Adriana CAPRIOTTI, Barbara JATTA, M. Cristina TERZAGHI
In occasione della esposizione tuttora in corso alla Gallerie Mendes a Parigi (cfr https://www.aboutartonline.com/illuminato-dal-barocco-philippe-casanova-espone-a-parigi-il-modo-attuale-di-rivivere-larte-del-passato-dall11-dicembre/)) tre importanti studiose ed esperte dell’arte barocca (e non solo) hanno commentato alcune opere di Philippe Casanova. Riportiamo volentieri le loro interessanti note.
Adriana CAPRIOTTI (Direttore della Galleria Spada)
LA GALLERIA E IL SUO DOPPIO.
Due opere di Philippe Casanova dedicate alla Galleria Spada
Quale novità, oggi, nella Galleria del Cardinale? E’ un gioco di specchi, un omaggio alla Terza Sala del museo, un ossequio alla tradizione delle Gallerie dipinte, un intrattenimento? E’ un ponte gettato tra l’antica collezione del Seicento e la pittura contemporanea (eppure barocca), un invito alla visita con sguardo più lento, con passo più cauto? E’ il frammento di un’autobiografia artistica?
La Galleria e il suo doppio è, in particelle piene di garbo e frammenti quasi spiritosi, tutto questo, ed è soprattutto l’amichevole risposta data da Philippe Casanova – che ha completato i dipinti in questa fine del 2017 – all’invito ad esporre, per qualche giorno e per il pubblico della Galleria Spada, le sue vedute della Terza Sala del museo, ovvero dell’ambiente più rappresentativo del collezionismo secentesco di Bernardino Spada.
Amabilmente ostinato, il cardinal Bernardino ignorò, negli anni trenta del Seicento, qualsiasi consiglio, preghiera o suggerimento del fratello Virgilio, padre Oratoriano ed esperto di architettura, di lasciare il cinquecentesco Palazzo Capodiferro – un meraviglioso quadrangolo iperdecorato di stucchi – così come l’aveva acquistato: Bernardino voleva una galleria di pitture, secondo i canoni maggiormente in voga a Roma nel Seicento, e per ospitarla ristrutturò il lato di mezzogiorno del piano nobile del Palazzo, aggiungendo all’edificio la lunga “manica” colma di capolavori che oggi ammiriamo. Da sempre, vi si trova la maestosa Didone del Guercino che muore sulla pira, cui si affiancò, alla fine del XVII secolo, l’altra gran “famosa”, la ricca Cleopatra a banchetto di Francesco Trevisani, collezionata da Fabrizio Spada, pronipote di Bernardino. Decine di altri capolavori secenteschi, sculture romane di età imperiale, arredi barocchi squisiti – oltre alla decorazione allegorica di soffitto e pareti – decidono, insieme, il carattere della Terza Sala: magnifica, ma domestica; superba, ma familiare.
Philippe Casanova vi cammina da anni, come del resto in tutte le fabbriche, maggiori e minori, del Barocco romano. E così, attraversando e rappresentando le chiese di Sant’Ignazio e del Gesù, come anche le cappelline di devozione privata dei palazzi gentilizi romani, sostando e riproducendo gli altari monumentali di San Pietro o di San Giovanni in Laterano così come i gran caminetti scolpiti dei saloni delle dimore patrizie, questo pittore francese pare stabilitosi a Roma per procedere alla completa mappatura del suo Seicento più trionfante, talvolta scoprendone aspetti assai desueti che mettono alla prova l’abilità degli storici dell’arte.
Con una pittura inizialmente vorticosa e immateriale, come negli affreschi delle cupole, fattasi poi maggiormente speculativa e di dettaglio, il pittore ci ha mostrato scorci di cappelle barocche incastonate nelle basiliche paleocristiane, dettagli di coronamenti architettonici ribaltati nella luce, sagrestie, corridoi e refettori di conventi.
Negli anni, abbiamo perciò capito che è del tutto vana la domanda se la sua sia una pittura moderna o anacronistica, perché l’artista sta di fatto censendo per immagini l’intera città barocca, in un’operazione che va vista nel suo complesso e che prende qualcosa dallo spirito della guidistica dedicata ai monumenti di Roma durante i secoli. Le mirabilie di Philippe Casanova, però, sono esclusivamente quelle del Seicento.
In questa sua funzione da periegeta barocco, il pittore scrive di fatto anche una sua autobiografia di attraversatore di luoghi, in cui si ferma e di cui dà testimonianza. E’ così che la Galleria del cardinale si sdoppia, anzi quadruplica, perché viene vista dal pittore sia dalla sua entrata naturale che dalla sua terminazione, ossia dal gran finestrone che dà sul vicolo dell’Arcaccio. Sono due momenti in cui il visitatore è invitato a guardare la Terza Sala reale dapprima attraverso la sua versione dipinta: e da questa mise en abyme più affettuosa che perturbante viene anche il gusto di una pausa prima di procedere attraverso le splendide opere che nei due dipinti appaiono abbreviate ma riconoscibili come, ad esempio, il Globo celeste, col suo gemello terrestre, di Willelm Janszoon Blaeu, il più grande creatore di mappamondi del secolo d’oro. Le due “prese” della Galleria sono, quindi, anche un punto fermo nel tempo del loro allestimento, con procedimento non tanto dissimile da quell’invenzione esclusiva – e sempre secentesca – che fu la “pittura delle collezioni”, ovvero quegli apprezzatissimi quadri che, da Brueghel a Frans Franken mostravano gli interni di studioli, cameroni e gallerie ricolmi delle proprie meraviglie. Quella tradizione europea avrebbe trovato in Italia la sua formula più sofisticata nella seconda metà del Settecento, con le Gallerie (di invenzione) della Roma antica e moderna del Pannini, o con le Tribune degli Uffizi di Zoffany, un genere dal fascino così persistente da avere una sua vasta resurrezione alla fine dell’Ottocento: a Firenze, ad esempio, con Domenico Caligo.
Provvisoriamente mimetizzate all’interno della collezione storica, le due Gallerie di Philippe Casanova paiono essere appena giunte alla Spada, rinnovando per una volta quelli che furono secoli di ordinativi e committenze artistiche: per l’occasione, si sono con garbo accomodate sugli arredi barocchi che esse stesse continuamente duplicano.
————————————- *————————————————*——————————-
Barbara JATTA (Direttore dei Musei Vaticani)
Sono anni che Philippe Casanova, peintre baroque, vive a Roma e che pone la sua attenzione ai luoghi artistici di questa meravigliosa Città Eterna, ricordando a tutti noi la sensibilità tutta barocca che ne è parte intrinseca.
Nella sua ricerca non potevano mancare i Musei Vaticani e Philippe ce li ha proposti in questa mostra in due opere che raffigurano i luoghi più scenografici ma anche quelli meno conosciuti dei musei del Papa: la sommità della Scala Simonetti e la Galleria dei Candelabri.
La parte terminale della celebre scalea del Museo Pio Clementino è caratterizzata dall’imponente cratere nero. Casanova coglie questo scorcio che tanti visitatori perdono, affannati verso le gallerie che li condurranno alla Cappella Sistina, non si voltano per vedere la magia dell’ Antico voluta dalla scenografia di un grande architetto. È’ l’andito al Museo Etrusco, a quel grandioso Museo Gregoriano Etrusco voluto da Gregorio XVI Cappellari alla metà del XIX secolo per mostrare le importanti scoperte e i rinvenimenti di quella civiltà nelle terre dello Stato Pontificio.
L’imponenza della scala, tagliata dalle luci del pomeriggio romano, viene raffigurata in un gioco di colori caratteristico della tavolozza del nostro pittore e di questi luoghi.
Anche nella Galleria dei Candelabri le cromie sono le stesse e la luce del meriggio è analoga. Gli spazi settecenteschi sono resi con un colore e con le calde tonalità barocche.
Questo luogo di passaggio verso la Sistina viene valorizzato per la sua eleganza e reso ancora più fantastico dal gioco di luci voluto dall’artista. Ci mostra questi luoghi muti, senza la presenza umana, estranei al fragore dei migliaia di visitatori che ogni giorno li percorrono, in una visione sicuramente privilegiata, la stessa che dovevano avere i pochi dignitari che nel passato li attraversavano.
—————————————–*———————————————-*—————————-
Philippe Casanova ha il Barocco nel sangue. I suoi straordinari lavori sono un corpo a corpo con gli interni di palazzi e chiese romani tra i più rappresentativi della Roma Triumphans. Tutto è energia, colore e spiegamento di forze. Ma la fascinazione estrema è quella con la Chiesa Nuova, che accompagna Philippe dagli inizi. In questo mirabile monumento egli si è immerso piano piano, un passo alla volta, realizzando una delle opere più imponenti della sua ricca produzione, dedicata all’immagine e al culto di San Filippo Neri, protagonista e ispiratore di molti artisti nella Roma del Seicento.
Il cammino delle sette chiese, l’ultimo dei lavori di Philippe, nasce dalla totale immedesimazione con la pratica religiosa più amata dal Santo: il pellegrinaggio alle sette chiese di Roma, accompagnato dai più stretti seguaci e allietato da canti, pratica tuttora largamente attuata.
Si tratta di un bozzetto ideato per decorare la volta di una navata. In esso è raffigurato in un turbine di luce e gloria divina il percorso dei pellegrini che in frotta partono da Santa Maria in Vallicella, attraversano il ponte Sant’Angelo, simboleggiato da uno degli angeli berniniani, giungono a San Pietro, dove ancora una volta è Bernini che si affaccia con il suo baldacchino, per proseguire verso San Paolo, San Sebastiano, San Giovanni in Laterano, Santa Croce in Gerusalemme, San Lorenzo al Verano fino a Santa Maria Maggiore, dove l’immagine della Vergine Salus Populi Romani accoglie maternamente i pellegrini concludendo il loro percorso.
Si tratta di un’imponente sintesi non solo dell’arte barocca romana, ma anche della spiritualità Oratoriana, dove l’elemento luministico e il timbro coloristico emergono in uno straordinario connubio, glorificando quella Santa Allegrezza indicata da Filippo Neri come uno dei sommi frutti spirituali della comunione con Dio e mirabilmente espressa nel tripudio di luci e forme dell’opera di Philippe Casanova
Roma Gennaio 2019