Stefano CAUSA
Caro Direttore
Perdona il tono informale della risposta.
A me questo dipinto sembra un vero Caravaggio. Se esiste un termometro della qualità questo lo fa schizzare molto in alto, come in quei tirapugni da lunapark che si vedevano nei vecchi film americani. Quando, giorni fa, ne parlai a telefono con Cristina Terzaghi eravamo increduli. Avevamo quasi paura a pronunziare quel nome. Ci giravamo intorno – Battistello Caracciolo, il primo Ribera napoletano … Ma niente da fare: Caravaggio è il nome che ritornava sempre e sbaragliava tutti gli altri. A caldo, foto alla mano, non avevamo dubbi. Ma poi Cristina, a bocce ferme, dinanzi alla tela a Madrid, ha dissipato ognidubbio residuo.
Un Caravaggio del primo tempo napoletano, diciamo 1607, ma è impossibile arrotondare la cifra con finezza. Nel novero di quei quadri da stanza impattanti e violenti, come la Salomé del Palazzo Reale di Madrid, su cui hanno fatto i compiti, con il massimo profitto possibile, non solo Battistello nel suo breve interludio caravaggesco, ma anche Stanzione, Andrea Vaccaro e, naturalmente, sebbene con esiti completamente diversi, lo stesso Ribera verso la fine del primo ventennio del ‘6oo.
Ora, come si sa, Ribera rimette al centro della scena locale il problema dello Stile, con la esse maiuscola. Ma la sua è una scrittura subito preziosa, che tende al risalto e non al liscio, giocata su effetti di superficie, mentre questo quadro madrileno è difeso da una materia scabra e corsiva. Anche per questo il finale di partita del Caravaggio, di cui l’Ecce Homo pare realmente un tassello essenziale, è sul piano stilistico, e dunque mentale, difficilmente emulabile. Forse vale la pena di ripeterci quel vecchio adagio che il più grande caravaggesco, e forse l’unico, è stato Caravaggio.
Quanto al problema, che tu sollevi, dell’opportunità o meno, di divulgare i propri pareri nelle sedi deputate, ebbene: oggi che mentre la comunicazione a tutti i livelli appare straordinariamente segmentata, io mi chiedo se esistano più, quantomeno in senso accademico, delle sedi deputate. Insomma: negli anni 1950, le aggiunte a Caravaggio venivano affidate ad una tribuna autorevole, e prestigiosa, come la rivista fiorentina di Longhi, ‘Paragone’. Ed era cosa buona e giusta per tanti motivi.
Oggi la pubblicazione di questo Caravaggio in una rivista cosiddetta di fascia A, sempre che le forche caudine del referaggio ne abbiano consentito l’approdo, è il segmento finale di un braccio lungo che comincia, nella più comune delle ipotesi, da una foto circolante sui social. Piaccia o meno, oggi la storia dell’arte la si fa e la si racconta su What’s app. Così è se vi pare.
Stefano CAUSA Napoli 10 aprile 2021