di Marco FIORAMANTI
Roma, Teatro di Documenti
“QUANDO VERRÀ LA FIN DI VITA (E QUESTA STORIA È GIÀ FINITA)”
Scritto e diretto da Stefania Porrino
Compagnia del Mutamento (Giulio Farnese, Nunzia Greco, Evelina Nazzari, Rosario Tronnolone, Carla K. Carretti) in collaborazione con il “Centro Studi Vera Pertossi”. Quadri in scena di Màlgari Onnis. Musiche di Johann Sebastian Bach e Giuseppe Verdi trascritte da Tancredi Rossi Porrino.
[…] Alto, sopra di noi / recita, allora l’Angelo. Guarda i morenti: / non ti pare che avvertano come tutto è pretesto / quel che facciamo qui? […]
Rainer Maria Rilke, Elegie Duinesi
Il titolo, che è tutto un programma, lascia supporre vari percorsi interpretativi… Forse si parlerà di morte assistita, mi sono detto… O forse, chissà, sarà puntato sull’angoscia dei pochi granelli di sabbia rimasti nella clessidra svuotata… È l’autrice stessa, Stefania Porrino, a introdurre e illustrare in una intervista l’origine e il nocciolo della storia:
Il titolo dello spettacolo nasce da una filastrocca che io cantavo da ragazzina e che mi ha insegnato mia nonna. […] Il titolo della canzone finisce con un punto. Io invece ho voluto cambiare con un punto interrogativo. Secondo me non è affatto detto che ci sia una fine, forse c’è un cambiamento, una trasformazione, come anche nella vita abbiamo tante piccole morti continue…
La narrazione, invece, è giocata al contrario, a esorcizzare la paura di una vecchiaia incalzante, e quindi anche della morte. La regista ha intelligentemente scelto il Teatro di Documenti (creato dal maestro Luciano Damiani, geniale scenografo bolognese, perno della produzione operistica di Strehler, ndr) giocando sulle multiformi operazioni sceniche di trasformazione. Sia il pavimento mobile che ruota di 90°, diventa uno specchio e collega il piano inferiore a quello di sala che le numerose botole d’ingresso in scena conferiscono alla drammaturgia quel pathos multidimensionale che governa l’intero spettacolo.
Mi limiterò a descrivere gli elementi base del racconto: una coppia di anziani, Beatrice e Virgilio, benestanti senza figli, dialogano sulla maniera migliore per organizzare la vecchiaia. Si spostano in campagna, trovano una badante, tale Pia, che creerà loro qualche problema. Alla prima coppia fa da contraltare una seconda – Bea e Vir, vestiti di bianco – che troviamo seduta sul fondo della sala a seguire passo passo, matita alla mano, un copione prefissato.
Chi saranno, si chiederanno gli spettatori, a seconda dell’impostazione metafisica di ciascuno? Le loro coscienze, forse? Due angeli custodi, protettori e messaggeri? Ricordano quelli wendersiani sotto il cielo berlinese, anch’essi di fattezze umane e distinti nei due rispettivi piani d’azione… Oppure due Deva induisti, o due Bodhisattva? Il desiderio umano di connettersi col sacro riunisce in sé religioni e filosofie.
Ma da dove ci vengono le intuizioni?
Siamo noi gli unici artefici del nostro destino, padroni delle scelte e dei cambiamenti? Oppure sono tutte conseguenze – positive e/o negative a seconda dei casi – del karma, in questa vita o in un’altra, di altri-noi magari in altre forme? I protagonisti della storia (e il loro doppio) suggeriscono una delle soluzioni possibili.
Molto bravi tutti gli attori, con un particolare afflato per la Beatrice “umana”, Nunzia Greco, nella cui inflessione del tono di voce ho riconosciuto e rivissuto con emozione quella di Rina Morelli.
Le foto sono di Monica Irma Ricci.
Marco FIORAMANTI Roma 15 Marzo 2025