltre un ventennio ancora da vivere, una sorta di passaggio di consegne ai suoi aiuti dell’attività della bottega: in pratica non assegnando più, a partire da quella data, alcuna opera alla mano esclusiva di Paolini, che risulta quindi sostanzialmente confinato, nei due successivi decenni, ad un’esclusiva attività di supervisione e gestione della sua “azienda”.

Grazie anche ad un eccellente e ricchissimo apparato iconografico il lettore gode di una visione d’insieme esauriente dell’attività del pittore, che permette di valutarne al meglio la collocazione, il ruolo e il livello nel quadro generale della pittura italiana del Seicento.

Les Age de la vie, vers 1630, collection particulièr

Emerge così appieno la personalità di un artista colto, dall’immaginazione sbrigliata e anticonvenzionale, ben testimoniata dalle sue originali composizioni allegoriche e profane, soprattutto romane, e dalle sue variegate passioni, che includono certamente il teatro e la musica, spesso protagonisti dei suoi dipinti. Gli sforzi dell’autrice sono indirizzati, oltre che a mettere ordine nel catalogo del pittore, a rivendicare energicamente un più alto posizionamento della sua pittura, nella convinzione che

“Pietro Paolini n’a pas encore reçu l’attention qu’il mérite. Il est temps de prendre conscience de la grandeur de l’artiste, de l’ambition et de la cohérence de sa création et de l’originalité qu’il sut garder tout au long de sa carrière. (…) Son talent, son immagination protéiforme et la profondeur psychologique exceptionnelle de ses personnages le classent parmi les grands peintres de la première partie du XViie siècle”.

Non c’è dubbio che la causa di Paolini trovi in Nikita de Vernejoul il miglior avvocato possibile: ma, in tutta onestà, non potrei dire di guardare ora alla sua arte in termini radicalmente nuovi, o di sentire di doverne riconsiderare il corpus dei dipinti al livello dei maggiori della sua epoca.

Luca BORTOLOTTI  Roma  16 Febbraio 2025