Gli inventari Barberini. Ancora importanti novità e documenti inediti dagli Archivi della nobile famiglia studiati da Lorenza Mochi Onori.

di Lorenza MOCHI ONORI

Gentili Amici è con grande soddisfazione che pubblichiamo -su precisa volontà dell’Autrice- un nuovo pdf con un ulteriore inedito contributo della Prof.ssa Lorenza Mochi Onori relativo agli Inventari Barberini. Come chiarisce la studiosa nella “legenda” (che appare nel Pdf) si tratta degli inventari della divisione Sciarra consistenti in due documenti che riportano l’elenco delle  opere della casa Barberini da dividere fra i due eredi, Maffeo Sciarra Colonna Barberini e Francesco Barberini Colonna, ambedue redatti dai più noti artisti del tempo, Gaspare Landi e Vincenzo Camuccini.
Come abbiamo avuto modo di sottolineare in una precedente pubblicazione, ai Barberini, ai loro archivi, ad ogni loro documentazione inventariale, Lorenza Mochi Onori ha dedicato, oltre che svariati anni di studi e ricerche, una considerazione particolare arrivando ad una prima importante verifica nel 2007 nello straordinario convegno di studi curato in collaborazione con due eminenti colleghi, quali Francesco Solinas e Sebastian Schutze, seguito poi da una ponderosa pubblicazione dal titolo Barberini e la Cultura europea del Seicento, che resta un risultato ineludibile dal punto di vista metodologico e scientifico per chiunque approcci e progetti un lavoro di indagine sulle più importanti famiglie romane e sul ruolo che ebbero quali promotrici degli sviluppi storico artistici in quella che era allora la capitale internazionale della cultura e dell’arte. Ma non soltanto: le vicende legate alle successioni, al fidecommesso, alla spartizione e poi alla vendita dei numerosi quanto preziosi beni rivelano uno spaccato di un mondo, quello della nobiltà romana, ormai in pieno incontrastato ed inarrestabile declino.
Non possiamo infine non rilevare come siamo venuti ultimamente a conoscenza di una pubblicazione a firma del Prof. Enzo Borsellino concernente proprio gli archivi Barberini che in effetti sembra riprendere – come si capisce anche dal sottotitolo (“La collezione d’arte dei principi Barberini tra vincoli e vendite nei diocumenti del XIX secolo“) precisamente quanto stiamo pubblicando dallo scorso 2024. Ci corre l’obbligo di rimarcare a questo proposito che ferma restando la possibilità di chiunque di accedere ad archivi aperti agli studiosi (di cui proprio la Prof.ssa Mochi Onori aveva dato generosamente e forse ingenuamente notizia nel convegno sui Barberini, indicandone perfino la collocazione archivistica) tuttavia confermiamo come assolutamente inediti ed originali i contributi della Porfessoressa la quale ha concesso la pubblicazione ad About Art affinchè gli studiosi e i ricercatori se ne avvantaggiassero GRATUITAMENE.
Cornelia Costanza Barberini e Giulio Cesare Colonna di Sciarra, da originali di Pompeo  Batoni, salottino dei ritratti, appartamento del Settecento, Palazzo Barberini

La divisione del Fidecommisso Barberini

La massima consistenza della straordinaria collezione di opere d’arte raccolta per tuttto il Seicento dalla famiglia Barberini si può ritrovare nei tre importanti inventari che furono redatti subito dopo la morte del Cardinale Francesco Juniore nel 1738[1]: il primo relativo ai suoi  beni, il secondo ai  beni appartenuti allo zio Cardinal Carlo, che andavano tenuti separati per testamento di quest’ultimo, infine, nel 1739, un terzo inventario comprendente i beni del maggiorasco, della secondogenitura e del Baliaggio (questi ultimi saranno oggetto di liti che si trascineranno per due secoli).

All’inizio del secolo l’ultima erede della famiglia era Cornelia Costanza  (1716-1797), figlia di Urbano (1664-1722), terzo principe di Palestrina e di Maria Teresa Boncompagni, sposata in terze nozze, era stato infatti escluso dalla successione da un breve di Benedetto XIII Orsini nel 1725 il bastardo Maffeo, fratellastro di Cornelia Costanza, modificando così il fidecommisso di Urbano VIII, in ossequio al parere del Cardinale Carlo Barberini, che era morto nel 1704.

 La scelta di un marito per la giovanissima principessa aveva suscitato molti appetiti nelle famiglie romane, dato l’ingente patrimonio della fanciulla. Lo zio Cardinale Francesco Barberini Junior, tutore della ragazza, scelse per lei Giulio Cesare Colonna di Sciarra principe di Carbognano e grande di Spagna (1702-1787). Il matrimonio fu decisamente contrastato dalla madre Maria Teresa Boncompagni.

Lo zio Cardinale nel 1727  sottrasse la piccola Cornelia Costanza alla tutela della madre, conducendola nel convento delle Barberine[2] e alla fine  ottenne un Chirografo del papa favorevole al matrimonio. Il Cardinal Francesco dovette faticare per ottenere una dispensa per le nozze, dal momento che Cornelia Costanza non aveva ancora 12 anni. Dalla parte della madre, la principessa vedova Boncompagni Barberini, che non voleva il matrimonio, si schierò l’imperatore; peraltro il papa il 17 dicembre 1728 volle conoscere la volontà della giovane principessa sul matrimonio, decidendo di porla in un altro monastero [3]  proprio il giorno prima che compisse i 12 anni. Il giorno successivo a che ebbe compiuto gli anni, il 19 dicembre 1728, il cardinale prelevò la nipote dal convento e la portò dallo sposo, cosa che procurò lo sdegno dell’imperatore, il cui perdono arriverà solo nel 1730 [4], mentre Cornelia Costanza si riappacificherà con la madre solo nel 1732[5].  Dal matrimonio nacquero 10 figli, la primogenita nel gennaio del 1730, il primo maschio nel giugno del 1733[6].

I patti concertati dalla volitiva principessa di Carbognano, madre dello sposo, e favoriti dalla nonna della fanciulla, l’ottuagenaria principessa Giustiniani Barberini, sancirono che i Colonna avrebbero pagato i debiti accumulati dal padre della sposa, lo sposo avrebbe acquistato il cognome dei Barberini e il maggiorasco Barberini (ben più ricco di quello Colonna di Sciarra) sarebbe andato al primogenito della coppia, il secondogenito avrebbe continuato la famiglia Colonna; Cornelia Costanza sovvertirà quest’ordine, creando un funesto conflitto che dividerà il fidecommisso.

Nell’inventario del 1739 è compreso

“tutto ciò che, particolarmente di mobili e cose preziose vi si era aggiunto per le successive disposizioni del Cardinale Francesco Seniore, di D.Maffeo e di Donna Olimpia Giustiniani”,

come è indicato nel testo a stampa del 1810 relativo alla causa per l’eredità di Cornelia Costanza[7].

 Questi inventari comprendono non solo le opere d’arte ma tutti i beni del patrimonio, che era confluito per intero nelle mani del cardinale Francesco Juniore, tuttavia erano pesantemente gravati da debiti, e il tentativo che traspare dalla redazione degli inventari è quello di ridefinire la consistenza.

Nel 1769 Cornelia Costanza aveva chiesto al papa Clemente XIV Ganganelli la divisione dei suoi beni da quelli del marito, Giulio Cesare Colonna, che sappiamo aver spesso contratto debiti anche sul patrimonio della moglie. L’autonomia nell’amministrazione del suo patrimonio le fu concessa dal gennaio 1770.

Successivamente dal 1777 Cornelia Costanza coinvolge nell’amministrazione il figlio secondogenito Carlo Maria, duca di Montelibretti, a cui poi intende lasciare il fidecommesso Barberini, Cornelia Costanza come titolare del fidecommesso aveva la possibilità di designare l’erede e la principessa, chiaramente parziale verso il secondogenito, assegnò a questi la primogenitura Barberini, molto più ricca di quella Colonna. Peraltro nei capitoli matrimoniali si indicava che doveva essere il primogenito della coppia, che ebbe dieci figli, ad assumere la primogenitura Barberini, e il nome di Urbano che gli era stato imposto lo confermava.

La causa fra i figli di Cornelia Costanza nasce dal fatto che Cornelia Costanza non avrebbe potuto designare l’erede del maggiorasco, in particolare il secondogenito anziché il primogenito, avrebbe infatti perduto questo privilegio contravvenendo alle disposizioni del fidecommesso stesso, avendo  alienato opere che ne facevano parte, per questo motivo avrebbe anche perso il possesso stesso del maggiorasco.

Nella causa [8] sono ricordate queste alienazioni che sono all’origine del procedimento legale e che costituiscono di fatto la prima dispersione del patrimonio artistico dei  Barberini.

E’ da ricordare che le alienazioni della principessa iniziano subito dopo il 1760 (la maggior parte intorno al 1767, due anni prima della richiesta di amministrare personalmente il patrimonio), sono quindi sicuramente legate ai debiti contratti dal marito e si tratta di  alienazioni effettuate per volontà o con l’avvallo del principe suo consorte, a differenza di quanto sosterranno gli avvocati del ramo Sciarra nella causa per la divisione del fidecommisso.

Nella causa la principessa è persino accusata di non aver inserito negli inventari opere fondamentali, e di averlo fatto per riservarsi la possibilità di venderle.

Gli atti citano:

“la statua di Mnemosine, la nave di Palestrina, il sarcofago di Agamennone, e quello di Protesilao, il basso rilievo del circo, l’obelisco; i Capofuochi dell’Algardi, un quadro di Claudio e uno di Domenichino[9]

La statua di Venere fu venduta a Gavin Hamilton e Cornelia Costanza personalmente aveva venduto i modelli di creta dei due alari dell’Algardi. Cornelia Costanza è inoltre accusata di aver sottostimato le opere per poterle vendere, come una celebre statua di Venere stimata 300 scudi, venduta per 800 e rivenduta da Jenkins per 12000, o la statua colossale di Giunone stimata 260 e venduta per 2600. Cornelia Costanza avrebbe approfittato del fatto che negli inventari erano descritte quattro statue di Venere, tre di queste furono vendute, la più bella delle quali fu acquistata dallo scultore Pietro Pacilli che la vende a Jenkins. Sono citati oltre alla Venere, una statua di uno schiavo che morde un braccio umano, il busto di Alessandro il grande, (queste tre opere vendute a Jenkins fra il 1763 e il 1765), l’Amorino dormiente, il Narciso alla fonte, l’Adone, l’Atalanta, ecc. Ancora l’antiquario Jenkins acquista i candelabri prenestini, che rivende a Cavaceppi, da questi rivenduti al Vaticano, sempre Cavaceppi avrebbe acquistato nel 1765-66 una quantità enorme di frammenti scultorei conservati nel palazzo, passati attraverso Villa Albani (per le mani antiquarie del Cardinal Alessandro).

Claude Lorrain, Imbarco di Sant’Orsola, Londra, NationalGallery

Sicuramente Cornelia Costanza vendette numerosissimi dipinti, negli anni dal 1760 al 1770, prima di disporre personalmente del patrimonio e probabilmente a causa dei debiti contratti dal marito. Vendette nel 1760 la tela con l’Imbarco di S.Orsola di Claudio Lorenese a Gavin Hamilton (ora alla National Gallery di Londra) il S.Girolamo di Guido Reni, descritto tal Teti, i suonatori di Gherardo delle Notti, Il Labano (forse il dipinto con Labano cerca gli idoli  ora alla Bristol City Art Gallery) o più probabilmente il pendant, L’incontro di Giacobbe e Labano di Pietro da Cortona (ora al Louvre), un giovane nudo di Correggio (oltre a gioielli, argenti). Nel 1770 la principessa vende la copia della Trasfigurazione di Raffaello fatta da Carlo Napoletano, messa in vendita già dal 1766 per settemila zecchini, il dipinto con Giacobbe ed Esaù di Pietro da Cortona, la Vergine col Bambino del Parmigianino, quadro descritto dal Teti nel palazzo.

E’ citato nel processo anche un fatto inquietante: sarebbe stato incaricato il pittore Francesco Polino (testimone nel processo) di copiare di nascosto opere della galleria per sostituire gli originali e permetterne la vendita. L’abitudine dei Barberini di far fare copie delle opere della collezione, pur comune nel collezionismo sei-settecentesco, è particolarmente documentata, nelle copie da grandi autori. L’allievo prediletto di Sacchi, Carlo Magnone, esegue una copia del Suonatore di Liuto di Caravaggio, già di proprietà del cardinal del Monte, entrato nella collezione Barberini. Un altro copista, oltre il Magnone al servizio dei Barberini era Antonio Mariani della Cornia, specialista nel copiare Correggio.

Le liti ereditarie dei figli, che si dovevano dividere le primogeniture Colonna e Barberini, vertevano essenzialmente sulla divisione in due parti della più ricca primogenitura Barberini, si arrivò infine a una divisione delle collezioni artistiche della famiglia Barberini fra i due rami della famiglia Colonna di Sciarra e Barberini.

In una serie di sentenze rotali dal 1804 al 1810 e definitivamente in corte d’appello a  Parigi nel 1811, viene sancita la divisione dei beni del maggiorasco, operazione resa possibile anche dall’abolizione dell’istituto del fidecommesso, operata dai francesi, che governavano Roma, con una legge del 14 giugno 1809.

Gli accordi relativi alla divisione delle opere si protraggono per alcuni anni, dalle prime divisioni e stime del 1812 fino al 1818. Molto importanti i documenti e gli elenchi dei dipinti con le perizie per questa divisione, che qui si pubblicano. Le perizie forniscono le valutazioni necessarie alla creazione di lotti uguali, indicati con la lettera A per il ramo Barberini, B per il ramo Sciarra Colonna. La stima e la valutazione sono a cura di due importanti pittori di quel momento a Roma: Gaspare Landi (!756 -!830) che divenne presidente dell’Accademia di San Luca dal 1817 al 1820, e Vincenzo Camuccini (1771-1844) che volgeva anche l’attività di restauratore.

 Le opere sono divise per classi, con la spartizione delle opere nelle due proprietà in una divisione equa, secondo la classe di interesse individuata nel valore artistico e venale dei dipinti, mostrando non solo l’evoluzione della collezione ma in particolare il gusto che determina la valutazione delle opere non fidecommissarie. Alcune opere vengono declassate e altre valutate eccessivamente[10]; un elenco a parte riporta le opere che si intendevano scambiare e diversi scambi vennero effettuati immediatamente, come il dipinto del Camassei con la Caccia di Diana, passato dagli Sciarra ai Barberini, o il Pico trasformato in Picchio del Garofalo passato dai Barberini agli Sciarra. Per molte opere provenienti dalla collezione Barberini aggiunte a quelle già della famiglia Maffeo Colonna di Sciarra voleva erigere un fidecommesso nel 1835

Benvenuto Tisi, il Garofalo, Pico trasformato in Picchio, Gallerie Naz.li di Palazzo Barberini

Le divisioni ci danno un panorama abbastanza preciso dell’assetto finale delle due collezioni, anche se è necessario tenere presenti i cambi sopravvenuti dopo la divisione oltre alle copie eseguite per completare i pendants divisi. Invano i Barberini cercarono di recuperare la parte fidecommissaria dei beni della famiglia nel 1871, quando, dopo la presa di Roma lo Stato italiano abolì i fidecommessi, il ramo Barberini perse definitivamente la causa nel 1873.

Per la parte toccata ai Barberini è fondamentale un inventario barberiniano della metà dell’Ottocento,

l’“Inventario Generale di Quadri dell’Eccma Casa Barberini redatto per ordine di S.Eccza il Sig. Principe di Palestrina D. Francesco Barberini l’Anno 1844”,

redatto da Enrico Di Dominici, pubblicato da chi scrive in questa stessa sede in data 10 Aprile 2024  che descrive minutamente la sistemazione delle opere nel palazzo Barberini dopo la divisione con gli Sciarra

La restante parte della collezione proveniente dal patrimonio Barberini passata al ramo Sciarra subirà poi una grave dispersione con lo scandalo dell’esportazione illegale nel 1891-1892 di 21 capolavori della collezione[11], fra cui importanti opere in origine Barberini come i Bari di Caravaggio ora al Kimbell Art Museum di Forth Worth (Texas). Questa vendita è seguita, nel 1897 dalla cessione ai creditori dell’intera galleria; del 1898 è la vendita del palazzo Sciarra e di altre 133 opere d’arte. Si trattava in particolare dei dipinti, che furono venduti in asta giudiziaria presso la galleria Sangiorgi, che aveva sede a Palazzo Borghese; il nucleo principale di queste opere fu acquistato da Edoardo Almagià[12].

Lorenza MOCHI ONORI Roma 19 Febbraio 2025

NOTE

[1]Gli inventari del Cardinale Francesco Junior sono pubblicati su internet dal Getty Provenance Index
[2] Valesio, vol.IV, pp.779-780
[3] Valesio, vol.IV, p.1030-1031
[4] Valesio, vol.V, p.262
[5] Valesio, vol.V, p.450
[6] Valesio, vol.V, p.605
[7] 1810, B.A.V. RG DIR III 1350
[8] 1810, B.A.V. RG DIR III 1350
[9] 1810, B.A.V. RG DIR III 1350
[10] Basti pensare all’importanza data alla  Beatrice Cenci, allora attribuita a Guido Reni, già vista come icona romantica
[11] Pietrangeli, 1986, p.341 e ss.,e Fineschi, 1995, pp.42-53
[12] Parte dei dipinti confluirono nel patrimonio dell’I.N.P.S., che acquistò Palazzo Sciarra al corso dalla Cassa di Risparmio per le Province Lombarde nel 1904, sono attualmente conservati nel palazzo di questo ente all’EUR. Queste opere sono state in gran parte rintracciate negli inventari della famiglia

Bibliografia

M.Aromberg Lavin, Seventeen Century Barberini Documents and Inventories of Art, New York 1975

F.Valesio, Diario di Roma, a cura di G.Scano, Milano 1978

C.Pietrangeli, Palazzo Sciarra, Roma 1986

Getty Provenanx Index

A.Fineschi, Lo scandalo Sciarra: libero mercato o pubblico interesse?, in Gazzetta Antiquaria, n.25-26, 1995, pp.42-53

L.Mochi Onori, Le vendite di Cornelia Costanza e le copie dei dipini, in Atti del convegno internazionale di studi: “I Barberini e la cultura europea del Seicento”,  L.Mochi Onori, S. Schutze e F.  Solinas, a cura di, Roma 2007,  pp.629-636

L.Mochi Onori, Le vicende dei dipinti dopo la devoluzione del ducato alla Chiesa, in A.Marchi, a cura di, Lo studiolo del Duca. Il ritorno degli uomini Illustria alla corte di Urbino, catalogo della mostra Urbino 7 marzo-9 luglio 2015

L. Mochi Onori, Cornelia Costanza Barberini: le vendite di opere della collezione e le committenze artistiche nel Palazzo Barberini, in Olga Piccolo (a cura di), Correggio: il ‘Giovane ignudo’ dalle collezioni Este, Sforza e Barberini. Studi e ricerche, Scripta Edizioni, Verona 2025 [in corso di stampa].