di Mario URSINO*
*Dedico questo mio testo, con la Veduta di Nisida, alla memoria del grande bibliofilo napoletano, Ettore Pisano (1943-2008), mio indimenticabile amico”
Sono tanti i collezionisti e gli studiosi del vedutismo ottocentesco di scuola napoletana che inizia, come è noto, nella prima metà del secolo XIX con Anton Sminck Pitloo (1790 – 1837) e Giacinto Gigante (1806 – 1876), artisti particolarmente indagati da due eminenti soprintendenti napoletani, Raffaello Causa e Nicola Spinosa. Nel 2006, in occasione del “Bicentenario della nascita di Giacinto Gigante” fu riedito il maggior studio sull’artista e sulla numerosa scuola di paesaggisti napoletani del famoso storico dell’arte, molto attivo nei i musei napoletani nella prima metà del Novecento, Sergio Ortolani (1896 – 1949), Giacinto Gigante e la pittura di paesaggio a Napoli e in Italia dal ‘600 all’800, edito postumo nel 1970 a cura dei due sopra citati soprintendenti; la riedizione fu poi presentata il 29 ottobre del 2009 alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna da Nicola Spinosa.
Annoverandomi immodestamente tra gli studiosi di Giacinto Gigante, mi permetto di ricordare un mio testo di studio per la Galleria Nazionale d’Arte Moderna del 1999 sul bellissimo dipinto del Gigante, ivi conservato, Paesaggio Campano (La Chiesa di S. Michele Arcangelo a Cava dei Tirreni), 1862, da me topograficamente identificato, rispetto alla precedente erronea denominazione che riferiva il luogo rappresentato nel dipinto come una veduta del Santuario dell’Avvocatella, sempre a Cava dei Tirreni.
È da questa lunga tradizione dei sopra menzionati paesaggisti, il Pitloo e il Gigante, che discendono tanti altri maestri delle incantevoli vedute campane di cui il ponderoso volume dell’Ortolani dà ampiamente conto, e uno di questi è appunto Alessandro La Volpe (Lucera, 28 febbraio 1819 – Roma, 2 agosto 1887). Egli spicca per l’intenso appassionato lavoro lungo tutto l’arco della sua vita di studio, di cui ancora oggi non esiste un repertorio o un catalogo, o una mostra, nonostante molte sue opere figurino in importanti musei e collezioni private. Dalle sue note biografiche sappiamo che studiò dapprima a Lucera, poi a Napoli, a Roma e a Firenze a contatto con i contemporanei paesisti toscani, in particolare con Serafino da Tivoli (1826 – 1892) e Lorenzo Gelati (1824 – 1893), artisti del piccolo gruppo della senese “Scuola di Staggia”, nel 1855, che vengono considerati quali precedenti dei futuri macchiaioli.
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Nelle notizie biografiche consultate, Alessandro La Volpe risulterebbe nato a Lucera il 27 febbraio 1820 dal pittore Nicola, ma “non si conosce il nome della madre” (in: A. Imbellone, “Dizionario biografico degli italiani”, vol.64, 2005). Ma due anni prima, su un magazine on line “Il Frizzo” Lucera Net.Journal, del 18. 12. 2003, è apparso un articolo, Alessandro La Volpe. Un protagonista della pittura italiana dell’Ottocento, di Eduardo Gemminni; in questo testo l’autore ha pubblicato il documento d’archivio dell’atto di nascita del pittore [fig. 3] che risulta nativo di Lucera, il 28 febbraio del 1819, e dove si legge anche il nome della madre: “Maria Giuseppa Risicchio, di anni ventiquattro, di Lui legittima moglie” (particolari, questi, sino ad ora sfuggiti ai biografi di Alessandro La Volpe).
Dopo gli studi a Lucera, il giovane venne poi iscritto al Reale Istituto di Belle Arti di Napoli, formandosi alla scuola di Gabriele Smargiassi (1798 – 1882) [fig. 4] e Salvatore Fergola (1799 – 1874), ma, a mio avviso, più vicino al primo che al secondo; egli viene giustamente considerato dalla critica come appartenente alla seconda generazione della scuola di Posillipo, secondo la definizione che ne dette lo storico e politico Pasquale Villari (1827 – 1917), riferendosi a quel gruppo di pittori di vedute influenzati da Pitloo e Gigante, che fra 1820 e il 1860 illustrarono il paesaggio, il costume, i luoghi e i monumenti di Napoli e del Regno delle Due Sicilie, studiando e dipingendo all’aperto gli affascinanti panorami del Golfo di Napoli e i siti più remoti in quella che un tempo era stata la Campania Felix .
Nel 1848 Alessandro La Volpe partecipò all ‘Esposizione Borbonica con le opere Templi di Paestum e La grotta di Bonea (Cava dei Tirreni), e riprodusse i luoghi del territorio campano, dal golfo di Napoli visto da Posillipo, alla costiera amalfitana, a Ischia, Capri, Nisida, Salerno (si veda la sua splendida Marina di Salerno, [fig. 5]), Paestum, Pompei, e porticcioli, piccole radure con barche, pescatori, come nella nostra inedita Veduta di Nisida, 1870, ovale, tempera su carta, cm.46×60 [fig.1], rinvenuta in una collezione romana, e da me recentemente identificata.
Come dicevo più sopra, la sua notevole attività è stata poco studiata, ma è ben documentata in una serie di opere conservate in alcuni importanti musei italiani e stranieri (Una roccia, a Roma, nella Galleria Nazionale d’Arte Moderna, acquistata dal ministero della Pubblica Istruzione nel 1893; I ruderi del teatro greco di Taormina, 1864, a Napoli, nel Museo Nazionale di Capodimonte, una grande veduta di Marechiaro presso l’Istituto di Belle Arti di Napoli; le Rovine a Pompei e La casa d’Atteone a Pompei si trovano in Francia a Mulhouse, nel Musée des Beaux-Arts; mentre la Porta Taormina e il Paesaggio (Il castello di Ischia) sono conservati a Giulianova, nella Pinacoteca Civica Vincenzo Bindi; diversi acquerelli del La Volpe fanno parte della importante raccolta Ferrara Dentice a Napoli, oggi nel Museo Nazionale di S. Martino.
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Le due Vedute di Nisida del 1870, simultanee e differenti: un singolare caso di sequenza pittorica
Nel 1870, Alessandro La Volpe, all’età di cinquantun anni, viene nominato Professore Onorario dell’Accademia di Belle Arti di Napoli: un riconoscimento ufficiale della sua importanza di pittore paesaggista, per le grandi qualità descrittive e luminose dei suoi lavori. Un anno per lui certamente molto significativo nel quale produce, tra l’altro, le due vedute di Nisida da un piccolo approdo di pescatori; scene di pesca infatti ricorrono sovente nelle sue marine, direi sono quasi una caratteristica di codesto artista: si vedano ad esempio le due meravigliose Scena di pesca nel Golfo di Napoli del 1866, entrambe in collezioni private.
Ma, tornando alla due vedute di Nisida in argomento: la prima è apparsa in una vendita alla Casa d’Aste “Dorotheum” del 23 ottobre 2014, lotto n.1102, dal generico titolo, Nella baia di Napoli (?), olio su tela, cm.52×106, firmato e datato 1870 [fig.2]; il punto interrogativo inserito dagli esperti della casa d’aste, denota il dubbio e il non riconoscimento topografico del dipinto. Eppure non era la prima volta che La Volpe dipingeva il panorama nisidino: si veda, per esempio, Nisida e Ischia da Posillipo, un ovale, olio su tela, cm.59,5×74 [fig.6], apparso nella vendita da “Minerva Auction”, il 24 novembre del 2014. La seconda Veduta di Nisida, l’ovale a tempera di cui sopra, ad evidenza riferibile al 1870, è, a mio avviso, l’antecedente della versione su tela nella vendita “Dorotheum.”
Sebbene la scelta del formato ovale sia abbastanza frequente nell’opera del La Volpe, nel dipinto che stiamo esaminando la veduta di Nisida è più ravvicinata rispetto al convenzionale formato rettangolare della tradizione paesaggistica settecentesca dello Joli o dell’ Hackert; difatti in questo inedito dipinto su carta, che non è un bozzetto, come apparentemente potrebbe sembrare, data la sua compiutezza, si configura come la prima sequenza di una scena che si modifica in quella successiva come due fotogrammi ante litteram sui quali l’autore ha voluto giocare; vediamo come: la radura è la stessa in entrambi i dipinti, come pure l’isolotto di Nisida, la vegetazione sulla spiaggia, la luce e le ombre, la linea d’orizzonte coi medesimi declivi; differiscono invece le posizione delle figurette che animano la scena: la villanella sul ciuco, seguita dal giovanetto a piedi sta attraversando la spiaggia da destra a sinistra nell’ovale, mentre nella seconda veduta è già arrivata all’altezza del piccolo pontile, (una sequenza logica quindi); la barca che incede tra la collina di Posillipo e Nisida, nella tempera su carta, è giunta a destinazione per l’approdo al pontile nell’opera su tela; la barca già in rimessa all’imbocco della darsena, nell’ovale, è stata spostata (dal pittore) vicino ai pescatori che lavorano alle reti nel dipinto rettangolare, nel quale è andata via anche la figura dell’anziana contadina col suo asino, che erano fermi all’imboccatura del piccolo molo; delle due barche che si vedono a destra nel mare, nell’ovale, una non è più presente nella scena successiva, mentre l’altra continua a procedere nella navigazione; le due contadinelle, non presenti nell’ovale son comparse sulla spiaggia, nel dipinto rettangolare, a poca distanza dal pontile; e tanti altri piccoli particolari (come la barchetta vicino alla riva coi due pescatori che tirano le reti) si vedono nella minuta comparazione delle due opere quasi identiche.
Questo gioco l’artista lo aveva fatto anche precedentemente, nel 1866, quando ha dipinto le due meravigliose Scene di pesca nel Golfo di Napoli [figg. 7-8], citate più sopra, laddove vediamo dei pescatorelli ancora sugli scogli in attesa del’imbarco nel quadro ovale, mentre, nella veduta rettangolare, le due barche si stanno avviando nel golfo immerso in una ineguagliabile luce di cristallo, dove appare tutta la costa partenopea e il maestoso Vesuvio fumante.
In ultimo, mi piace segnalare un piccolo particolare scherzoso presente nell’inedito ovale Veduta di Nisida, 1870: sul molo sono rappresentate quattro figurine, una ragazza in piedi saluta il giovane pescatore, anch’egli in piedi, vicino a lui, seduto l’altro pescatorello al lavoro;
tornando indietro, si vede un giovane di schiena, pure lui al lavoro, ma alle sue spalle, appoggiato alla balaustra del pontile, seduto in maniera un po’ scomposta, si è appostato un Pulcinella, con la mano destra nasconde un piccolo randello, forse per dar fastidio al giovane lavoratore, lui che invece è l’eterno sfaticato della Commedia dell’Arte [fig. 9, particolare].
di Mario URSINO luglio 2017