di Massimo PULINI
Guercino ritrattista dei Canonici Renani
Se con un compasso dovessimo segnare il fulcro di questo inedito Ritratto di Canonico (Pesaro-Milano, Altomani & Sons), la punta dello strumento andrebbe posta sulla pupilla destra del religioso (Fig. 1).
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Il vivido sguardo è accentuato da un folto sopracciglio che inarca verso la fronte e anche la posizione del naso, tesa al profilo, sembra creare un maggiore spazio a quell’occhio divenuto catalizzante. L’espressione che deriva da quel minimo movimento muscolare è arguta e di certo restituisce la spiccata personalità di questo ‘Canonico di San Salvatore’. In assenza di annotazioni che, con nome e cognome, identifichino la figura ritratta è comunque possibile capire, attraverso l’abito indossato, l’appartenenza del religioso ad una precisa chiesa della città di Bologna, oltre alla conseguente vita monastica che l’uomo aveva sposato. La mantellina color dell’avorio con un rialzo diagonale e la veste di tono leggermente più chiaro, plissettata orizzontalmente sulle maniche e in verticale sul busto, trovano puntuali corrispondenze con l’abito ‘rocchettino’ dei padri regolari, i religiosi che vivevano nella Canonica aggregata alla chiesa bolognese di San Salvatore.
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Una calcografia di Filippo Ferrari (Fig. 2), eseguita a Roma nel 1822, ci restituisce puntualmente la veste a rocchetto e a mantellina scapolare bianca, raccolta sul fianco sinistro, di quei canonici bolognesi che vennero detti anche Renani, per memoria del fiume bolognese Reno sulla cui sponda sorgeva il primitivo loro ricovero.
Avrei forse dovuto dapprima parlare dell’autore di questo potente ritratto, ma l’appartenenza a quella ristrettissima schiera di preti regolari, che cioè non erano né monaci né frati, ma nondimeno avevano deciso di seguire la regola agostiniana, equivale a circoscrivere un’area di affetti che lega Guercino a quel preciso istituto religioso. Questo vincolo si salda sin dalla sua giovinezza e si può affermare sia durato oltre l’arco della vita, dato che le stesse spoglie dell’artista si trovano tumulate nel pavimento della chiesa.
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Era un canonico di San Salvatore anche Padre Antonio Mirandola che pure il Malvasia ricorda come il primo vero scopritore del talento di Giovan Francesco Barbieri. Il giovane Guercino, grazie all’interessamento del religioso renano, per la prima volta espose proprie opere a Bologna, in una ‘rogazione di primavera’, una sorta di fiera d’arte che abitualmente si allestiva sotto i portici del centro intorno al 25 di aprile. Fu precisamente accanto alla chiesa di San Salvatore che nel 1615 alcune tele, raffiguranti Evangelisti, eseguite dal giovane genio di Cento vennero notate e apprezzate da Ludovico Carracci e proprio da quel momento può dirsi iniziata l’inarrestabile carriera di Guercino. Il suo primo biografo ci informa che Giovan Francesco aveva già inserito un ritratto del prete entro una Gloria d’Ognissanti, la perduta pala giovanile eseguita nel 1613 per la chiesa dello Spirito Santo a Cento.
Si deve a Nicolas Turner l’identificazione di due frammenti, che in origine facevano parte del telero, passati in asta a Parigi presso Tajan, nel 2015. In uno di questi si può scorgere un ritratto nella figura che indossa un rosso piviale, mentre volge lo sguardo al fulcro di osservazione (Fig. 4). Questo, secondo Turner, era l’aspetto, a quarant’anni di Padre Antonio Mirandola, il primo mentore che accompagnò gli esordi professionali di Guercino, ma di recente Fausto Gozzi (vedi Scheda del Ritratto di Biagio Bagni in “La Civica Pinacoteca il Guercino di Cento. Catalogo generale” a cura di Lorenzo Lorenzini) ha rilevato che il Baruffaldi nelle Visite alle pitture nelle terre di Cento (1754) affermava che il Guercino aveva
“effigiati due ritratti in veste di santi, l’uno il quale era il predetto Padre Generale (Biagio Bagni), in sembianze di San Biagio e l’altro un cappuccino dell’istessa parentela, figurando San Francesco”.
L’importante notizia viene confermata anche da Gaetano Atti (vedi Intorno Alla Vita E Alle Opere Di Gianfrancesco Barbieri Detto Il Guercino Da Cento: Commentario, 1861). Lo stesso Biagio Bagni era un Canonico di San Salvatore come si evince anche dalla sua effige in ‘abito rocchettino’ conservata nella stessa Pinacoteca Civica di Cento in un dipinto attribuito a Domenichino (inv. 456).
È invece difficile dire se per “istessa parentela” il Baruffaldi intendesse una parentela familiare o spirituale, appartenente alla ‘famiglia’ dei Canonici di San Salvatore. È comunque innegabile una somiglianza dell’uomo ritratto in veste di San Francesco (Fig. 4a), con il Ritratto di Canonico di San Salvatore (Fig. 1), il lungo naso caratterizza entrambi i volti, seppur in tempi diversi tra loro.
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Ma è uno straordinario e precoce dipinto su rame (Fig. 5), a restituirci un altro Ritratto di Canonico di San Salvatore che Alessandro Brogi, nel pubblicarlo, propose come effige dello stesso Padre Antonio Mirandola (vedi A. Brogi, Guercino:Un piccolo ritratto giovanile, in “Paragone” 2003, serie 3/1, pp. 22-25) .
Il quadretto della collezione Grimaldi Fava di Cento, di certo ci racconta l’intensità espressiva di un canonico molto giovane, che non può essere il Mirandola, essendo questi nato nel 1573, avrebbe avuto 45 anni intorno al 1618, anno in cui per stile è databile l’opera.
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Il piccolo rame ci mostra necessariamente un altro giovane Canonico e questa considerazione allarga il ventaglio di relazioni che l’artista aveva avviato con gli spirituali renani.
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Il dotto Padre Antonio Mirandola (al secolo Fabrizio Petrucci, Bologna 1573 – 1648) fu autore di vari testi di argomento teologico, ma era un appassionato cultore delle arti e lui stesso, sotto lo pseudonimo di Fabrizio Alodnarim, pubblicò alcune commedie. Promosse, come si è detto, le prime importanti commissioni bolognesi di Guercino compresa la fondamentale pala pubblica per San Gregorio con la Vestizione di San Guglielmo d’Aquitania. Il testo più famoso del Mirandola, l’Hosteria del mal tempo, datato 1639 (Fig. 6), è espressamente dedicato, in bella evidenza nel frontespizio, a Giovan Francesco Barbieri, segno di un’amicizia e di una stima incondizionata.
Anche dopo la morte del Mirandola, avvenuta nel 1648, il nostro pittore mantenne i rapporti con i canonici di San Salvatore e ritengo eseguito di ‘suo pugno’ un altro Ritratto di Abate di San Salvatore conservato agli Uffizi (Fig. 7) e strettamente legato al dipinto Altomani qui presentato (vedi Fig. 1).
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Le dimensioni delle due tele sono del tutto assimilabili, col minimo scarto di un paio di centimetri, la posa è la medesima e gli abiti corrispondono alla stessa divisa dei canonici bolognesi. La mantellina stretta diagonalmente sul fianco sinistro e una sola divergenza nel copricapo, da Abate per l’appunto nel dipinto degli Uffizi (vedi Fig. 7) e da Curato nell’opera inedita (vedi Fig. 1). Pure in questo quadro il soggetto tiene lo sguardo in direzione del pittore e anche se appare meno vivido non rende severa l’espressione del volto, che termina in un sorrisetto sotto i baffi, decisamente ironico. Ma è soprattutto la pittura rastremata, fatta di pennellate dense e sottrazioni sapienti, che segnano la massa cromatica anche con la stecca del pennello, come si ritrova nei due colletti laterali (vedi Figg. 8 e 9).
Circa l’identità del religioso non escludo possa trattarsi dell’ultimo Ritratto di Padre Mirandola, che divenne Abate Generale della stessa congregazione renana.
Sin dai primi anni del XVIII secolo, negli inventari degli Uffizi, la tela veniva considerata opera di Guercino. Le vicende del ritratto ‘fiorentino’ mutarono dopo il 1975, quando Evelina Borea lo pubblicò sotto la definizione di ‘ignoto pittore’ (vedi Pittori bolognesi del Seicento nelle Gallerie di Firenze, catalogo della mostra a cura di E. Borea, 1975, n. 20) e fu in seguito Prisco Bagni, nel 1986 ad assegnarlo a Benedetto Gennari, nipote dello stesso Guercino (P. Bagni, Benedetto Gennari e la bottega di Guercino, Bologna 1986, p. 22).
Devo tuttavia riferire che nel decennio in cui ho frequentato e collaborato con Sir Denis Mahon, tra il 2001 e il 2011, varie volte si discusse sulla inadeguata ricostruzione della ritrattistica di Guercino e anche quel dipinto figurava tra le opere da riconsiderare, perché la mancata citazione di un ritratto entro il Libro dei Conti non deve necessariamente implicare una sua esclusione dalle opere autografe, dato che quel prezioso documento, conservato in originale presso l’Archiginnasio di Bologna, non registrava mai i doni che l’artista elargiva agli amici. Era infatti un documento prettamente contabile che elencava solo le entrate della bottega.
Dal punto di vista stilistico l’opera degli Uffizi, il Ritratto di Abate di San Salvatore (vedi Fig.7) è compatibile con i modi espressi nella seconda metà degli anni Quaranta e coincide con gli ultimi anni di vita del Mirandola, così come il Ritratto di Canonico di San Salvatore (vedi Fig. 1) lo è con la maniera di Guercino di qualche anno dopo.
Li possiamo immaginare in origine collocati vicini tra loro, presumibilmente nei corridoi della canonica bolognese, in entrambi i dipinti la stesura è aperta, calda e sensibilissima, ogni pennellata si mostra densa e decisa, lontana dal controllato e compatto ductus di Benedetto Gennari, sempre attento a rendere scintillante almeno qualche particolare dell’abito e perfino dell’incarnato.
Circa la ricerca identitaria del canonico ritratto nel primo dipinto (vedi Fig. 1), mi preme segnalare una forte somiglianza con un bellissimo disegno di Guercino, transitato qualche anno fa presso la Sotheby’s di New York, il 26 gennaio 2022 (Fig.10).
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10 Guercino, Studio per ritratto di gentiluomo (presunto Autoritratto), già New York, Sotheby’s 26 gennaio 2022
Mi riferisco a un disegno minuziosamente rifinito che al suo riemergere venne interpretato da Nicolas Turner come un Autoritratto del pittore centese. Malgrado l’idea suggestiva non ho mai aderito a questa identificazione, nel disegno le fisionomie risultano troppo allungate e poco compatibili con i caratteri ben noti di Giovan Francesco Barbieri, ma il riemergere di questo nuovo dipinto (vedi Fig. 1) elimina ogni dubbio in tal senso e induce a riconsiderare quella prima deduzione.
È vero che il personaggio raffigurato nel disegno veste abiti civili, ma appare anche di qualche anno più giovane rispetto al dipinto e la sua scelta spirituale poteva non essersi ancora concretizzata, come spesso succedeva nel secolo di cui parliamo, sta di fatto che ogni particolare del volto, seppur osservato in angolazione differente, si trova, come dire, in perfetta assonometria.
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Tra il volto del disegno e quello del dipinto (Figg. 11 e 12), si potrebbero tracciare punti e linee di corrispondenza assoluta come è d’abitudine nei disegni architettonici per riportare gli elementi di un palazzo dalla visione frontale a quella laterale.
Identico è il lungo naso affilato, così come sono sovrapponibili l’incavo dell’occhio, le sopracciglia rialzate, l’ondeggiare del labbro, la magrezza che scava le guance e l’accentuazione del mento dovuta al pizzetto, oltre che a un prognatismo della mascella, aspetti che il volto del Barbieri di certo non presentava (Figg. 13 e 14).
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Sia nel Ritratto di Guercino realizzato in disegno da Ottavio Leoni (Fig. 13), che nell’Autoritratto della collezione Schoeppler (già Feigen, Fig. 14) si può constatare che la lunghezza del naso non è la stessa del disegno newyorkese (vedi Fig. 10) e la mascella non mostra alcun prognatismo, questo aspetto invece risulta evidente sia nel foglio sia nel nuovo dipinto (vedi Figg. 11 e 12).
Si possono instaurare confronti molto utili con il frate collezionista di disegni, identificato come Ritratto di Bonaventura Bisi detto il Pittorino.
Pubblicato da Nicosetta Roio nel 2004 come Benedetto Gennari (N. Roio, La Scuola del Guercino, E. Negro, M. Pirondini and N. Roio, Modena 2004, pp. 136-137) era invece stato già attribuito giustamente a Guercino da Maurizio Balena che lo aveva scoperto in una collezione privata di Parma. Io stesso confermai il nome di Guercino quando lo vidi nella galleria dell’antiquario riminese, ben prima di quella pubblicazione. Concordarono poi anche David Stone e Daniele Benati in occasione del passaggio in asta presso la Christie’s di Londra il 9 dicembre 2015 (vedi citazione nel relativo catalogo).
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Per l’opera si sono poi ritrovati importanti riscontri documentari che attestano una storica assegnazione al Barbieri (vedi G. Atti, Intorno Alla Vita e Alle Opere di Gianfrancesco Barbieri detto il Guercino Da Cento. . . [Luigi] 60, 1861, p. 132, ‘Frate Bigio detto il Pittorino è in casa Aldrovandi a Bologna (1843)’. Ma anche in Anonimo, Notizie De’ Quadri Della Collezione Aldrovandi in Bologna, 1869, p. 6, no. 9, sotto la voce “Guercino”:
‘Il ritratto di Fr. Bigio detto il Pittorino, mezza figura al vero in abito claustrale, ed in atto di guardare o invitare lo spettatore a vedere un disegno a matita rossa sopra carta, che tiene spiegata nella destra mano, nel quale è delineato il ritratto di un gentiluomo la cui testa vedesi di profilo; accenna poi colla sinistra ad altri disegni tracciati su carte e posti in un tavolino, e ad una scanzia di libri veduta più indietro. é dipinto nella seconda maniera del centese maestro, con accuratezza d’esecuzione ed osservanza del vero, sicchè appare non solo d’esser somigliante, ma vivo e parlante’).
Davvero parlanti sia il Bonaventura Bisi(vedi Fig. 15) che il nuovo Canonico di San Salvatore (vedi Fig. 1), sembrano risposte semplici al genere del ritratto, ma un genio della pittura non ha bisogno di temi affascinanti per manifestare il proprio pensiero estetico, basta la costa di un libro impolverato o il trascolorare di una guancia, la rapida scialbatura di un colletto o la luce inumidita di un occhio.
D’altro canto convergono ormai i pareri di molti studiosi sulla paternità di Guercino anche per il Ritratto di frate cappuccino (Fra Girolamo Cavalieri), della Pinacoteca Civica di Cento (Fig. 16).
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Si allarga dunque la conoscenza dell’attività ritrattistica di Guercino, soprattutto in ambito spirituale e vanno auspicate ricerche negli archivi della canonica di San Salvatore che potrebbero aggiungere importanti novità documentarie al legame che portò l’artista a destinare le sue spoglie a quella chiesa bolognese.
Non può venir sottovalutata la notizia, riportata negli annali del convento:
“Giovanni Francesco Barbieri, detto Il Guercino, che per lungo tempo fu accolto dai Canonici e volle essere sepolto nella loro sede nel 1666 accanto alle spoglie del fratello Paolo Antonio Barbieri”
(vedi Marcello Fini, Bologna sacra: tutte le chiese in due millenni di storia, Bologna, Edizioni Pendragon, 2007).
Sapere che “per lungo tempo fu accolto dai Canonici” di San Salvatore è un fatto che merita pieno approfondimento e alcune riflessioni. Presumibilmente questo periodo di ospitalità andrà collocato prima del 1642, anno in cui l’artista prese abitazione a Bologna, in Via del Carbone (oggi Via Sant’Alò). Si può immaginare che prima di quel definitivo trasferimento, nelle numerose occasioni in cui doveva adempiere a incarichi bolognesi, venisse accolto dai Canonici di San Salvatore.
Non diversamente da Giovan Francesco Guerrieri da Fossombrone, che a Roma divenne il ritrattista eletto dagli Oratoriani di San Filippo Neri (vedi M. Pulini, Il Fossombrone ritrattista degli oratoriani. La raccolta Mattei e Antiveduto Grammatica, in “Paragone”, 60, 2005, pp. 31-39), anche Guercino si rivela l’artista preferito dai canonici renani bolognesi.
Nel dicembre del 1666, all’indomani della morte di Giovan Francesco, per onorare una vita integerrima, immersa nel lavoro, ma caritatevole e prodiga anche di assistenza agli indigenti, considerati da lui come familiari, venne tributati funerali d’eccezione a Guercino e il suo corpo venne vestito in abito da cappuccino.
Massimo PULINI, Montiano, 16 febbraio 2025