di Rossella VODRET
Questo articolo di Rossella Vodret (la cui attività di dirigente e funzionaria pubblica, oltre che di studiosa ed organizzatrice di mostre convegni ricerche è nota a tutti) precede una lunga conversazione che ci ha concesso su questi temi inerenti la figura e l’opera di Michelangelo Merisi da Caravaggio su cui è impegnata da tempo; pubblicheremo il testo il prossimo numero di About Art, ai nostri lettori raccomandiamo di non perderlo.
Vorrei iniziare questo intervento riprendendo il discorso intorno alla mostra ‘Dentro Caravaggio’ di cui tanto si è discusso sulle pagine di questa rivista.
La mostra, che si è voluto ricollegare idealmente sia alla grande esposizione milanese di Longhi del 1951 sia a quella allestita a Firenze e Roma nel 1990 – 1991 curata da Mina Gregori, ha rappresentato per tutti noi che vi abbiamo lavorato, una grande e affascinante sfida dal momento che abbiamo potuto presentare al grande pubblico i risultati, aggiornati realmente ad oggi, di quelli che sono i due filoni di ricerca che più stanno contribuendo a ridefinire i contorni storici, personali e tecnici di un artista straordinario come Michelangelo Merisi da Caravaggio:
-da una parte, le ultime, spesso decisive, scoperte documentarie, a cominciare dalla grande revisione condotta dall‘Archivio di Stato di Roma;
-dall’altra le recenti campagne di indagini diagnostiche sui quadri, condotte secondo le tecnologie più avanzate attualmente disponibili. Una ricerca avviata nel 2009 dalla Soprintendenza speciale del Polo museale romano sulle ventidue opere autografe ancora conservate a Roma e implementata, grazie al gruppo Bracco e alla disponibilità dei Musei prestatori, su altre tredici delle opere presenti a Palazzo Reale.
Grazie a queste due campagne diagnostiche abbiamo oggi a disposizione analisi tecniche comparabili (tutte le analisi eseguite hanno seguito gli standard qualitativi dettati dall’ ISCR) su trentacinque opere autografe di Caravaggio, di fatto la metà delle opere attendibilmente attribuite al grande pittore lombardo. Non poco…
I documenti
La fondamentale ricerca effettuata dall’Archivio di Stato di Roma ha consentito di fissare l’arrivo a Roma di Caravaggio al 1596 circa e non più al 1592 come si è creduto per molto tempo. Questo cambiamento di date ha portato inevitabilmente lo spostamento della cronologia di tutte le sue prime opere, che sono ora scaglionate in soli quattro anni invece di otto, creando non pochi problemi legati alla sua progressione stilistica e tecnica, divenuta ora velocissima.
I nuovi documenti hanno però creato un misterioso vuoto di attività di Caravaggio tra il 1592 e il 1596.
Una possibile ipotesi viene da una recentissima scoperta, nota solo da pochi mesi: è un manoscritto di Gaspare Celio del 1614, che contiene la prima biografia nota di Caravaggio: Caravaggio fu costretto a scappare da Milano a Roma per aver ucciso un suo compagno, in un oscuro episodio in cui furono coinvolti prostitute e sbirri, inseguito al quale Caravaggio si fece almeno un anno di carcere. Alessandro Zuccari pensa che Celio in realtà si riferisca all’uccisione di Tomassoni visto anche che tracce documentarie su questo ‘fattaccio’ non sono state ancora trovate, ma prima di escluderlo forse bisogna cercare ancora negli archivi lombardi. In ogni caso altre ipotesi sono possibili per riempire questo vuoto, prima tra tutte il famoso viaggio a Venezia citato da Bellori …
In linea con i presupposti della mostra, Palazzo Reale ha proposto una serie di documenti importanti scoperti in questi anni, che ci parlano della vita, quella vera, dell’uomo Caravaggio, “cervello stravagantissimo“, come lo definiva il suo protettore il card. Del Monte. Prima tra tutti la importantissima deposizione che il garzone del suo barbiere, Pietro Paolo Pellegrini, fa su Caravaggio l’11 luglio 1597
“questo Michelangelo pittore di 28 anni incirca di giusta statura più presto grande che altrimenti grassotto, non molto bianco in faccia ne anco bruno, et ha poca barba negra ma poca, et veste di negro…non troppo bene in ordine …et porta in testa un cappello di feltro negro“;
«Questo pittore …. al parlare tengo sia milanese […] mettete lombardo, per che lui parla alla lombarda et lo cognosco da questa quaresima prossima passata ha fatto l’anno»….”.
Pietro Paolo Pellegrini afferma nella sua testimonianza di aver conosciuto Caravaggio nella Quaresima dell’anno precedente (1596), quando lavorava presso il pittore siciliano Lorenzo Carli, il quale, secondo i suoi biografi, fu il primo contatto di Caravaggio a Roma.
Combinando la testimonianza dei biografi (che Carli fu il primo referente romano di Caravaggio) con la notizia che il pittore lavorava da lui nella quaresima del 1596, sembra naturale dedurre che l’arrivo di Caravaggio a Roma non può oggettivamente essere lontano da questa data
Quindi la testimonianza di Pietro Paolo, che ci fornisce una vivida descrizione fisica del pittore – addirittura riferisce che parla “alla lombarda” – è stata fondamentale per collocare la prima attività romana di Caravaggio ai primi mesi del 1596.
Le indagini diagnostiche
Accanto ai venti capolavori esposti in mostra erano visibili anche i risultati delle indagini tecniche che ci hanno dato la possibilità di “vedere”, attraverso le immagini diagnostiche, cosa c’è dietro la pellicola pittorica di seguire tutte le fasi e tutti i cambiamenti intervenuti prima della stesura definitiva. In sintesi, di toccare con mano l’evoluzione creativa del pensiero del pittore e dell’elaborazione tecnica di quello che ammiriamo sulla tela.
Come è noto la diagnostica artistica è un metodo di studio, nato nell’800,
che si basa su una serie di analisi scientifiche (radiografie, riflettografie, stratigrafie ecc) che forniscono informazioni sia sulla tecnica esecutiva, sia sullo stato di conservazione delle opere d’arte, non desumibili ad occhio nudo.
Come le più recenti tecniche d’investigazione forense, che attraverso le analisi delle tracce materiali sulla scena di un crimine possono essere decisive per risolvere indagini di polizia o giudiziarie (basta pensare al DNA!), e come la diagnostica per immagini che in medicina costituisce un punto di riferimento imprescindibile per la definizione del quadro clinico di un paziente, così le tecniche di indagine scientifica sulle opere d’arte, indagando la materia fisica di un’opera e analizzandone gli “indizi”, possono aiutare lo storico dell’arte per la ricostruzione della modalità esecutiva di un’opera d’arte -che in genere è peculiare come la scrittura o la firma di ognuno di noi – e del processo creativo dell’artista.
La diagnostica artistica quindi integra con nuove informazioni non visibili e nuovi elementi di valutazione, l’ analisi visiva da parte dei conoscitori,
il cui contributo nell’identificazione delle caratteristiche stilistiche resta comunque fondamentale per la conoscenza delle opere d’arte. Si tratta di una serie di informazioni preziose che ci raccontano quello che è stato, nel nostro caso, l’elaborazione di Caravaggio nell’esecuzione dei suoi capolavori e costituiscono un aiuto importante al lavoro dello storico dell’arte.
I nostri studi ci hanno permesso di proseguire le ricerche dei grandi studiosi che nel corso del ‘900 hanno avviato questo tipo di studi, Cesare Brandi, Lionello Venturi, sir Denis Mahon, Maurizio Calvesi, Mina Gregori, presidenti onorari del nostro Comitato scientifico, Keith Christiansen, e di delineare alcuni tratti essenziali della tecnica di Caravaggio.
Oggi possiamo affermare che Caravaggio inizia a dipingere seguendo la tecnica tradizionale del suo tempo:
disegna con un pennello sottile o un carboncino sulla preparazione chiara e procede aggiungendo, per velature successive, le varie stesure di colore e le ombre Il cambiamento cruciale nella sua tecnica avviene negli ultimi anni del ‘500, e viene messa a punto quando viene chiamato a dipingere le due grandi tele per la Cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi: primo incarico pubblico e su tele di grandi dimensioni, cui non era abituato. Gli viene dato un solo anno di tempo per completare l’opera. Dunque ha poco tempo e deve elaborare in fretta un nuovo metodo di lavoro: sulla preparazione divenuta scura già alla fine del ‘500, imposta rapidamente la composizione con incisioni e abbozzi e aggiunge soltanto i chiari e i mezzi toni, cioè dipinge solo le parti in luce o in penombra.
Nelle parti in ombra e sul fondo non c’è pittura, ma solo preparazione scura:
di fatto non esegue le figure nella loro interezza, ma solo le parti raggiunte della luce: un gran risparmio di tempo … In questo modo le sue esecuzioni diventano velocissime, una caratteristica questa di cui si accorsero anche i suoi contemporanei e che è stata tramandata dai suoi biografi.
Una tecnica che Caravaggio non abbandonerà più,
aggiungendo dopo la Contarelli gli abbozzi chiari, ben visibili sulla preparazione scura, per impostare le composizioni, come ad esempio nella Giuditta Barberini dipinta per il ricco banchiere ligure Ottavio Costa, per la quale la datazione si deve spostare per me al 1602 e non al 1599 come si è pensato finora.
Da notare poi che il colore della preparazione, che assume sempre maggiore importanza perché lasciata a vista o appena velata in larga parte delle sue opere, non è sempre lo stesso, ma varia e viene impostato da Caravaggio in rapporto al colore predominante che caratterizza ogni singolo dipinto. Di fatto il colore della preparazione della tela entra nella gamma cromatica dei suoi dipinti. La tecnica esecutiva di Caravaggio diventa sempre più compendiaria, scarna ed essenziale fino alle estreme conseguenze del magnifico Martirio di s. Orsola, del 1610, anno della sua morte, dove il buio prende ormai il sopravvento sulla luce e le figure, delineate da poche pennellate di abbozzo, sono letteralmente inghiottite dalla preparazione appena velata di scuro che occupa più del 50% della superficie dipinta.
Un altro aspetto affascinante riemerso grazie alla analisi condotte su varie opere del Merisi è stata la scoperta di una serie di immagini “nascoste”;
faccio solo l’esempio perché molto noto –ma ce sono altri- della ormai famosa immagine della Vergine con il Bambino, dipinta sotto la Buona ventura della Pinacoteca Capitolina, attribuita finora al suo antico maestro, il cav. d’Arpino e ora, grazie alle nuove indagini, nuovamente studiata da Giorgio Leone probabilmente da riferire allo stesso Caravaggio.
E’ un esempio di come l’integrazione dei dati emergenti dalle nuove metodologie e tecniche di indagine diagnostica con i risultati delle ricerche di archivio e con fondamentale lettura stilistica basata sull’osservazione costituisca oggi il terreno più promettente per affrontare importanti nodi storico-artistici quali quelli relativi ad alcune importanti tappe della straordinaria evoluzione del linguaggio artistico di uno dei più grandi maestri della storia dell’arte moderna.
In tale prospettiva, appare assolutamente necessaria, e quanto mai fruttuosa, la collaborazione tra diverse professionalità–storici dell’arte, restauratori, tecnici diagnostici, archivisti e storici – in uno sforzo e in una sfida di continuo aggiornamento delle proprie consuetudini e metodologie critiche
La mostra di Parigi Caravage à Rome, Amis & Ennemis
Purtroppo non mi è stato possibile, a causa di un piccolo incidente sulla neve, vedere la mostra curata da Francesca Cappelletti e M.Cristina Terzaghi, che so essere stata molto interessante soprattutto per i confronti che sono stati proposti, né partecipare al convegno del 9 gennaio presso l’Istituto di cultura italiano a Parigi.
Mi è dispiaciuto soprattutto non poter vedere il confronto tra le due Maddalene in penitenza: la versione Klain l’altra cosiddetta Gregori, così chiamata perché venne presentata nel 2014 da Mina Gregori.
Nel mio intervento al convegno avrei dovuto parlare proprio della Maddalena Gregori
che con Claudio Falcucci abbiamo analizzato nel 2015 e che ci ha rivelato interessanti sorprese: una tecnica esecutiva del tutto compatibile con quella di Caravaggio e una serie di importanti modifiche compositive che di norma troviamo nei dipinti originali e non nelle copie che, per essere appunto copie, di solito ripetono un originale già esistente e non presentano, di conseguenza cambiamenti nella struttura compositiva. Se a questo si aggiunge che l’analisi stilistica proposta da Mina Gregori è accurata e convincente …
Lo studio della Maddalena è ancora in corso, mi auguro che saranno pubblicati gli atti del convegno, a cui sto già lavorando.
Rossella VODRET Roma gennaio 2019