di Mario URSINO
Gustave Courbet a Ferrara e l’artista secondo de Chirico
Un po’ in anticipo sul Centenario della nascita di Gustave Courbet (1819 – 1877) [fig. 1], è in corso a
Ferrara, Palazzo dei Diamanti, una mostra del grande maestro francese della pittura dell’ Ottocento, dal titolo Courbet e la natura, a cura di Dominique de Font-Réaulx, Barbara Guidi, Maria Luisa Pacelli, Isolde Pludermacher, Vincent Pomarède, fino al 6 gennaio 2019 (cfr la recensione di Stefania De Vincentis https://www.aboutartonline.com/2018/10/28/courbet-e-la-natura-una-precisa-analisi-del-percorso-storico-artistico-del-genio-del-realismo-in-mostra-a-palazzo-dei-diamanti/.)
Un’antologica dal taglio ben preciso di 49 opere selezionate tra il 1842, con il famoso giovanile Autoritratto con il cane nero, Parigi, Petit Palais [fig. 2], e le ultime opere eseguite negli anni del suo esilio in Svizzera dal 1873, per aver partecipato alla Comune nel 1871, e processato ingiustamente per aver proposto e partecipato all’abbattimento della colonna in Place Vendôme; la sua produzione si conclude con il Panorama delle Alpi, 1876c., Ginevra, Museè d’art et d’histoire [fig. 3] e con alcune vedute del Lago di Lemano, un anno prima della sua scomparsa, lontano dalla Francia, a La Tour-de-Peilz.
Il tema della sua pittura, dunque, fino alla fine dei suoi giorni, è stata la natura vista nei solitari paesaggi boscosi, fluviali e marini, come la serie di pitture di onde fragorose che si infrangono sulla spiaggia di Étretat, in Normandia, quale, per esempio, L’onda, 1869, Edimburgo, National
Galleries of Scotland (che fa da copertina al catalogo della mostra, fig. 4); e romanticamente scrive a Victor Hugo, nel 1864: “Il mare! Il mare! … Nel suo ruggire furioso mi fa pensare a un mostro chiuso in gabbia che vorrebbe divorarmi”; la natura si presenta ai suoi occhi sempre maestosa; si veda come ha dipinto La quercia di Flagey, 1864, Ornans (il suo paese d’origine), Musée départmental Gustave Courbet [fig. 5]. Ritratti della natura boschiva e rocciosa, solitaria e silenziosa sono prevalenti in questa rassegna, anche se non mancano esempi di paesaggi che includono cani, volpi e cervi nella sezione dedicata alla caccia, così come appaiono all’improvviso all’artista, anche egli cacciatore; va ricordato, anche se non in mostra, ma descritto e riprodotto in catalogo, il movimento realistico dei Bracconieri nella neve, mentre incitano i loro due cani, del 1867, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, per acquisto nel 1971 [fig. 6].
Courbet non indulge mai a trattare soggetti mitologici o storici della precedente pittura accademica e di maniera. Egli, come sappiamo, ha dipinto anche ritratti e alcune importanti composizioni di ampie scene, si potrebbe dire di qualche effetto teatrale, come nelle note sue tele monumentali, Un funerale a Ornans, 1849, cm. 315×668
[fig. 7], e L’atelier del pittore, 1854-55, cm. 361×598 [fig. 8], entrambe a Parigi nel Musèe d’Orsay; e poi, naturalmente, una grande quantità di nudi femminili in pose spesso alquanto inconsuete, per non dire scabrose, e considerate imbarazzanti fino a non molto tempo fa. Il lettore avrà capito che mi sto riferendo in particolare all’ormai celebre (oserei dire quasi come l’insopportabile, per me, La Gioconda), ovvero L’origine del mondo, 1866, oggi esposta dal 1995, senza più alcun imbarazzo, a Parigi nel Museo d’Orsay.
La storia e il suo rapporto con l’attualità della pittura novecentesca (da Masson a Balthus, a Lucian Freud) di codesta “scandalosa” opera è contenuta nel saggio in catalogo di Didier Ottinger, Dal realismo all’erotismo: l’eredità moderna di Courbet (pp. 103-111). È apprezzabile perciò che gli organizzatori della mostra non abbiano incluso anche questo dipinto tra alcuni nudi presenti in mostra come Giovane bagnante, 1866, New York, Metropolitan Museum [fig. 9], e La sorgente o Bagnante alla fonte, 1868, Parigi Musèe d’Orsay [fig. 10] (certamente meno noti e pertanto più interessanti e rispettosi del tema dell’esposizione, in quanto i prosperosi, rubensiani nudi femminili raffigurati da Courbet sono immersi in una natura altrettanto rigogliosa). Quindi, non tanto per un falso moralismo, peraltro inutile in tempi di dilagante pornografia, ma per non catalizzare (ipotizzo), quale banale richiamo per la mostra, appunto l’opera più sopra citata L’origine del mondo, che avrebbe potuto ancora suscitare (sempre ipoteticamente, a mio avviso) ipocrite e indignate reazioni pretestuose atte a screditare una mostra di indubbia qualità scientifica, come tutte quelle che si tengono a Ferrara nel Palazzo dei Diamanti; e, per citare tra le ultime da me visitate, mi piace ricordare quella su Zurbaran (2013-2014), e quella su De Chirico a Ferrara (2015-2016).
Ed è per questo che il tema della mostra Courbet e la natura, mi ha portato alla mente il grande apprezzamento di Giorgio de Chirico sull’opera del maestro francese risalente al lontano 1924, allorquando comparve un suo articolo, Gustave Courbet sulla “Rivista di Firenze”, 7 novembre 1924, nel quale affermò senza alcuna esitazione:
”Nell’Ottocento il pittore che meglio ha sentito ed espresso il canto segreto dell’epoca in cui visse è Courbet”.
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Aspetti della critica in Italia, e l’opera di Courbet esaminata da de Chirico
Tra i saggi in catalogo, Per un itinerario tra le pagine della fortuna italiana di Courbet, la studiosa Barbara Guidi ci ricorda che il pittore Cipriano Efisio Oppo (1891-1962), nel 1920, in una visita alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna lamentava “l’assenza nel percorso museale dei più rilevanti artisti francesi moderni, tra cui Courbet”. È vero, difatti, come ho riportato più sopra, I Bracconieri nella neve, 1867, fu acquistato solo nel 1971, a seguito della mostra del maestro francese a Villa Medici, dove anche questo dipinto era stato esposto. Oppo però non ebbe modo di vedere colmata questa lacuna nel nostro museo d’arte moderna. L’opera rappresenta un maestoso paesaggio invernale della Franca Contea, scrive la Guidi, “pare peraltro fosse già stato ammirato dai Macchiaioli a Parigi nel 1867 ”. Al saggio segue una interessante selezione antologica di brani di autori italiani che commentano l’opera dell’artista francese. Da Michele Cammarano nel 1870 a Giovanni Testori nel 1988. Non manca Roberto Longhi che, nel 1914, sostiene che “Courbet si riprende direttamente dal Caravaggio per imprimere al suo mondo rude popolare sfrondato di minuzie, la stessa solidità serrata …”, e nel 1920, in polemica con Clive Bell (1881-1964), a proposito della grande tela L’atelier di Courbet, che il critico d’arte inglese (appartenente al famoso Gruppo di Bloomsbury) aveva sostenuto mancasse “di unità plastica”; il Longhi invece afferma: “Ma Courbet, si suppone, va gustato nella “lignée” di Caravaggio e di Le Nain, non dei plastici fiorentini”.
Sottigliezze critiche, che, a mio avviso, non possono scalfire l’ammirazione che Giorgio de Chirico manifestata per Courbet nel 1924, come citato più sopra, confermando il suo interesse anche l’anno successivo, quando dedica al maestro francese una puntuale monografia, in francese ed inglese, edita da “Valori Plastici” nel 1925 [fig. 11]. Ben lungi dal vedere ascendenze caravaggesche nella pittura di Courbet (de Chirico non poteva soffrire Caravaggio), il pictor optimus coglie ancora una volta l’occasione di lanciare strali polemici sui pittori contemporanei:
“I nostri pittori veristi, credono, esaltando Courbet, di salvare la banalità e la nullità della loro pittura. Esaltano Courbet per il solo fatto che nei suoi quadri non appaiono divinità mitologiche, fatti storici, figure simboliche o allegoriche […] per lo stesso fatto s’illudono che la mentalità di Courbet avesse delle affinità con loro; e non capiscono, o fingono di non capire, che se l’opera sua è rimasta e rimarrà … è appunto per lo spirito che anima la sua pittura; per il soffio poetico che vi alita ; … Courbet è un romantico e nel tempo stesso un realista … poiché al vero artista il realismo è un mezzo per esprimere efficacemente ciò che prova e ciò che immagina; mentre l’artista mediocre si serve del verismo per tentare di mascherare la sua impotenza creativa”.
Con queste parole de Chirico liquida anche il dibattito teorico-artistico del tempo, tra “realismo” e “verismo”. Poi de Chirico prosegue assertivamente scrivendo:
“Courbet dunque è stato un realista e un romantico. Molto più romantico dello stesso Delacroix, e più realista. Il suo romanticismo non è altro che l’aspetto puramente sorprendente degli esseri e della natura”.
Le sue parole dettate nel lontano 1924, potrebbero essere ancora oggi una buona guida per la mostra di cui stiamo parlando; per esempio, ascoltiamo cosa dice a proposito di un meno noto, tra i bei dipinti in mostra, Fanciulle nel villaggio, 1851, Leeds Museums and Galleries, fig. 12, cat. n.35]:
“Nell’ora panica del meriggio le Demoiselles du Village approssimano graziosamente una pastorella: non è il meriggio bruciante; il meriggio della canicola che caccia i pastori ed i poeti nel rifugio dell’ombra, presso l’onde dei ruscelli: … ad rivos praetereuntis aquae – (qui de Chirico cita Tibullo della “Prima Elegia”: … Sed canis aestivos ortus vitare sub umbra arboris, ad rivos praetereuntis aquae. vv. 28-29, n.d.a) – è un meriggio tranquillo – prosegue de Chirico, quasi dannunzianamente – di morente estate occidentale. Le ombre corte dicono che il sole è giunto alla metà della parabola; le quattro dramatis personae non temono più i suoi raggi. Una stanchezza dolcissima colma tutta la tela, dai sassi e le piante del primo piano fino all’orizzonte alto, una chiarezza settembrina dà rilievo e delinea i contorni del terreno e delle rocce lontane”.
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Nella monografia Courbet, edita da “Valori Plastici, come detto più sopra, de Chirico rielabora gli stessi pensieri sull’artista nel testo scritto in francese: “Courbet qui éprouvait plus profondément que Delacroix le sens de la réalité est a cause de cela plus poétique et plus romantique que lui quoiqu’en aient pensé les critiques de son temps et ceux d’aujourd’hui (scrive ancora con spirito polemico il maestro). Ma va sottolineato che l’interesse di de Chirico per Courbet non è stato solo teorico e da critico d’arte, perché egli lo ha studiato nella qualità della sua pittura, avendo eseguito delle bellissime copie da ben tre opere del pittore francese.
Sull’importanza delle copie da maestri del passato, eseguiti in quantità da de Chirico sin dal 1918, ho scritto e tenuto lezioni in diverse occasioni: attualmente ben 38 copie dall’antico, che il maestro aveva realizzato per sé nel corso degli anni, sono fortunatamente conservate a Roma nella Collezione della Fondazione Giorgio e Isa de Chirico (purtroppo sono ancora oggi poco note, e non visibili, poiché, come è noto, non esiste a Roma, né altrove, un museo monografico dedicato al grande maestro; le presentai al grande pubblico in occasione della mia mostra De Chirico e il museo, alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna, dal 20 novembre 2008 al 25 gennaio 2009). Lo stesso de Chirico ha ribadito l’importanza della copia tantissime volte nelle sue Memorie, nei suoi articoli e in numerose dichiarazioni alla stampa; a titolo d’esempio nel 1970, in occasione della sua grande mostra a Milano al Palazzo Reale, così rispose ad un giornalista:
“La copia che riproduce e interpreti bene un’opera d’arte può anche essere un’opera d’arte, perché la copia, se è fatta bene, per quanto copia, è un’opera d’arte per forza, non può essere altrimenti”.
Lapalissiano, e ovvio.
Non fanno eccezione perciò, alla luce di quanto detto, le tre belle copie che de Chirico aveva dipinto in tre tempi diversi da noti quadri di Courbet, nel 1924, nel 1946 o 56? e nel 1955. Vediamo quali sono: Busto di donna in verde, 1924c., coll. priv. (l’opera è apparsa poco più di un anno fa in “Casa d’Aste Il Ponte”, lotto 397, il 13 giugno 2017), ed è un particolare da Courbet della Filatrice addormentata, 1853, Montpellier, Musée Fabre [fig. 13],
particolare che figura anche sulla copertina della citata monografia di de Chirico del 1925 [cfr. figg. 14-15];
poi una bella Marina, 1946 o 56?, Roma, Fondazione Giorgio e Isa de Chirico, firmata in basso a destra “G. de Chirico da Courbet” che è una copia da una dalle numerose versioni delle Falesie dalla spiaggia di Étretat dipinte da Courbet: quella scelta da de Chirico è la Falesie d’Étretat. La Port d’Aval, 1869, Cleveland Museum of Art [cfr. figg. 16-17];
infine, de Chirico ha dipinto una sontuosa figura di busto femminile nudo, immerso in una natura rigogliosa (proprio come in Courbet), Bagnante alla sorgente (o Naiadi al
bagno), 1955, Roma, Fondazione Giorgio e Isa de Chirico, magnifica derivazione iconografica dalla nota e stupenda La donna con l’onda, 1868, New York, Metropolitan Museum [cfr. figg. 18-19], opera di grande realismo, e persino allegorica di Courbet, per la singolare postura della modella, secondo le parole di un importante storico e critico d’arte franco-svizzero, Pierre Courthion (1902-1988) nella sua monografia sul pittore francese:
“Questa fanciulla dal seno pesante è un’emanazione simbolica dell’onda. È interessante notare, a questo proposito, che Courbet, apostolo del Realismo, dispregiatore di quanto è frutto dell’immaginazione religiosa e mitica, non può fare a meno di attribuire alla donna un significato che ne trascenda il valore particolare per raggiungerne uno generale e allegorico. Questa splendida bruna rappresenta il flutto, l’onda*, il cui movimento ondulatorio è prefigurato dalla positura delle braccia” (in, L’opera completa di Courbet, Milano 1985, n. 612, p.108).
L’aveva già capito anche de Chirico nella sua Bagnante del 1955, e non avrebbe certamente potuto utilizzare parole diverse.
Mario URSINO Roma dicembre 2018