di Franco LUCCICHENTI
La Città e la “memoria fossile”
La costruzione di città come la intendiamo oggi è un fenomeno recente rispetto alla storia dell’uomo e del suo abitare il mondo. La civiltà palaziale ha aperto la mente all’idea di città intorno al 6000 a.c. in Mesopotamia. Le comunità pre-urbane nomadi o seminomadi cominciarono ad abitare nel neolitico villaggi che consistevano in capanne di paglia, argilla, legno.
La mente dell’uomo ha metabolizzato, durante decine di migliaia di anni, l’apparire del mondo che abitava nel suo aspetto naturale fatto di pianure, montagne, valli, foreste, acque.
Il villaggio neolitico prossimo ad un corso d’acqua o a una sorgente era l’embrione della città. Nei loro spostamenti le piccole comunità cercavano i sentieri meno impervi, passavano nelle pianure, nei fondi valle al margine dei boschi. In prossimità di forre, gole tra speroni di roccia, strette valli, si fermavano ad osservare attentamente per evitare pericoli in agguato. La pianura era rassicurante, eventuali presenze ostili erano visibili da lontano e si potevano fare le scelte migliori sul tracciato da seguire. Una gola tra le rocce era sicuramente percepita come una minaccia. Il villaggio dove tornare o arrivare costruito sempre in prossimità di un corso d’acqua era il luogo-rifugio dove l’esistere poteva sostanziare l’essere.
Dopo decine di migliaia di anni di vita della specie homo sapiens le città strutturano gran parte del mondo abitato, i villaggi sono diventati paesi in parte abbandonati dall’uomo e dalle sue attività. Un lunghissimo processo urbanistico ha spostato la vita dal villaggio alla città.
Oggi curiosamente nella mente delle persone “urbanizzate” abita, sopratutto in occidente, la nostalgia del vivere il paese e la sua cornice di campagne aperte vissuta forse come un ritorno alle origini.
La città moderna geometrizzata e intensiva può essere una metafora formale del territorio ostile strutturato da forre, gole, fondi valle sempre in ombra oggi rappresentato da strade strette, vicoli senza uscita, edifici troppo alti e vicini tra loro.
La mente dell’uomo possiede quella che chiamerei “memoria fossile”.
Qualche parte del cervello ha sedimentato e stratificato nel lungo tempo ricordi di emozioni, bellezza, antiche paure. Forse per questo preferiamo i larghi viali, piazze colme di spazio vuoto, parchi alberati, orizzonti lontani.
Il ricordo rimosso nel tempo di antiche sensazioni può essere portatore di serenità e di una qualche bellezza. Compito dell’urbanista è anche trovare una sintesi tra le percezioni positive che emergono dalla “memoria fossile” e le necessità dell’abitare.
Franco LUCCICHENTI Roma dicembre 2018