di Clovis WHITFIELD*
*Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo contributo, ultimo in ordine di tempo, che lo studioso e amico Clovis Whitfield ci ha fatto pervenire dopo il Convegno di studi Caravaggeschi tenutosi il 6 e 7 ottobre presso il Palazzo del Cardinale Francesco Maria Bourbon del Monte in Santa Maria Tiberina, cui non potè partecipare a causa di una malattia contro cui sta ancora combattendo. La redazione di About Art e la casa editrice etgraphiae formulano a Clovis, nostro prestigioso collaboratore, i migliori auguri per una pronta ripresa, in attesa di suoi nuovi sempre affascinanti contributi.
Voglio ragionare un po’ su come Caravaggio vedeva le cose, e la sua maniera di imitare il naturale. Mi sembra che egli abbia notato molte cose che altri prima non avevano visto, e che le procedure che ha adottato per dipingerle erano anche del tutto diverse da quelle convenzionali. Questo si può dedurre anche dal susseguirsi delle sue pennellate, e dall’assenza di un disegno generale – le figure sono associate per l’ordine della loro posa nello studio, piuttosto che per un’idea dall’inizio, e non parte mai da una formula. Per confronto un esempio di disegno di Baglione per una Maddalena fa vedere come egli cercava di inventare dalla sua fantasia una possibile posa con tutti i trucchi che aveva imparato – notare la presenza ripetuta dell’ accento della fossetta sull’avambraccio in tutte le pose. E le composizioni intere erano precedute da una configurazione generale nonché un calcolo delle prospettive. Guardando le mani del Cavalier d’Arpino apprezziamo che hanno un carattere generico, da un lato quella femminile, dall’ altro quella maschile; il modello vero è lontano.
Per capire Caravaggio le analisi diagnostiche sono fondamentali ma non sempre decisive per risolvere tutti i problemi attributivi, e quello che vorrei individuare oggi è l’iter del suo operare perché possa dare un’idea delle priorità che lui aveva dipingendo. Due particolari di Caravaggio che segue il vero. Non ci risulta che ci siano schizzi o disegni preparatori (benché egli sembra di aver dato una indicazione del disegno di una pala importante in almeno un caso nel 1600). Si deve sempre ricordare comunque che non c’è una minima indicazione di un contorno completato in via soggettiva. Non esiste una tentazione da parte sua di completare una figura o un’ elemento ricordato da qualcosa che egli, o quanto meno un’ altro, aveva già espresso altrove. E abbastanza difficile, oggi quando le immagini sono ovunque e vengono create con una facilità senza paralleli, di immaginare la differenza che la presentazione del vero di Caravaggio rappresentava allora, e di provare l’emozione che se ne è verificata. Quello che ha tanto colpito era la vicinanza al vero, a quello che che già si sapeva ma sotto un aspetto che non si riconosceva.
Le innovazioni di Caravaggio costituivano una svolta storica, la gente doveva per forza darci una seconda occhiata, per il fatto che la percezione di quello che vedevano e che vediamo oggi è soggettiva, intendo dire che sia relativa alle esperienze culturali e fisiche nostre e quelle loro. Anche quando questo è capitato in un momento di illuminazione scientifica, ad esempio in Cesi e Galileo, non è dovuto in via primaria ai rappresentanti della filosofia naturale che sono stati i primi ad abbracciare, ma è capitato grazie all’ atteggiamento particolare di quest’ individuo verso la rappresentazione del vero, che è riuscito a fugare il pregiudizio verso l’imperfezione delle cose materiali. Anche quando si manifesta l’idea di prendere in considerazione più razionale i fenomeni naturali, la classificazione delle piante, delle sostanze, dell’ osservazione ravvicinata di molti aspetti della nostra esistenza colla lente, con il telescopio e poi il microscopio, sopratutto con curiosità, l’approccio di Caravaggio non è legato a queste ricerche, ma nasce dalla sua tecnica innovativa e intuitiva. E bisogna dire che studiando le vanità dell’occhio in quello che si chiama oggi Early Modern European Culture si arriva anche a sorvolare tutto questa grande ondata rappresentata da Caravaggio e dal suo seguito perché non trova riscontri nella filosofia o teologia, era un movimento più legato ai sensi, e i seguaci costituirono un movimento popolare piuttosto che intellettuale – anche oggi.
Adoperando una illuminazione controllata, egli scoprì che poteva creare una immagine senza partire da una struttura di composizione, osservando gli elementi più importanti del modello che gli stava davanti, descrivendoli prima e poi definendo il resto dei particolari della figura, come aveva già fatto per nature morte e ritratti. Parlando della psicologia, questo è una lettura dal fondo in su, costruendo cioè a partire dalla base gli elementi principali da porre in vista. I volumi nascono non dalla prospettiva, ma per avere osservato le incidenze della luce sugli oggetti in vista. E non è partito dal significato di una narrazione o da un simbolo, perché egli seguiva solo quello che gli era davanti, un effetto del tutto sconcertante per un pubblico abituato ad immagini che raccontavano una storia oppure delle virtù pie o delle santità secolari. Per confronto la rappresentazione ‘dall’ alto in basso’ parte dai presupposti che abbiamo quando che quello che ci è davanti corrisponde a quello che conosciamo già. Come sarà stato sorprendente che poteva, nelle parole di Bellori, ignorare i modelli dell’antico e degli suoi antenati e superiori col gesto: “non diede altra risposta se non che distese la mano verso una moltitudine di uomini accennando che la natura l’aveva a sufficienza provveduto di maestri”.
Per prima parlerò della storia della vista, della idea della realtà dei seguaci di Platone, poi di prospettiva e dell’ombra prima di affrontare l’approccio del pittore come lo vedo io. I progressi nell’imitazione del vero sono stati molto lenti durante il medioevo, quasi che il naturalismo non fosse una forza motrice. Nella storia della vista passano dei secoli senza novità: ricordiamoci che è trascorso quasi un millennio dalle osservazioni dell’ arabo Alhazen, padre dell’ ottica. La scoperta della prospettiva era un vero passo avanti, e molte versioni se ne manifestano nel Quattro e Cinquecento. Si crede talvolta che fosse un luogo comune, ma in verità persino il punto di fuga viene definito solo nel 1600, e i pittori l’operarono in modo personale. Era accompagnato anche da una osservazione maggiore dell’ombra, ma questo era seguito imperfettamente per mancanza di chiarezza di come operare, e veniva studiata nelle singole figure ma non nell’insieme. Il mito di Afrodite che si voleva aver acceso il fuoco nell’occhio spiegava la teoria dell’estromissione, il concetto con cui i raggi della vista escono dall’occhio per prendere le immagini di quello che si vede, e seguendo la stessa logica anche le ombre venivano proiettate, cosa che ricorda un poco il modo in cui volano i pipistrelli. L’idea dell’ occhio come una specie di camera fotografica era ancora lontana, e solo al 1600 Keplero riconobbe l’immagine sulla retina, seguito dallo Scheiner che nel 1626 sezionava un occhio di bue per riconoscere che la immagine era rovesciata provocando grande sbigottimento in tutti. La vista era considerata vicina al mondo dell’anima, la luce l’elemento incorporeo più vicino agli spiriti. Nel Settecento il filosofo de La Mettrie viene bandito per aver suggerito che ci potrebbe essere un’ operazione meccanica della vista, senza partecipazione dell’anima. In verità gli autori del rinascimento non hanno neanche riconosciuto un legame tra la prospettiva e l’ottica, a causa della loro ossessione per la matematica. Era paradossale che il Cardinal Del Monte avesse un fratello tanto esperto della prospettiva, perché ancorché Caravaggio avrà certamente incontrato questi intellettuali alla corte non possiamo immaginare che abbia avuto parte nei loro discorsi. Ma probabilmente saranno stati loro affascinati dalle illusioni ottiche che si manifestavano nei pressi di Della Porta, e dalla magia naturale del pittore.
L’ atteggiamento della Chiesa era ambiguo: il compiacimento d’occhio e la concupiscenza di carne riflettevano un atteggiamento ostile verso il naturalismo, sostenuto anche negli ambienti fiorentini di Roma, com si può vdr ad esempio nell’Oratorio di Emilio de Cavalieri con la Rappresentazione di Anima e Corpo del 1600. Ma nel periodo di seguito al Concilio di Trento si può dire che la Chiesa era ossessionata del potere delle immagini, e il cardinale Paleotti era convinto che i pittori dovevano imitare le cose naturali, così come si presentavano agli loro occhi. A livello filosofico i Platonici credevano che il nostro mondo fosse modellato seguendo le Forme, e gli esseri umani spinti ad imitare un mondo ideale piuttosto che vedere le imperfezioni che ci circondano, perché il nostro è solo una imitazione imperfetta di una esistenza ideale. Il mondo reale soffriva di cattiva stampa, non valeva la pena di studiare i suoi difetti essendo solo pallidi richiami di un mondo ideale, al pari della idea scolastica scondo cui la realtà visibile è un’immagine imperfetta e difettosa delle verità a cui ci si doveva dedicare. Così nella realizzazione di un quadro non serviva una osservazione attenta dell’ esempio imperfetto davanti, ma attraverso una mente sapiente e la memoria bisognava cercare di arrivare ad osservare l’essenza delle cose che costituivano le Forme, perché la sola fonte della verità risiedeva nello studio attento del mondo delle Idee. Non si apprezza una interpretazione meccanica di quello che appariva all’ occhio, non c’era scopo per una osservazione casuale del vero. Con all’arrivo della prospettiva ci fu una maggiore verosimiglianza, ma i quadri erano sempre ispirati a uno significato voluto che non poteva essere tratto da modelli casuali. Questa era forse la ragione maggiore per cui la il verosimile era così poco seguito – non solo perchè fosse difficile ma perchè non ne valeva la pena. Ma Caravaggio per contro era secondo Bellori Tanto studioso della rassomiglianza che dilettassi più dell’ imitazione che della bellezza delle cose. Certo egli lo giudicava un copista, perché confondeva questa destrezza nel ritrarre dal vero con il mestiere di un’ artigiano. Malgrado della sua disapprovazione, l’emozione provata nel saggiare un nuovo intendimento della vista colpiva tanto che non si potrebbe mai contenere. I progressi nel campo della vista hanno sempre un’impatto sensazionale.
La vista è qualcosa di molto complesso, ma diventa sempre più evidente che le nostre esperienze precedenti hanno un ruolo molto importante per quello che si percepisce, e per tal motivo dobbiamo per forza arrivare ad un intendimento prima di vedere cose nuove. Il neonato vede poco, perché è privo di memoria e ha delle difficoltà nel capire tutti i segnali che gli arrivano nel cervello. Sappiamo anche che i segnali che cadono sulla retina non formano una immagine, e che è compito del cervello interpretare i fotoni che arrivano ai neuroni incessantemente, e lo fa facendo confronti con altre esperienze precedenti per indovinare, sapientemente, una ipotesi di quello che si presenta. Non possiamo più vedere il galoppo dei cavalli come li vedeva il grande pittore Stubbs, dal momento che il fotografo Muybridge nell’Ottocento ha dimostrato come veramente agisce il movimento in quanto riguarda l’anatomia, e non vediamo più i lampi con una figura a zig-zag. La immagine al Seicento era considerata una impressione vicina allo spirituale, e un ricomposto di vari memorie. L’inizio di un intendimento maggiore per produrre una
rappresentazione più naturalistica principia con i progressi fatti da Giotto e la sua generazione nel dipingere le ombre. Ma l’ombra era inteso, come abbiamo riferito, imperfettamente, e nessuno ha sperimentato per capire cosa risulta dalla interruzione di una fonte di luce. Signorelli ad Orvieto, capisce che l’ombra ha un ruolo, ma in verità l’ombra resta poco compresa per tutto il percorso del Cinquecento, anche quando nel campo dell’anatomia ci sono molte acquisizioni di tecnica e di osservazione attenta Nessuno aveva cercato di studiare l’effetto di una fonte unitaria sul soggetto da dipingere, anche quando diversi artisti si sono serviti di una scatola con modelli per captare l’effetto di una sorgente di luce. E quello che fece Caravaggio fu proprio far vedere a tutti ch era effettivamente una rivelazione improvvisa.
In verità anche la prospettiva si era palesata quasi come una variante nella ricerca del naturalismo, occorreva infatti sempre bisogno di un punto di vista fisso e degli specialisti in quadratura per fornire il disegno. Caravaggio ha fatto un grande passo avanti nel conferire un senso di volume senza calcolare la scala e le proporzioni, servendosi di una unica sorgente di luce nella sua cantina, sistema che evitava le molteplici fonti che rendevano difficili ‘leggere’ i soggetti alla luce del giorno., Anche quando ammiravano la somma maestria di un Raffaello nella Scuola di Atene, dove ciascuno occupa il suo posto in uno spazio ben orchestrato, altri non possedevano quella grande capacità. Così non sorprende che Caravaggio non l’adoperasse – Bellori racconta che il pittore veniva criticato per non intendere ne piani ne prospettiva. Nel Martirio di San Matteo il Merisi ha dimostrato che la sua interpretazione dei volumi e dello spazio era del tutto incompatibile colla prospettiva geometrica, nel suo rifiuto del disegno tratto dall’ incisione di Donato Bramante di più di un secolo prima. Anche le linee dritte erano difficili da accomodare perché egli osservava l’ingombro delle figura singola, e lo spazio che occupa è lasciato non definito e privo dell’impostazione prospettica su cui altri insistevano. Ma malgrado gli sperimenti di ottica di Della Porta, e l’indubbia esperienza di proiezioni di immagini cosidetti ‘reali’, risulta difficile immaginarsi che questi fenomeni abbiano inciso sull’ intendimento delle forme di cui Caravaggio si era già impadronito, perché non tradisce mai un discorso di questo genere.
La considerazione che le sue abilità venivano presto riconosciute, dopo l’arrivo a Roma nell’ inverno del ’95, per essere utili nel campo del ritratto è invece molto importante, perché questo era un genere in cui la fedeltà al vero era già apprezzata. Colpisce molto questa virtù nell’ osservazione dei particolari delle fattezze di artisti fiorentini come Pontormo e Bronzino, seguiti da Santi di Tito, Cigoli, e da pittori settentrionali quali Frans Pourbus, (qui un particolare di un ritratto del 1591) riconosciuto anche alla corte dei Medici a Firenze, un ambiente dove la fedeltà al vero, e qualsiasi scoperta in campo artigianale erano fortemente apprezzate. Ecco un esempio di Scipione Pulzone, il ritratto di Cristina di Lorena, moglie di Ferdinando, per la quale egli abbandonò la porpora, e che era anche lei incuriosita delle novità della scienza e dell’arte. Questi ritratti sembrano cogliere un verismo fortissimo,
pur rientrando nelle formule cinquecentesche che puntavano più sulla meraviglia del costume che su un momento colto al volo. In questi campo l’arrivo di Ottavio Leoni sembra essere un momento di cambiamento, perché egli mostrò di poter facilmente captare le fattezze di tutti i suoi committenti con una varietà mai tentata prima. Avrà comunque avuto a disposizione un attrezzo di ottica per effettuare queste somiglianze meravigliose, anche perché quasi non esiste un esemplare di un suo disegno fuori dalle solite dimensioni, un’apertura di circa 22 per 16 cm. Questi disegni erano una serie di ricordi per facilitare la produzione dei ritratti dipinti, i quali invece non sono accompagnati del verismo dei disegni, come si apprezza da questo ritratto dipinto, squisito ma molto più formale del naturalismo dei disegni.
Questo sarà stato anche il carattere dei primi ritratti di Caravaggio, almeno della sua collaborazione ad esempio nel ritratto Corsini di Maffeo Barberini, ove un’altra mano, probabilmente quella di Prospero Orsi, avrà fornito l’insieme, e Caravaggio con la sua tecnica magica dava le fattezze del viso e delle mani. Purtroppo non conosciamo la maggior parte della ritrattistica di Caravaggio, nota invece nelle menzioni contemporanee. Sarà la constatazione che avrebbe potuto adoperare la stessa tecnica nel resto del dipinto che è all’origine delle rappresentazioni molto più naturalistiche che egli operò, anche nei ritratti come questo, che io vedo sempre come quello che manca all’appello, di Benedetto Giustiniani. Purtroppo la maggioranza dei ritratti di cui si ha notizia nelle fonti – e che appartengono per lo più al primo periodo a Roma – sono spariti, ma la sua abilità di copista era considerato di gran pregio in questo campo della ritrattistica.
Una volta preparata una tela – e sappiamo da Bellori, che forse l’aveva letto nelle Vite di Gaspare Celio, che a Milano macinava i colori et apprese a colorire – egli adopera una preparazione di un colorito adatto al soggetto in colori di terra d’ombra, con una superficie che spesso tradisce una certa fretta in questo macinare. Non preparava disegni preparatori, ma studiava da un modello – un modello per volta. La luce era organizzata nel locale per illuminare un posto preciso e circoscritto, anche perché il pittore doveva seguire la luce del sole che si spostava in continuazione. La tela poteva essere anche più grande della commissione, e sarebbe stata l’apertura della cornice che alla fine avrebbe precisato i margini del riquadro: un cambiamento fondamentale in confronto alla prospettiva Albertiana di una finestra su un palcoscenico. Non fu solo il caso della Flagellazione napoletana, ove la tela venne spostata per ben 17 cm a sinistra, ma anche della pala di Messina dell’ Adorazione dei Pastori, “ne fu tagliato un gran pezzo, per potersi incastrare nella cappella”, racconta Susinno, e ne è anche testimone il bordo del Sacrificio d’Isacco, dove il paesaggio continua oltre il margine del telaio.
Ci sono molti cenni al fatto che non usava disegni, sopratutto perché non faceva uso di un progetto così preciso per quello che doveva dipingere, partiva invece da una figura singola – anche per questo il margine finale rimaneva indeciso fino all’ ultimo. In una composizione fatta di più figure, tale la Cattura di Cristo,
le singole figure sembrava spesso sovrapposte per il fatto abbastanza semplice che occupavano una per volta lo stesso posto nello studio, quel posto ove arrivava la luce dall’ alto dal lucernario. Sempre fedele a quello che aveva sott’occhio non si lasciava mai introdurre elementi ricordati, ed è mai tentato, al contrario dell’ horror vacui di molti pittori manieristi, di riempire i lati e angoli della tela con delle teste dimezzate. Avendo scelto che cosa dipingere – e all’ inizio non partiva da un ‘soggetto’ – piazzava il suo modello e cominciava a segnare gli elementi che erano più evidenti o ovvii. Benché questi erano fissati con un pennello lordo di colore e le pennellate così abbozzate erano molto forti, non sono sempre visibili alle in superficie, ma servivano per guidarlo nell’ orientazione della rappresentazione. Si vedono queste pennellate larghe nel viso del musicista a destra del centro presso i Musici. In certi modi era ancora un ritratto, perché seguiva fedelmente ogni aspetto di quello che gli era davanti.
Ci sono parecchi esemplari dell’ orecchio che era prescelto in uno modo enfatico, spesso con cambiamenti successivi. S’intravede che principiava anche con delle linee ferme del contorno di certi elementi, ad esempio il libro davanti S. Agostino, con un piccolo pennello carico di colore nero;
queste righe sono per lo più coperte dalla pittura successiva, ma si possono intravedere nelle riflettografie, ad esempio questa del viso e della guancia del Suonatore di Liuto, dove l’ovale del viso e delle pieghe è stabilito da righe che poi naturalmente spariscono sotto gli strati di colore. Si vede anche la precisazione originale della bocca, a forma di arco. Poi cominciò a adoperare dei piccoli tratti incisi, che non sempre riguardano elementi dipinti successivamente, ma che evidentemente sono in relazione all’ impostazione di quello che aveva davanti – per un certo verso si trattava di vedere la forma umana da natura morta, quello di cui parla Baglione ‘certi quadri nello specchio ritratti’.
Mentre i primi quadri venivano dipinti in una stanza piena di luce, dopo essersi spostato in una cantina dove era possibile manipolare la luce che cadeva sul modello da un’unica fonte, quella del lucernario in alto dove poteva studiare gli stessi effetti su oggetti quanto anche i visi e gli arti dei modelli. All’inizio molte delle incisioni sono tratti piccoli e non sembrano costituire disegni, mentre successivamente come è noto possono essere scambiate per un progetto di composizione. Sembrano invece appartenere a figure singole, e alcune sono marcate in una preparazione ancora morbida, mentre altre sono incise in uno strato evidentemente già asciutto. I modelli venivano studiati ad uno ad uno, proprio occupando successivamente lo stesso posto nello studio, sembrano sovrapporsi e di conseguenza appaiono anche troppo vicini tra di loro.
Certe zone delle tele venivano ulteriormente preparate con un tono speciale per quell’ elemento, come il fondo grigio che s’intravede sotto la camicia del Suonatore, che evidentemente continua sotto la maggior parte di questa figura, come anche sotto quella del protagonista dei Bari, e qui si vede nel margine ‘a riserva’ . I movimenti dei modelli provocavano una correzione integrale, piuttosto che modificare la rappresentazione già dipinta. La mano della figura che tiene la lampada al centro della Cattura di Cristo (vedi sopra) ha tutto un nuovo profilo quando questi la tiene in modo diverso.
La presenza frequente e caratteristica di una zona accanto al margine lasciata ‘a riserva’ che scopre il colore del fondo e spiegato per prima che Caravaggio non attribuisce alle forme un contorno lineare, quello di cui Bellori parla quando dice che il pittore ‘ombrava senza contorni’. E infatti egli lavorava solo da quello che era in vista, senza mai aggiungere un elemento o una forma immaginari. Ci sono poche parole che sono attribuite a Caravaggio, ma è ben conosciuto quello ove si vantava che ‘tanta manifattura gli era a fare un quadro buono di fiori, come di figure’. Il suo punto di partenza era sempre il punto di luce da misurare, a modo di un esposimetro, dandosi un senso alla parata di informazioni che arrivavano alla sua corteccia visiva. Il fondo è spesso adoperato per esprimere la mess’ in scena quando coincideva con i toni che egli vedeva, così come alla vita del soldato della Incoronazione di spine a Vienna, ove il tessuto dei calzoni diventa di più e più particolareggiato quanto è più esposto alla luce.
Caravaggio si mette sempre a guardare e seguire con tutti i mezzi alla sua disposizione per esprimere i valori di luce ed ombra che si presentavano alll’occhio, e poteva scoprire il fondo più scuro per rendere i solchi della camicia del Suonatore, oppure adoperare un pennello carico di scuro sul fondo bianco per arrivare allo stesso effetto.
L’incidenza della luce non era meramente la fine di una zona, ma richiedeva un mutamento progressivo molto sottile quando la luce ombreggia progressivamente il colore che presenta, come in questo tratto del Suonatore, o il viso della Giuditta.
In un certo modo la sua tecnica è più evidente nei quadri più maturi, dove le fattezze di un viso possono comunicare una sembianza verosimile con pochi tratti, mentre nei primi i passaggi dalla luce all’ ombra soni resi con una modulazione molto più sottile, talvolta anche ossessiva nel concentrare su i particolari minutissimi. E anche vero che non è mai completamente prevedibile, poteva cambiare l’uso di setole e pigmenti per pareggiare l’aspetto dei toni che vedeva a quel momento. Questi sono risposte a quello che gli era davanti, senza seguire le convenzioni che dettavano che ci sarebbe per forza un’ombra qui o una luce riflessa in un’altra posizione.
Tirando un pennello con setole rigide attraverso una pittura fresca sopra un fono scuro fingeva una tessitura che corrispondeva alle pieghe e alla superficie delle stoffe che imitava, o ipetali dei fiori, in un richiamo diretto di quelle forme. Ed era capace di servirvi di un fondo per esprimere la mancanza di forma, come nelle foglie della Conversione Odescalchi, ove il contorno che circonda iil vuoto del fondo nero ci comunica tutto quello che serve all’ occhio per intenderne la forma; o quello dell’ elmo in primo piano di cui e solo accennato qualche luccico del cerchione. Questo è un’ aspetto che Caravaggio mostra sin dall’ inizio, come si vede
anche dalle foglie raggrinzite delle foglie di fico nella Fiscella della Ambrosiana, che ci fanno capire tutto senza una riga della nervatura del lembo fogliare. Il raffinamento dei particolari continua fino ad una modulazione dei toni per uguagliare gli effetti visivi, con i tratti più scuri lasciati fino alla fine, con un nero d’ossa sospeso in un gel che messo in superficie rimase sempre sensibile e facilmente danneggiato dalle puliture abrasive cui molti quadri sono stati sottoposti in passato, ad esempio nel Sant’Agostino vediamo come parte di questo accento rimane in superficie.
Questo nero corrisponde tanto ai punti di ombra visti sul viso come nelle pieghe dei vesti, ed era capace di una modulazione molto raffinato. Le osservazioni che Caravaggio ha dedotto nelle pieghe e tra le dita sono al pari di quelle che Galileo avrebbe fatto sulle montagne della luna, misurando le profondità delle vallate attraverso le ombre che cambiavano secondo l’incidenza della luce del sole. Tutti questi effetti contribuirono ad mosaico del vero che egli ottenne risptto a quello che vedeva davanti, piuttosto che diluirlo con qualsiasi elemento non visto. L’artista poi non avrà bisogno di lavorare con la tecnica minuziosa del primo periodo presso Del Monte, e possiamo seguire lo sviluppo del suo procedimento oculare che si affida all’abilità dell’occhio nel ricostruire gli elementi mancanti in una rappresentazione per coglierne il significato. Ci sono man mano meno strati di colore e di velature per la fiducia che acquisisce, spinto peraltro da una furia compositiva com qulla di un latitante in fuga.
Nel modo in cui dipinge Caravaggio dimostrava che gran parte della tecnica e abitudini che lo avevano preceduto non erano necessari per rappresentare e si poteva effettivamente render col bulbo ‘oculare’ un soggetto, eyeball come ci dice David Hockney. Egli ha ispirato molti altri a seguire i suoi passi, e a percorrere un tragitto che fino a quel punto si limitava a frequentare botteghe che richiedevano un lungo apprendistato e un monopolio virtuale di commissioni per una clientela dominata dalla Chiesa. L’ambizione che cresceva dentro la professione per essere considerata come un’arte liberale si accresceva di un’ altra voce contro la presunzione che un mero artigiano, privo dell’ apparato di tecniche riconosciute, avrebbe potuto contribuire con delle novità valide. Ora possiamo giudicare questa la reazione ad una innovazione sconvolgente quanto può apparire oggi quella di Uber. Ma è sorprendente che questo lato della rivoluzione di Caravaggio sia stato tanto trascurato, da Gombrich a Elkins, da Walker a Park. Egli seguì troppo il naturale per essere considerato anche in ambito filosofico, anche perché non molti intendevano la sua tecnica e non valutavano il fatto che egli aprì gli occhi non solo a loro, ma a tutti. Caravaggio rovscia letteralmente i modi di dipingere, valuta una gamma di soggetti mai considerati prima, ma questo nasce in virtù dalla sua alienazione personale, e della sua abilità incredibile nel replicare quello che gli era davanti – non solo le grottesche e l decorazioni che era abilitato a copiare, ma i visi, le fattezze di quanto fosse attorno a lui, tanto da dover sottolineare che il guardare non è uguale all’osservare accuratamente. Quanto della rappresentazione corsiva del Seicento nasce da questa liberazione ? Diversamente dalle forme del Cinquecento, il criterio di cominciare dalle forme esterne invece da una struttura progettata, di intendere la luce ed ombra invece che l’anatomia, fu un’apertura che sarebbe andata ben oltre il caravaggismo. Se la fisiologia della vista non cambia, quella della percezione si, d è una condizione ove impariamo ogni giorno anche senza saperlo. Secondo il detto di Galileo: “Tutte le verità sono facili da capire una volta che sono state rivelate. Il difficile è scoprirle”.
Clovis WHITFIELD Londra novembre 2018