di Rita RANDOLFI
La Madonna del Gonfalone di Niccolò Pomarancio a Santa Lucia del Gonfalone.
Durante il lungo periodo della quarantena siamo stati abituati a vedere spesso in televisione l’icona più famosa di Roma: quella della Madonna Salus Populi Romani della basilica di Santa Maria Maggiore, a cui i romani sono particolarmente devoti per i numerosi miracoli che le si attribuiscono, e su cui ha molto ben argomentato su About Art Francesco Petrucci ( Cfr., https://www.aboutartonline.com/a-santa-maria-maggiore-nel-silenzio-un-mondo-darte-che-abbraccia-lumanita/ ). Proprio per la sua fama l’icona è stata replicata varie volte ed una di queste copie si conserva nella chiesa di Santa Lucia al Gonfalone[1].
Anche questa immagine è sempre stata considerata prodigiosa e proprio per questo motivo fu dotata di una corona nel 1666. Fino all’attuale ritrovamento documentario questa Madonna, detta del Gonfalone, era ritenuta una copia di Livio Agresti, autore di ben due affreschi, l’Ultima Cena e la Salita al Calvario nel vicino Oratorio appartenente alla medesima Arciconfraternita.
Ma come l’Oratorio, tra il 1573 ed il 1580 fu arricchito degli affreschi che tuttora lo adornano e lo hanno reso famoso[2], anche la chiesa di Santa Lucia venne investita da lavori importanti, che interessarono soprattutto la zona presbiteriale.
Tra il 1574 ed il 1579 si trovano, infatti, registrati pagamenti versati in favore di Francesco de Stabia fornitore di pozzolana, di Giovanni de Sataguta scalpellino[3], di Matteo falegname[4], e di Giovanni imbianchino, attivi anche nell’Oratorio, che a vario titolo rinverdirono la tinteggiatura delle pareti, restaurarono i banchi e le porte del sacro tempio, fornendo, ovviamente, i materiali necessari[5]. Ma l’anno in cui si registrano gli interventi più consistenti è il 1581. Tra i mesi di marzo e aprile, infatti, lo stuccatore Giacomo Capilli, ricevette l’acconto di 20 scudi per «lo adornamento di stucco che fa nella cappella dello altare maggiore»[6], mentre il falegname Giusto si occupò della realizzazione della cupola e della predella.
Ancora il 13 aprile:
«Vespasiano muratore [ricevette] giuli 10 per comprare un rubio di calc(i)e et poz[z]olana per incollare in Santa Lucia dove sia da dipingere»[7].
Il pagamento più interessante reca la data del 24 aprile, giorno in cui «Nicolao delle Pomarancie pittore» riscosse «13 scudi a bon conto della pittura che fa nella cappella grande di Santa Lucia»[8].
Purtroppo i documenti sono avari di informazioni e non rivelano quali fossero i soggetti rappresentati dal Pomarancio, la cui presenza qui riveste una notevole importanza per diversi motivi: innanzitutto, fino ad oggi, si ignorava completamente l’intervento dell’artista nella chiesa di Santa Lucia, in secondo luogo la chiamata del pittore ne attesta la fama raggiunta, in un periodo in cui Niccolò era attivo al fianco di Antonio Tempesta nella decorazione della chiesa di Santo Stefano Rotondo[9].
Ancora tra le spese affrontate dall’Arciconfraternita si rintraccia, segnata al giorno 12 agosto del 1581, un’altra uscita in favore di:
«Niccolao delle Pomarancie pittore scudi 33 di moneta sono per resto della pittura che ha fatta nella cappella maggiore in Santa Lucia et per la pittura di sopra detta cappella come per mandato n. 307»[10].
Da questa voce si intuisce che l’artista non solo lavorava sulle pareti dell’altare maggiore, che già da quel tempo, evidentemente, comprendevano l’immagine della Madonna, ma anche sulla volta dell’abside. Ciò è confermato dal saldo a:
«Battista de Romena per resto et intiero pagamento del lavoro de stucco e volta della cappella a tutta sua roba fatta nella cappella de Santa Lucia, scudi 36»
che reca la data del 13 dicembre del 1582[11].
Del resto già il 26 maggio dell’anno precedente Marzio Donati aveva intascato 40 scudi: «Per aver nettato la chiesa di Santa Lucia et portato el calcinaccio fatto alla cappella dell’altar maggiore per ordine del guardiano»[12].
Per capire meglio che tipo di pitture Pomarancio avesse eseguito in Santa Lucia, sovvengono due pagamenti: «A Matteo falegname» uno datato 13 aprile del 1581 «Per acconcio di tre predelle de li altari di Sta Lucia et dui inginocchiatoi scudi 20»[13], l’altro sempre di
«scudi 20 di moneta e sono per acconto de giulii 17 che [deve] avere per tre quadri fatti per la Madonna in Santa Lucia, et altri lavori fatti per servizio della nostra compagnia, come per mandato n. 307»[14].
Dunque forse l’artista non aveva soltanto affrescato, ma dipinto almeno una delle tre pale d’altare per cui il falegname apprestava le predelle.
Il 10 dicembre del 1582 Costanzo del Grande pittore, ricevette «15 scudi per la doratura della immagine di Sta Lucia et pittura d’essa»[15].
L’architetto direttore dei lavori era ancora Guglielmo Faraone[16], citato spesso tra le uscite dell’Arciconfraternita, anche come perito estimatore di altre proprietà immobiliari. Infine al 26 marzo del 1583 è registrato il saldo: «A Nicolao pittore scudi 20 per la pittura che ha fatto all’altare di Santa Lucia»[17]. Dunque Niccolò si conferma essere l’autore dell’icona.
La Madonna del Gonfalone è stata sicuramente oggetto di ridipinture successive, per cui oggi risulta praticamente impossibile cogliere gli aspetti peculiari dell’arte di Pomarancio, tuttavia, come già detto, è importante sapere che il pittore è intervenuto anche nella chiesa di Santa Lucia. Questa notizia, infatti, potrebbe riaprire la questione dell’attribuzione di quegli affreschi, lasciati nell’anonimato, che ornano le pareti dell’Oratorio del Gonfalone[18].
Non è, infatti, assurdo pensare che una confraternita potesse servirsi dei medesimi pittori per ornare diversi luoghi di sua proprietà, come, del resto, accade frequentemente anche in altri casi e come attestano le spese diligentemente annotate dagli esattori, da cui risulta che le medesime maestranze erano attive nell’Oratorio, nella chiesa e addirittura negli immobili di cui l’Arciconfraternita era detentrice.
Rita RANDOLFI Roma 21 giugno 2020
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