di Chiara GRAZIANI
I corvi volteggiano. Ma soprattutto sussurrano.
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Se il mondo guarda con preoccupazione allo stato di salute dell’unico leader mondiale che si spende per la pace come diritto inviolabile dell’umanità, continua il lugubre rumore di fondo che sale dalle cronache e dalle analisi dei soliti ben informati (o accortamente imbeccati). E’ il concerto delle profezie che si vorrebbero auto avveranti, quello che accompagna l’ultima prova fra le tante sostenute da Jorge Mario Bergoglio, 88 anni, ultimo monarca assoluto del pianeta (come, ad uso interno, ama ricordare) nonchè maggiore autorità religiosa dello stesso.
Una situazione che, anche alla luce dell’avvento del dis-ordine internazionale del caos e della prepotenza, dovrebbe essere seguita con generale apprensione. Papa Francesco, il papa dell’enciclica sociale – non ecologica ma sociale – Laudato Sì, sembra l’ultimo punto di equilibrio affidabile per ogni interlocutore, a qualunque religione, cultura o teatro geopolitico appartenga. Il Papa, incontrollabile, è la wild card della diplomazia che usa come un telaio per ricostruire ordito e trama delle relazioni internazionali, interculturali ed umane. Il Papa, questo Papa, ha un manifesto per il mondo senza avere interessi geostrategici che mettano in dubbio la sua terzietà. Il Papa, questo Papa, è la sola voce moralmente indiscutibile che si leva, argomentando politicamente ed analiticamente, contro la follia del riarmo mondiale, micidiale spirale di arricchimento per pochi e di polverizzazione di risorse e futuro per tutti gli altri.
Per Francesco la sola detenzione di armi atomiche è un peccato mortale. E l’ipotesi di alzare le spese in armamenti al 2% del Pil dei Paesi Nato gli è parsa “una follia” della quale ha detto pubblicamente mesi fa “mi sono vergognato”. Oggi che si pretende, con la prepotenza, il ricatto ed i piedi sul tavolo di arrivare al 3, al 5 (all’8% addirittura) del Pil consegnando il mondo alla guerra perpetua fra clan internazionali e la gente a miseria e lutti il Papa, questo Papa, è in ospedale.
Il cervello di un cinquantenne (hanno detto i medici del Gemelli), Francesco ha però una polmonite bilaterale e mezzo polmone destro in meno per un’operazione in gioventù quando, da giovanissimo seminarista, rischiò seriamente la vita in circostanze peggiori delle attuali: (pare che anche durante il Conclave che si avviava ad eleggerlo, nel 2013, qualcuno abbia fatto circolare la voce di questo presunto impedimento spingendo il cardinale Óscar Andrés Rodríguez Maradiaga a chiedere chiarimenti all’interessato).
Lucido, orientato, al lavoro pur nei limiti della situazione, Bergoglio è un Papa – piaccia o no – governante anche se sofferente. Eppure ad ogni ricovero risorge la pulsione a evocare dimissioni imminenti, o la speranza che in mancanza di peggio, Francesco si decida a lasciare. Così i corvi sussurrano. Ad ogni crisi del Pontefice, che combatte con buono spirito e volontà, riprende forza il partito delle dimissioni (giusto per inciso, se la situazione fosse a tal punto compromessa ai sussurratori basterebbe un pochino di pazienza).
Occorre, dunque, sintonizzarsi sul rumore di fondo delle cronache per rendersi conto degli automatismi, quasi riflessi pavloviani, che scattano in queste situazioni di potenziali riorganizzazioni del potere che fanno parte del Dna temporale del Vaticano. Nonostante la stampa internazionale abbia riconosciuto al Papa di aver ordinato la “massima trasparenza” sulle sue condizioni (due bollettini al giorno, conferenze stampa dei medici) , analisti di lungo corso italiani hanno fatto ricorso all’argomento di una presunta nebbia sulle condizioni reali del Papa. I bollettini quotidiani con gli atti di governo e di cura pastorale (nomine episcopali e di governo interno, i sigilli sulle beatificazioni, le catechesi del mercoledì, i messaggi dal Gemelli, l’Angelus) sono stati derubricati in alcune cronache ad una sorta di simulazione grazie ad atti precedentemente deliberati. Abbiamo, poi, ascoltato parallelismi – francamente improponibili – fra le condizioni che portarono alle dimissioni Benedetto XVI e quelle di salute che le suggerirebbero a Bergoglio: come se Ratzinger si fosse dimesso per problemi di salute (ha vissuto altri dieci, tranquilli anni) e non perché ingabbiato in una situazione di conflitto interno che non gli consentiva più il governo della Chiesa con le sue sole forze: e non è stato un caso che Bergoglio, come prima scelta, abbia abbandonato la residenza del Palazzo Apostolico, i suoi automatismi, i cerimoniali, i segretari personali, i percorsi obbligati e sperimentati da secoli, a favore della “normalità” di casa Santa Marta: ossia di un albergo interno al Vaticano caratterizzato dal via vai continuo di gente sempre nuova da tutto il mondo, ambiente adatto a farlo muovere con meno condizionamenti di quelli che aveva vissuto il predecessore.
Ultimo ma non ultimo, persino la maratona di preghiera per Francesco, con la recita quotidiana e serale del rosario in San Pietro ed in varie diocesi, è stata presentata come fosse una prova di posizionamento, se non di autocandidatura ad una successione presentata come imminente. Il cardinal Zuppi, amico personale di Francesco, era stato il primo a chiedere ai fedeli di riunirsi nella basilica di San Domenico a Bologna per invocare la guarigione del Papa pregando il Rosario. In questi giorni, poi, ogni sera in San Pietro un cardinale a turno presiede la recita dei misteri del Rosario conclusa dalla solenne preghiera Pro Pontifice. I sussurri hanno suggerito agli analisti che non un atto di fede ed amore per il Papa si tratterebbe ma di una vetrina di potenziali candidati eleggibili o aspiranti tali.
Ora, si dà il caso che i potenziali papi si dividano in due categorie. I rosi dall’ambizione temporale (e ce ne sono) e quelli che, al contrario, tremano alla sola idea di essere indicati dallo Spirito Santo (al quale credono) per un ruolo che li consegnerebbe nelle mani di tanti nemici (come recita l’antichissima e avveduta preghiera per il Pontefice riguardo gli “inimicorum eius”). Tutte e due i tipi, antitetici, tendono ad inabissarsi, per motivi diversi. Soprattutto il primo tipo, sa di aver bisogno di ombra, erba alta e, possibilmente, di un altro candidato impallinabile per far scaricare la fucileria avversa. Quelli di secondo tipo, per motivi opposti, non cercano certo l’attivismo e la visibilità. I Rosari sono, dunque, Rosari e non spot: come, al contrario, sussurrano i corvi impazienti.
Chi entra papa, esce cardinale. Eppure nello stesso giorno del compleanno del Papa, il 17 dicembre scorso, quando ancora non c’erano segni di affaticamento polmonare ma molto si chiacchierava su una caduta in Santa Marta, fu inaugurato un sito web dedicato ai dodici papabili, con annessa classifica e posizionamenti interni su temi sensibili. Classifiche che di rado hanno trovato conferma nella scelta finale. Su 121 elettori, la maggioranza dei quali scelti dal Papa regnante, moltissimi sceglieranno in base ad un criterio invalutabile a prescindere e che la logica temporale tende a non prendere in considerazione, pur essendo fondamentale. Il voto dello Spirito Santo. Che ci si creda o no, non aiuta sottovalutarlo. Perchè moltissimi cardinali ci credono e si regolano di conseguenza.
Lo Spirito Santo, dunque vota. Anche nel caso non esistesse. Nel senso che è presente in Conclave un fattore comune e condivisibile da gente di fede che può far rotolare la sfera del consenso di qua o di là. Chi ha scritto, come si è letto, “in conclave i cardinali votano, lo Spirito Santo no”, non ha gli informatori giusti o ha in mente altre assemblee. Tanto più che la apparentemente pragmatica considerazione di cui sopra avrebbe dovuto dimostrare la necessità di consentire, a Papa vivente e lucidissimo, dei pre-conclave per “consentire a cardinali che quasi non si conoscono di prendere contatti personali” per individuare un candidato.
I corvi sussurrano ed hanno fretta. Uno dei sussurri più raffinati pare diretto allo stesso Bergoglio, un suggerimento che ha le caratteristica della regina delle tentazioni: quella del potere, oltre la propria vita. Un Bergoglio emerito, si argomenta, potrebbe pesare più di un Francesco regnante o scomparso. In che modo? Assumendo, da vivente emerito la regia del Conclave per influenzare la scelta del successore: in ballo ci sarebbe, è il suggerimento, la continuità con l’attuale pontificato che è stato speso per costruire una Chiesa in uscita, una Chiesa ospedale da campo, una Chiesa portatrice di una visione del mondo unificante e non divisiva. In fondo non era stato Francesco a parlare di un ipotetico Giovanni XXIV che avrebbe tenuto fede agli impegni presi? Se scomparisse senza dimettersi Francesco non avrebbe alcuna garanzia sul futuro della Chiesa che potrebbe vedere l’ascesa di un conservatore.
La tentazione è spuntata dal fatto che Francesco rientra di certo nel numero di quelli che fermamente credono che lo Spirito Santo voti senza bisogno che si immischi lui di persona. Riguardo alle dimissioni per motivi di salute poi, occorrerebbe ricordare che l’attuale Papa ha regolato il problema all’origine, come ebbe a rivelare con l’abituale naturalezza.
“Consegnai – raccontò – le dimissioni in caso di impedimento grave all’allora segretario di Stato Tarcisio Bertone” nel 2013: “non so chi le abbia ora, immagino le abbia consegnate al successore”,
aggiunse ironico.
Si può immaginare che le condizioni dell’impedimento siano accuratamente indicate, note a chi di dovere. E che non trovino applicazione alcuna nella situazione corrente che potrebbe evolvere al meglio, come si augurano milioni di persone al mondo che pregano per lui o che, appartenendo ad altre fedi, gli “inviano onde positive” (è la formula con cui Bergoglio chiede vicinanza e sostegno spirituale ai non cristiani in genere). Con la massima instabilità ed infiammabilità del teatro mondiale, del resto, non sembra proprio il momento di arrendersi ad un’uscita di scena di questo Papa.
E lui non sembra intenzionato a farlo, inviando un fiducioso “arriverderci!” a chi spera di rivederlo in Vaticano. Dall’ospedale, luogo di fragilità e sofferenza “la guerra sembra ancora più assurda”, ha scritto infatti domenica nel messaggio per l’Angelus del 2 marzo, il terzo da ricoverato. “Preghiamo per la pace, sorelle e fratelli. In questo momento mi sento “portato” e sostenuto da tutto il popolo di Dio, grazie a tutti”. La fragilità, ha detto, è una benedizione che Dio gli concede di sperimentare.
Chiara GRAZIANI Roma 2 Marzo 2025