di Natale MAFFIOLI
L’altare di Sant’Anna
Nella chiesa parrocchiale di Spirano, un centro abitato della bassa pianura bergamasca, non molto distante dal capoluogo e dalla cittadina di Treviglio, sono conservati alcuni oggetti d’arte di notevole interesse frutto dall’intervento oculato dei parroci e della popolazione.
Negli anni trenta del 1800 l’altare di Sant’Anna, a detta dei membri della Fabbriceria [1], versava in pessime condizioni. Nella petizione inviata “Al I.R. Sub-Economo pei Vacanti del Distretto decimoterzo di Verdello” sotto la data del 10 maggio 1839 si affermava:
“Fra gli altari laterali di questa Chiesa Parrocchiale evvi quello dedicato a Sant’Anna di legno mal costrutto, logoro a segno tale da doversi sospendere anche il relativo uso“[2].
Di conseguenza la Fabbriceria aveva preventivato di erigerne uno nuovo, di marmo, e aveva già preso i dovuti contatti con un perito marmorino e aveva di già “Fatto (…) rilevare l’analogo progetto dall’architetto Sig. Giuseppe Berlendis di Bergamo“[3]. In poche parole tutto era pronto: compresi i denari per sostenere l’impresa.
Il Berlendis era stato a Spirano il 22 novembre dell’anno precedente; aveva compiuto tutti i rilievi necessari per la preparazione del progetto ed aveva predisposto tutta la documentazione grafica necessaria alla buona riuscita dell’impresa.
Una lista dei disegni presentata dall’architetto alla Fabbriceria e datata 12 febbraio 1839, elenca l’abbozzo, due disegni definitivi nella versione “con pianta facciata e colonato” e “fianco, spacato e lato della capella e tutti i dettagli, dalle “cornici con relativi ornati disegnati in grandezza naturale“, l’immagine del candelabro in marmo a lato delle colonne e della “cornice del quadro, d’eseguir in legno intaliata come al detto dettaglio“[4].
Il contratto con il “marmorino” Antonio Galetti, del fu Carlo, domiciliato in Bergamo, reca la data del 14 aprile 1839. Oltre alle affermazioni tipiche dello strumento, il documento ci comunica poche notizie riguardanti l’altare in sé. Si accenna al disegno e capitolato dell’architetto a cui bisognava prestare la massima attenzione e alla data di consegna del lavoro, fissata per l’aprile del 1840, con la penale di L.200 austriache in caso di ritardo.
Le lastre di marmo di Carrara avrebbero dovuto essere tutte di un sol pezzo (misura preventiva per impedire ogni operazione di “collage” soprattutto per le lastre di maggiori dimensioni). Interessante l’ingiunzione:
“Tutti i marmi occoribili nella costruzione dell’altare dovranno essere ricconosiuti dal Sig. Giuseppe Berlendis Architetto“[5].
Al marmorino si sarebbero pagate 5.000 lire. Certo la spesa non era tutta qui. Mancavano gli incerti dell’operazione.
Il 3 agosto pervenne alla fabbriceria la risposta del Sub-Economo del vicino luogo di Verdello (BG). Dopo aver preso atto dell’iniziativa, il funzionario esprimeva un suo parere sulle caratteristiche formali dell’erigendo altare:
“Il tipo poi presenta un altare la cui altezza non parrebbe proporzionata alla sua larghezza, mentre l’attico di esso riesce troppo elevato (…). La mensa dell’altare richiederebbe un ordine più gentile e degli ornamenti più adatti al suo carattere. Si dice candelabri disegnati lateralmente all’altare (era una coppia di questi elementi presentati nel disegno del Berlendis, ndA) non si troverebbero troppo convenienti, e parrebbe invece che a questi si dovrebbero sostituire delle statue“[6].
I suggerimenti, manco a dirlo, piacquero e si trovò una pronta esecuzione. L’architetto cambiò il disegno della mensa dell’altare, sostituendo le colonnine preventivate con una base parallelepipeda decorata a rilievi, attenuò la varietà dei marmi e, soprattutto, dispose di mettere due statue là dove erano stati disegnati i candelieri[7].
A sostegno di quest’ultima iniziativa aderì prontamente anche il parroco di Spirano don Giuseppe Ulietti. Si diceva disponibile a contribuire alla spesa pagando una delle due statue, ma a delle precise condizioni. La sua proposta fu subito ben vista dalla fabbriceria.
Possediamo una versione originale dei fatti in una relazione inviata al Sub-Economo il 18 maggio 1843:
“Tale suggerimento [sostituire i candelieri con due statue] risvegliò un generoso benefattore di questa chiesa, nella persona del Parroco locale don Giuseppe Ulietti, che si impegnò al pagamento di una di queste statue purché fossero realizzate dalla mano di perito e bravo scultore; la popolazione aggradì tale generosa offerta, e la Fabbriceria conoscendo di poter co’ risparmi in altre funzioni non necessarie sostenere il rimanente della spesa, senza pregiudicare menomamente i capitali della chiesa, anzi con utilità e vantaggio della stessa, procurandole così due capolavori, annuì al Rev.mo Sig.r Prevosto, che di concerto alla Fabbriceria stipulò il contratto col celebre scultor Somajni[8] mediante il Sig.r Avv.to e professore Barnaba Zambelli di Bergamo risiedente in Milano e conoscente ed amico d’ambe le parti, il quale per favorire questa chiesa si adoperò presso lo scultore, perché le suddette due statue rappresentanti S. Giuseppe (fig. 01) e S. Gioacchino (fi. 02) fossero dallo stesso eseguite con tutta diligenza e perfezion d’arte in marmo di Carrara di prima qualità pel prezzo di lire cinquemila austriache. (…). In fatti le due statue vennero eseguite, furono lodate ed encomiate ne’ pubblici fogli come opera di tutta finitezza di lavoro e dopo di essere state esposte nella pubblica esposizione di Brera dello scorso autunno [1842] vennero poste sull’altare con soddisfazione universale della popolazione“[9].


Nell’Archivio Parrocchiale si conserva la quietanza del Somaini unicamente per la statua di San Gioacchino, emesse rispettivamente il 9 ottobre e il 10 novembre 1842
“Milano 9. 8bre. 1842 – In conto del contrato convenuto colla Fabbriceria della Chiesa Parrocchiale di Spirano per la statua in marmo Carrara rappresentante S. Giovacchino da collocarsi nell’altare di S. Anna in quella Chiesa, dichiaro io sotoscritto d’aver ricevuto aus.che lire mille duecento cinquanta dico L.1250 a mano del Fabbriciere della medesima Sig.r Bernardo Maffioli. In fede Francesco Somajni Scultore” [10].
Il San Giuseppe venne pagato da don Ulietti (era interessato a questa immagine del santo perché era suo patrono) e le quietanze rimasero presso di lui e, purtroppo, disperse [11]. Le due sculture sono il risultato di un perfetto connubio dell’idea che si aveva in epoca neoclassica della statuaria all’antica e di un prodotto di alta decoratività: le pieghe del panneggio evidenziano la sapienza tecnica del Somaini; non hanno nulla di eclatante e neppure un riferimento storico alle figure, se si eccettuano alcuni elementi tipici dell’iconografia dei due santi, nulla che possa riferirsi al fatto che uno era lo sposo l’altro il padre di Maria.
Sull’attico dell’altare ò posta (come d’so) la scritta dedicatoria, con caratteri maiuscoli in bronzo dorato: “D, ANNAE VIRGINIS DEIPARAE GENITRICI”.
Nell’archivio parrocchiale si conservano due pagamenti curiosi a proposito delle due sculture: al Somaini furono corrisposte 10 lire e 9 centesimi “per l’imballaggio delle suddette statue“[12]; a Carlessi Pietro Mauro, di professione fabbro ferraio, invece, venne pagata una parcella per “per trasporto da Milano delle due statue di marmo collocate all’altare di S.t Anna“[13].
Caso strano: si dimenticò in fretta il nome dell’autore delle due sculture. Nella relazione approntata dal Parroco Giovanni Battista Donizetti, in preparazione alla visita del vescovo Camillo Guindani del 1885, si trova scritto: “Altare di S. Anna (…) É di bel marmo con due statue del Sassi, rappresentanti S. Gioacchino e S. Giuseppe“[14]. Vista la documentazione esibita a favore del Somaini, questa attribuzione del Donizetti non può che risultare improponibile.
Tra il dicembre del 1839 e il febbraio dell’anno successivo, l’altare venne costruito e collaudato; anche se non mancarono le solite prese di posizione dell’architetto perché fossero sistemati alcuni dettagli (fig.10).
Don Ulietti si era impegnato, in sede di contratti, ad intervenire in altro modo, oltre quello appena visto, a favore di questo altare: era disposto a far dipingere, a sue spese, il quadro di Sant’Anna da collocare sopra la mensa. E che il parroco non si sia limitato a far delle promesse lo sappiamo anche da due lettere autografe del pittore Giacomo Trécourt[15] indirizzata una allo stesso don Ulietti e una seconda “Al nobilissimo Signore Il Sig.e C.te Cavaliere Leonino Secco Suardo“[16] e conservate nell’Archivio Parrocchiale.
Al parroco il pittore scriveva da Bergamo il 28 marzo 1839, con termini che presupponevano una dimestichezza epistolare.
“Ella dovrebbe essere meco molto sdegnato ed a ragione perché non le ho scritto tosto come le avea promesso. (…) Siccome ella desiderava ch’io le promettessi il quadro di cui vengo onorato della commissione, entro lo spazio di tre anni, così ho dovuto impiegare quest’intervallo di tempo a calcolare se io potrei di ciò compromettermi nonostante i molti impegni di cui mi trovo sopracaricato. Essendo peraltro questo di piccola dimensione cioè di soli B.a [braccia] milanesi 2. 11 1/2 in altezza per 13.2.1 di larghezza, mi pare poterla quasi assicurare che potrò ultimarlo entro il detto termine.
“L’argomento deve essere, Maria Vergine, S.Anna in atto di vezzeggiare il Bambino Gesù“[17].
Il pittore continuava lo scritto fissando il prezzo in cento luigi d’oro, assicurando don Ulietti che quello era un prezzo di favore. Accettava anche l’arbitro proposto nella persona del cavaliere Leonino Secco Suardo, persona a cui il pittore era
“in mille modi obbligato, per l’amore che mi porta e per avermi desso procurato i primi incoraggiamenti a percorrere questa carriera“[18].
La vicenda si concludeva con un nulla di fatto proprio a causa del compenso. Al Secco Suardo il Trécourt scriveva da Bergamo il 9 agosto di quello stesso 1839:
“Mi faccio un dovere di assicurarla che assolutamente non mi converrebbe l’eseguire il noto quadro a meno di quanto mi pareva avere seco lei convenuto, cioè di N.o 80 luigi d’oro effettivi, ed altri dieci a titolo di regalo sortendo il quadro un sito felice all’esposizione di Brera, venendone da persone intelligenti giudicato meritevole“[19].
Il primo di febbraio del 1841 si stipulò un contratto con lo stuccatore Giovanni Brini, domiciliato in Bergamo. Gli vennero affidati tutti i restanti lavori di decorazione all’altare di Sant’Anna, secondo il disegno preparato dal Berlendis. Il compenso pattuito era di “Plateali lire trecento quaranta“[20] e il termine perentorio di consegna del lavoro era fissato entro il giugno successivo.
Possediamo una serie di quietanze del “marmorino” Antonio Galetti (figg. 05-06-07) e dello stuccatore Brini (fig. 04), segno che tutto fu eseguito secondo il convenuto.



Il collaudo del nuovo altare venne effettuato sul finire del 1842.

Il Sub-Economo lo affidò all’ingegnere Mauro III Vallaperta. Anche queste carte riservano delle notizie interessanti. Tra le prime voci della perizia si fa riferimento ad un lavoro imprevisto:
“Essendosi nella demolizione dell’Altare trovato al disotto un profondo vano, che si ritiene fosse un’antica pozza [era un vecchio sepolcreto, oramai in disuso da parecchi anni] occorse dare una maggiore profondità ai fondamenti, e praticare una forte palificazione“. Nei contratti era previsto che le due colonne che reggevano la trabeazione fossero “di pietra impelliciata di marmo diaspro di Sicilia (…) come le due colonne impelliciate di simile marmo esistenti nell’altare terzo a sinistra entrando e di facciata alla grande capella della Madonna nella Chiesa di S. Bartolomeo sul “Sentierone” di Bergamo“;
ma il diaspro non si trovò e così vennero sostituite “da due colonne masiccie di marmo Brembana (l’arabescato orobico)”. Ancora una volta si fece ricorso ad un esemplare di modo che non ci fosse possibilità di fraintendimento, anche se il progetto non andò a segno.
Dopo un panorama documentario come quello sopra esibito, possiamo affermare che, dal punto di vista delle presenze artistiche, l’altare di Sant’Anna doveva diventare il più rimarchevole della parrocchiale: il Berlendis per le architetture, Francesco Somaini per le sculture e Giacomo Trécourt per il dipinto. Purtroppo fu portato a termine solo il progetto e il corredo plastico, il resto si perse per strada.
Sopra la nuova mensa dell’altare venne così posto il vecchio quadro attribuito, con ragione, dal Pagnoni al pittore Francesco Capella detto Daggiù [21](fig. 03). Di recente il dipinto è stato sottoposto ad un restauro che ha recuperato, nella parte inferiore sinistra, parte dell’immagine di San Michele che indica ad un’anima purgante, di cui si vedono solo le mani giunte, la figura della Madonna.


La corrispondenza con il Trécourt non fu del tutto inutile per l’arredo della parrocchiale. Forse per provare la valentia del pittore, o forse come ripiego, visto l’insuccesso per la pala di più ampio respiro, fatto sta che sull’altare di San Giovanni (ora dell’Addolorata) comparve un piccolo dipinto raffigurante un giovane San Giovannino; un lavoro attribuito al pittore Giacomo Trécourt. Nella relazione in preparazione alla visita pastorale del 1885 il parroco don Donizetti lo elencò tra i beni artistici della chiesa, ancora esposto allo stesso altare[22]. Venne rimosso dalla sede tradizionale nel nostro secolo e ceduto al vescovo di Bergamo mons. Adriano Bernareggi. Ora si trova esposto nel Museo Diocesano di Bergamo[23] (fig. 09).
Giuseppe Ulietti (fig. 10)

Don Giuseppe Ulietti era nato a Caprino (BG) il 9 agosto 1776 da Carlo Antonio e Caterina Frassoni. Prima di accedere al beneficio di Spirano fu parroco di San Paolo di Monte Marenzo (LC). Presentò la domanda di essere ammesso al concorso per la parrocchiale di Spirano il 5 giugno 1831 ed ebbe il beneficio il 26 luglio successivo dal vescovo Carlo Gritti Morlacchi.
L’Ulietti era uono di grande cultura e sensibilità. Fu il promotore di tante iniziative di rinnovamento dell’arredo della parrocchiale; a lui si deve il sostegno all’impresa delle sculture del Somaini, pagando di tasca sua la statua di San Giuseppe all’altare di Sant’Anna; promosse l’iniziativa della trasformazione dell’altare di San Giovanni Battista perché fosse dedicato all’Addolorata, accollandosi il costo della pala eseguita dal pittore Giacomo Gritti.
Ebbe un nipote sacerdote di nome Carlo che fu professore del Seminario Vescovile di Bergamo; nell’elogio funebre pronunciato durante i suoi funerali si fa accenno anche allo zio Giuseppe. Carlo
“divenne ben presto oggetto delle sollecitudini più che paterne dello zio sacerdote Giuseppe, nome caro ed onorato per aver egli di quell’epoca riaperto all’educazione della gioventù il nostro Collegio [di Celana] e promosso il ristauro della nostra chiesa”[24]
“d’uno zio, il cui nome doppo molt’anni suona benedetto presso di noi e più ancora presso i due popoli alle sue cure pastorali successivamente affidati e da lui con paterna sollecitudine pasciuti”[25].
Alla nota 3 del testo compare questa precisazione:
“Riaprì il Collegio di Celana, per le vicende politiche di quell’epoca chiuso da qualche tempo e ne fu Rettore per nove anni; fu parroco a S. Paolo di Monte Marenzo per anni ventiquattro e quindi per diciannove a Spirano, dove nel 1850 morì d’anni 75 legando vistosa somma a quell’Ospitale”[26].
Don Giuseppe Ulietti morì a Spirano alle cinque pomeridiane del 10 gennaio 1850 circondato da un’aura di santità e con il rimpianto da tutti gli spiranesi, che per gratitudine fecero eseguire il suo ritratto, da collocarsi in sacrestia, dal pittore bergamasco Giacomo Gritti.
Natale MAFFIOLI Bergamo 9 Marzo 2024
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