Lucrezia Borgia di Donizetti torna con successo al Teatro dell’Opera dopo 45 anni

di Claudio LISTANTI

Dopo 45 anni è tornata sulle scene del Teatro dell’Opera di Roma la Lucrezia Borgia di Gaetano Donizetti una delle opere più importanti e significative del cospicuo catalogo del compositore bergamasco. L’ultima apparizione a Roma di questo indiscusso capolavoro del teatro per musica risale, infatti, al mese di maggio del 1980 alla cui esecuzione partecipò una stella assoluta del canto dell’epoca, il soprano Joan Sutherland, evento che è rimasto nel nostro cuore e in quello di tutti gli appassionati d’opera romani.

Per l’edizione di quest’anno il Teatro dell’Opera ha predisposto un nuovo allestimento affidato alla regista argentina Valentina Carrasco e al direttore Roberto Abbado affiancati da una buona compagnia di canto nella quale ha ben impressionato la prova del soprano Lidia Fridman nel ruolo della protagonista.

Fig. 1 Lidia Fridman protagonista di Lucrezia Borgia © Fabrizio Sansoni-Teatro dell’Opera di Roma.

Lucrezia Borgia fu rappresentata per la prima volta il 26 dicembre 1833 per l’apertura della Stagione di Carnevale del Teatro alla Scala di Milano. La scelta di questo soggetto basato sul dramma omonimo di Victor Hugo fu influenzata dall’interprete principale, il soprano francese Henriette Méric-Lalande stella del canto di quegli anni alla quale il teatro milanese affidò l’apertura di quella stagione e che rifiutò alcuni soggetti proposti dal teatro tra i quali una Saffo di Saverio Mercadante con il testo di Felice Romani librettista in auge tra i gli operisti dell’epoca. Proprio Romani per superare questa impasse imposta dalla cantante, propose di ridurre per l’opera il dramma Lucrèce Borgia di Victor Hugo che proprio il 2 febbraio dello stesso 1833 era andato in scena per la prima volta, la cui musica fu affidata a Donizetti vista la sopraggiunta impossibilità da parte di Mercadante a produrre la partitura.

Il contratto fu firmato il 10 ottobre e la nota lentezza del Romani nel produrre i libretti consentì a Donizetti di venire in possesso del libretto solo il 18 novembre per il prologo e il primo atto e il 26 novembre per il secondo atto. Praticamente il testo completo giunse nelle mani del compositore appena una settimana prima dell’inizio delle prove fissato per il 3 dicembre. Comunque si arrivò per tempo alla prima del 26 dicembre anche se, è da riconoscere, che l’opera fu soggetta in seguito a diversi aggiustamenti nel corso delle rappresentazioni successive.

La difficoltà più grande nel porre in scena un dramma di Hugo era quello della censura. Nella Lucrèce Borgia la protagonista, figlia di papa Alessandro VI e sorella di Cesare e Giovanni Borgia, ha avuto Gennaro da una relazione incestuosa con Giovanni che proprio per questo fu fatto uccidere da Cesare amante di Lucrezia anche lui. Il nome del padre viene rivelato a Gennaro in punto di morte. Ovviamente tutto ciò scompare nella Lucrezia Borgia di Donizetti dove non si parla di papi e di incesti mentre la paternità non viene svelata. Inoltre in Hugo Gennaro colpisce a morte Lucrezia e solo dopo apprende il nome del padre. In Donizetti/Romani il matricidio non c’è perché, quando Gennaro tenta di colpirla, Lucrezia rivela essergli madre.

Fig. 2 Il soprano francese Henriette Méric-Lalande prima Lucrezia Borgia della storia.

Questi cambiamenti furono anche conseguenza dei ‘capricci’ da primadonna della Méric-Lalande che pretese una cabaletta di bravura da cantare al termine dell’opera sul cadavere del figlio imponendo anche di arrivare in scena nel prologo non indossando la maschera prevista dal libretto poiché correva il rischio di non essere riconosciuta alla sua entrata in scena e non essere applaudita al momento come era consuetudine per tutte le primedonne.

Nell’opera, Lucrezia Borgia, è rappresentata come femme fatale dai contorni quasi grandguignoleschi fedele alla fama e al mito di questa dama del rinascimento che ha contribuito ad alimentare la falsa credenza di donna atroce e terribile mentre studi approfonditi la presentano come donna politica e amministratrice intraprendente e di successo. Ma la falsa fama emerge nell’opera con episodi come l’avvelenamento collettivo da lei ordinato per vendicarsi di essere stata smascherata a Venezia con tanto di controveleno per salvare la vita del figlio che per altro rifiuta per morire con i suoi amici.

L’opera ebbe subito successo anche per l’indiscutibile livello dell’esecuzione che poteva contare, oltre alla presenza della Méric-Lalande, anche quella di altre stelle come il contralto Marietta Brambilla nella parte ‘en travesti’ di Maffio Orsini, del tenore Francesco Pedrazzi Gennaro e del basso Luciano Mariani nei panni di Alfonso I d’Este. Al suo primo apparire l’opera ebbe 33 recite (numero impensato per oggi) e iniziò a girare in altre città dell’Italia preunitaria dove ogni singola censura imponeva cambi di nomi e luoghi e, di conseguenza, il mutamento del titolo. Nel Granducato di Toscana e nel Ducato di Modena divenne Eustorgia da Romano cortigiana moglie di Ezzelino, a Ferrara divenne Giovanna Prima di Napoli, a Roma una medioevale Elisa da Fosco e a Torino La Rinnegata, cambiamenti che, di conseguenza, interessarono anche la parte musicale.

Con il finire dell’800, l’avanzare del verismo e della cosiddetta Giovane Scuola causarono l’immeritato oblio di questa opera che divenne, nel corso del ‘900 pressocché strutturale, con recite sempre più diradate come dimostrano questi 45 anni di assenza dal palcoscenico del teatro dell’Opera di Roma.

Fig. 3 Lidia Fridman (Lucrezia Borgia), Alex Esposito (Alfonso I d’Este) © Fabrizio Sansoni-Teatro dell’Opera di Roma.

Dal punto di vista storico-musicale Lucrezia Borgia si può considerare opera di transizione. Ormai lo stile ‘rossiniano’ e praticamente abbandonato anche se presente nella già citata cabaletta finale che comunque è una imposizione scaturente dalle consuetudini operistiche ancora in voga nel 1833. Allo stesso tempo si possono scorgere i prodromi di quello che sarà l’opera di concezione verdiana che si affermerà con forza nella seconda metà dell’800 che, comunque la si pensi, apre porte e spiragli a ciò che verrà nel ‘900. Tutto emerge dalla mancanza di una sinfonia sostituita da una introduzione orchestrale del tutto efficace. Stupisce anche la presenza del declamato come elemento per raggiungere l’intelligibilità del dramma ma, soprattutto, la sintesi con la quale viene proposta l’azione teatrale, le situazioni si alternano con rapidità ed efficacia drammatica per una teatralità di grande qualità.

Questo nuovo allestimento che ci ha proposto il Teatro dell’Opera è stato affidato alla regista argentina Valentina Carrasco artista di lunga esperienza in campo teatrale ed in particolare nel teatro d’opera. Qui a Roma è ricordata per Le Grand Macabre di György Ligeti messa in scena per la compagnia La Fura dels Baus e per ‘Les vêpres siciliennes’ di Verdi che inaugurò la Stagione Lirica 2019-2020.

Per questa realizzazione la Carrasco ha scelto di approfondire la tematica che lo stesso Felice Romani enuncia nelle avvertenze inserite come introduzione al libretto, scaturite dalla volontà di Victor Hugo di presentare la vicenda come conseguenza della difformità morale della protagonista purificata dalla maternità messa in evidenza al termine dell’opera. Tale elemento si abbinava ad un’altra difformità, quella fisica evidenziata con un altro grande dramma di Hugo, Le Roi s’amuse, che in questo caso è ‘santificata’ dalla paternità.

Fig. 4 Lidia Fridman (Lucrezia Borgia) in un momento dell’opera © Fabrizio Sansoni-Teatro dell’Opera di Roma.

La Carrasco ha voluto sottolineare questo fatto proponendo la presenza di un bambino che evocava la maternità della protagonista che si proiettava verso la condizione filiale di Gennaro. Inoltre altro elemento di un certo peso è stato l’uso pressocché continuo delle maschere, ad evidenziare le ‘doppie’ situazioni presenti nell’opera tra le quali, quello fondamentale, il doppio ruolo di Lucrezia, tra donna crudele e spietata e donna dallo spiccato senso materno che ne rileva una femminilità diversa e più dolce.

La Carrasco rinuncia, come sempre, all’ambientazione sia rispetto ai luoghi sia rispetto alle epoche, utilizzando per lo più costumi pressocché attuali, soluzioni abusate ormai risultanti banali alla vista anche se dobbiamo riconoscere, in questo caso, che la scena del prologo e del finale erano senz’altro accattivanti nell’insieme per la vivacità e la specificità dei colori. Buoni i movimenti scenici in linea con i contenuti dell’opera.

Preziosi per questa particolare visione della Carrasco sono stati i suoi collaboratori, Carles Berga per le scene, Silvia Aymonino per i costumi e Marco Filibeck per le luci, che hanno contribuito a rendere omogeneo tutto lo spettacolo.

Per quanto riguarda la parte squisitamente musicale c’è da dire che la compagnia di canto ha offerto una prova del tutto valida per parti vocali, come poco prima anticipato, concepite per cantanti molto importanti dell’epoca di Donizetti. Attesa era la prova del soprano Lidia Fridman, recentemente da noi ascoltata a Parma nella versione francese di Macbeth di Verdi, che ha confermato qui a Roma tutte le caratteristiche della sua voce, emissione sicura ed incisiva valorizzata da un adeguato spessore elementi che anche in questa occasione hanno contribuito a realizzare la difficile parte. Ha evidenziato inoltre facilità nel frequentare il registro acuto giungendo anche agevolmente al sovracuto finale anche se tenuto non molto a lungo così come efficaci e robuste sono state le emissioni più gravi; il tutto abbinato ad una particolare cura dei recitativi e dei movimenti scenici ci ha restituito un personaggio nel complesso del tutto credibile.

Fig. 5 Lidia Fridman (Lucrezia Borgia), Alex Esposito (Alfonso I d’Este) © Fabrizio Sansoni-Teatro dell’Opera di Roma.

Gennaro era il tenore Enea Scala che ha affrontato il ruolo con sicurezza mostrando adeguata presenza scenica ed una linea vocale del tutto rispettosa di quella creata da Donizetti. Alex Esposito è stato un Alfonso I d’Este dalla voce robusta di basso che frequenta con disinvoltura il registro grave al quale rimproveriamo però qualche eccesso nelle emissioni. Daniela Mack, mezzosoprano argentino, ci ha dato un Maffio Orsini senz’altro efficace scenicamente, vocalmente corretto anche se mancante di un adeguato peso specifico.

Nei numerosi ruoli secondari tutti cantanti che hanno ben figurato per i singoli personaggi. Raffaele Feo Jeppo Liverotto, Arturo Espinosa Don Apostolo Gazella, Alessio Verna Ascanio Petrucci, Enrico Casari Rustighello, Roberto Accurso Gubetta, Rocco Cavalluzzi Astolfo, Michael Alfonsi Usciere e Eduardo Niave, proveniente dal Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma, Oloferno.

A guidare l’Orchestra del Teatro dell’Opera e il Coro del Teatro dell’Opera diretto da Ciro Visco c’era Roberto Abbado. Direttore di larga e provata esperienza ha dato il giusto impulso a tutto lo spettacolo anche se all’inizio la sua direzione è parsa un poco opaca. Ma la sua prova è aumentata di spessore con il procedere dell’esecuzione riuscendo a dare quelle caratteristiche ‘pre-verdiane’ dell’opera delle quali abbiamo accennato prima regalandoci una esecuzione intensa e del tutto omogenea.

Al termine della recita (18 febbraio) il pubblico ha applaudito a lungo gli interpreti ad iniziare da Lidia Fridman che ha ottenuto un vistoso successo personale dopo la cabaletta conclusiva dell’opera. Per tutti fragorosi applausi per ogni cantante e, soprattutto, per Ciro Visco e il suo coro e per Roberto Abbado accolto alla sua uscita in palcoscenico da un folto applauso.

Claudio LISTANTI  Roma 23 Febbraio 2025