di Giulio de MARTINO
C’è stato un periodo in cui il disegno ha trovato una portentosa vitalità.
Erano gli anni ’80 del Novecento, prima che il mondo fosse investito dalla tempesta digitale dei pc e di internet. Un periodo successivo ai due decenni della grande divaricazione culturale apportata dalla «contestazione globale» degli anni ’60 e ‘70.
In quella stagione «di mezzo» si trova la matrice artistica e culturale di Oreste Zevola (Napoli, 1954-2014) le cui opere abbiamo rivisto conservate, ordinate ed esposte, nella casa/archivio sapientemente gestita, nel cuore dei vicoli di Napoli, dall’instancabile Marina Gargiulo.
L’occasione di scriverne ci è stata offerta dall’Open House che si è svolto il 1 e 2 ottobre scorsi. Abbiamo potuto visitare la casa e lo studio di Oreste, sfogliare i suoi album, vedere e toccare incisioni, grafiche, dipinti, gioielli, sculture e tanto altro che è stato forgiato e inciso, illustrato e scritto dalla sua creatività vulcanica. Non c’è – ovviamente – la dimensione spaziale delle sue installazioni e la temporalità dei suoi grandi affreschi e intagli, ma si riscoprono la linea iconica e l’immaginazione grafica assolutamente personali.
Nel fermento degli anni ’70 si trovano l’origine remota dell’idea del disegno di Oreste Zevola e la genealogia della sua passione per un’arte che inseguisse e contraddicesse la società.
La si potrebbe ben descrivere con queste parole di Umberto Eco:
«un disegnare che si oppone alla grafica di consumo, non invita all’acquisto, non persuade della bontà di un prodotto: è dunque la grafica polemica e stizzosa dei controgiornali gruppuscolari, la grafica distruttiva dell’underground»[1].
Talento naturale – Zevola studiò al liceo classico e a giurisprudenza – negli anni ’80 scelse la via dell’arte e collaborò come disegnatore, grafico, scenografo, scultore e illustratore con galleristi, editori, critici letterari, registi di cinema (Laurent Bécue-Renard, Alice Rohrwacher, Antonietta De Lillo) e di teatro (Napoli Teatro Festival, “Bernalda Alba” di Cristina Donadio).
Tra il 2000 e il 2014 i suoi disegni apparvero su “Liberation”, “New Yorker”, “Wall Street Journal”, “Washington Post” e in libri e riviste di editori quali Mondadori, Times, Forbes, Bloomberg. Disegnò le copertine per le riviste “Linea d’ombra”, “Lo Straniero”, “Gli Asini”, di Goffredo Fofi, e la casa editrice “L’Ancora del Mediterraneo”.
Il disegnare libero e riflessivo di Zevola dialogava con l’artigianalità (stoffe, gioielli, ceramiche) e si era fatto esperto delle tecniche di intaglio, di incisione e di stampa più diverse. Ovunque si muovevano le idee e le immagini, lì giungevano la sua matita, le sue tempere e la sua china.
Sempre al quadrivio tra grafica, fumetto, illustrazione e animazione, Zevola applicò al suo lavoro il filtro culturale che gli veniva dalla tradizione illuministica napoletana che – alla fine del ‘900 – sarebbe stata riscoperta e riproposta in molti campi della cultura e dell’arte ad opera dell’Istituto per gli Studi Filosofici di Gerardo Marotta (1927-2017). Studiò la figurazione proposta da disegnatori e incisori del «Royaume des Deux-Siciles» come Salvator Rosa, Antoine Cardon, Raffaello Morghen. Da quelle radici auliche – lo ha osservato anche Goffredo Fofi[2] – non sarebbe derivato nulla di pedantesco: Zevola aveva in mente il mondo dell’arte e della comunicazione di fine ‘900.
Quando iniziò a disegnare e a dipingere erano gli anni Ottanta, gli anni della Transavanguardia italiana (da Chia a Paladino) e del Graffitismo newyorkese (da Keith Haring a Jean-Michel Basquiat) portati a Napoli anche dalla Galleria di Lucio Amelio (1931-1984). Zevola – pur vivendo in tutto il mondo (Napoli, Trieste, Parigi, New York, Bomarzo) – si tenne distante dalle evoluzioni e dalle involuzioni del «sistema dell’arte». Artista della «globalizzazione delle culture» e della «mondializzazione dei media» seppe distillare con versatilità i contenuti che più lo interessavano e per i quali poteva emozionarsi.
Nel luglio del 2004 realizzò immagini, sfondi e animazioni per il film “Il resto di niente” di Antonietta De Lillo – evento speciale del Festival del Cinema di Venezia – libera interpretazione del romanzo di Enzo Striano (1986) che diede il soggetto al film, dedicato a Eleonora Pimentel de Fonseca – donna metamorfica – e alla Rivoluzione giacobina e repubblicana di Napoli del 1799.
I suoi disegni apparivano a schermo intero o come sfondo di numerose scene, con una grazia drammaturgica, didascalica e coreografica, che ricordava i disegni di Emanuele Luzzati (1921-2007).
Alla metà di aprile del 2006, partecipò ad un’esposizione itinerante che da Bangui – la capitale della Repubblica Centro Africana – raggiunse varie zone del Paese e luoghi pubblici come centri sociali, consultori, ospedali. Era il progetto FACE AU SIDA teso a ostacolare la diffusione dell’HIV fra la popolazione locale e prevedeva la distribuzione di stampe, locandine, adesivi, t-shirt. Fu promosso dall’Ambasciata Francese in Centroafrica, dalla Croce Rossa francese, da Air France Skyteam, dall’Organizzazione “Population Service International”, da Total Centrafrique e dal Complesso pediatrico di Bangui.
L’«antropocentrismo» manifesto e l’ «arcaismo» latente della cultura occidentale lo sconcertavano. In quegli anni, le arti visive metropolitane stavano battendo la via nascosta di una estetica delle forme naturali (Rizomi) e della natura selvaggia (Wilderness).
Ed ecco che nel lavoro di Zevola – per contraddire e far deragliare il mondo in cui viveva – si affermarono le figurazioni divergenti del primitivismo e dell’animalismo. Il suo ideale e la sua percezione si focalizzarono su di una società non più distaccata dal mondo della natura e unita empaticamente con gli animali e le piante. In essa l’uomo viveva immerso in una «Ingens Silva» di simboli e di soggettività non-umane.
Nella mostra Eden – ospitata fino al 17 ottobre 2012 al Pan (Palazzo delle Arti di Napoli), curata da Maria Savarese in collaborazione con la “Fabbrica delle Arti” fondata a San Carlo all’Arena da Giusi Laurino (2010) – Zevola espose trenta opere di formati molto differenti: grandi intagli su cartoncino, figure multidimensionali, scenografie di rituali arcaici. Erano personaggi di tribù lontane, totem e simboli, creature animali e divine provenienti da luoghi remoti, ma, in realtà, prossimi all’inconscio e all’emotività contemporanea.
La mente visionaria dell’artista lacerava il velo religioso del «paradiso terrestre» cristiano e la città dell’uomo si scopriva popolata di entità metamorfiche mirabili e paurose. Come era avvenuto agli inizi del Novecento, tornavano – alla sua fine -icone rupestri, maschere e sculture africane, pitture indiane, alberi e animali.
Il «trade-off» passato remoto/futuro prossimo sarebbe divenuto la sua cifra stilistica e culturale. Dal 17 maggio 2012 alla “Fabbrica delle Arti” – in occasione del “Ri-Festival” – Zevola espose l’istallazione “L’arca del riciclo universale”. Materiali di riuso furono montati su di una struttura della lunghezza di otto metri e alta cinque. Erano coperti da un fasciame di listelli colorati di cartone riciclato. Formavano la nuova arca post-adamitica in navigazione per la salvazione del Pianeta. Intorno, vi era il mondo primigenio di Zevola: disegni, incisioni, installazioni sui temi della botanica e della zoologia fantastiche.
A Mondragone (CE), in un’area di rifugio per cani randagi, era stato inaugurato un grande “Museo del Cane”: FOOF. Oreste Zevola, pensò di lasciare anche lì il suo segno. Realizzò un’opera site-specific intitolata DUEDIUNO, in lamierino di ferro sagomato e verniciato (cm. 200×230). In essa raffigurò il rapporto originario tra pianta, cane e uomo ed esorcizzò il finto cane del futuro incarnato dal robodog cinematografico Ziggy (2015), realizzato ciberneticamente da Sony/Aibo (1999-2006).
Zevola, amava i cani con una enfasi, oltre che artistica, quasi missionaria. Volle che le sue ceneri fossero sepolte in un canile, a Licola, vicino a Napoli[3].
Ciò che emerge dalla vista all’Archivio Oreste Zevola è l’unitarietà estetica e culturale della sua produzione. Una unitarietà che non si disperde nella molteplicità dei supporti e delle occasioni, delle contaminazioni e delle collaborazioni. Dalla Leggenda di S. Patrizia, progetto di spettacolo con Bruno Leone che riprende gli stilemi dell’illustrazione devota medievale ai disegni per la Carta dei servizi dell’aeroporto di Napoli – Progetto grafico: STUDIO EIKON, 2005 – Zevola ha impastato il medievale e il moderno, l’arcaico e il contemporaneo, l’umano e il non-umano.
Nel mondo dell’arte di Zevola, nello spazio mentale ed estetico della sua figurazione, gli alfabeti e i simboli si giustappongono e dialogano. Anche se provengono da mondi e tempi distanti fra di loro, la traduzione linguistica è sempre possibile: basta costruire il linguaggio iconico appropriato. Dove arriva il disegno non giunge ancora la parola.
Giulio de MARTINO Napoli 7 Ottobre 2022
NOTE
[1] AA.VV., L’altra grafica, a cura di Rita Cirio e Pietro Favari, “Almanacco Bompiani”, 1973, p. 5.
[2] Istituto Italiano di Cultura Paris, Oreste Zevola. Une révolution napolitaine, Catalogo della mostra, gennaio 2019, p. 13.
[3] Finanziatore tra i più generosi del canile ARPAD Oreste Zevola ha adottato a distanza diversi cani. Quando morì prematuramente ha lasciato alcune opere all’associazione animalista a lui intitolata e al progetto “Save the dogs” che sterilizza i cani randagi del territorio. «Oreste amava tanto gli animali e aveva un rapporto ventennale con l’ARPAD tanto che per sua scelta le sue ceneri riposano nel giardino del rifugio» (Anna Digilio). Info: http://www.napolicittasolidale.it/portal/primo-piano/9232-la-storia-dell%E2%80%99arpad,-rifugio-d%E2%80%99eccellenza.html; https://www.facebook.com/rifugioarpad/
Riferimenti
AA.VV., L’altra grafica, a cura di Rita Cirio e Pietro Favari, “Almanacco Bompiani”, 1973.
Tiziana Cozzi, FACE AU SIDA/ DI FRONTE ALL’ AIDS, “Repubblica, 27 marzo 2006.
Maria Tiziana Lemme, Addio a Oreste Zevola, “il Sud online”, 8 dicembre 2014.
Istituto Italiano di Cultura Paris, Oreste Zevola. Une révolution napolitaine, Catalogo della mostra, gennaio 2019.
Alessandra Pacelli, Eleonora e la Rivoluzione. A Parigi i disegni di Zevola, “il Mattino”, 12 febbraio 2019.
Ilaria Urbani, L’arte di Oreste Zevola a Parigi, “Repubblica”, 13 febbraio 2019.
Archivio Oreste Zevola online: http://www.orestezevola.com/index.html
Bibliografia
1982 Canis Ludus Ed. Juliet, Trieste
1983 Bacioni da New York Ed.Torbandena, Trieste
1985 Isola Bisca Ed.Studio Oggetto, Caserta
1988 Rasoi Ed L’Alfabeto Urbano, Napoli
1989 Tarots Ed L’Aire du Verseau, Parigi
1991 Le mie creature Coed. L’Alfabeto Urbano/Juliet, Napoli-Trieste
1991 Una giornata di Superman Ed. Torbandena, Trieste
1994 Il Candelaio Ed. Notor, Napoli
1996 Stormo Ed. Studio Morra, Napoli
1997 Il terzo rinnegamento Coed. L’Alfabeto Urbano/Antidoti, Napoli
1998 Chimere Ed. Vitriol, Parigi
1999 Inanimés Ed.Vitriol, Parigi
1999 Nature Ed. Antidoti, Napoli
2001 Bad Boys Ed.E-M-ARTS. Napoli
2002 Flussi Ed. Comune di Napol, Napoli
2002 Cane di pane, Ed Orecchio Acerbo, Roma
2004 1799 Ed. Atonia Jannone, Milano
2004 Sky Fang Ed. Maeght, Parigi
2004 Gatazou, Coed. L’Alfabeto Urbano/Juliet, Napoli-Trieste
2005 Tue moi ce soir Ed. Alliance Francaise, Bangui
2007 Anomalien Ed.Buchhandlerkeller, Berlino
2007 Di acqua e di fuoco Ed. Teatro Festival Italia, Napoli.
Archivio Oreste Zevola – Napolimarinagargiulo@libero.it