di Nica FIORI
Non è più il tempo di piangersi addosso, ma di guardare piuttosto al futuro, sembra suggerire il titolo della mostra “Oltre una sorte avversa. L’arte di Amatrice e Accumoli, dal terremoto alla rinascita”, che si è inaugurata a Rieti nel Palazzo Dosi Delfini, vecchia sede della Provincia e ora della Fondazione Varrone, che nel gennaio 2020 aveva allestito nell’edificio il Varrone Lab, un laboratorio per restaurare a proprie spese parte dei manufatti esposti ora al pubblico, in collaborazione con il Ministero della Cultura.
È questo un segno di ripresa culturale per la città di Rieti, che nella stessa sede ospita in contemporanea anche l’importante mostra sul Carro di Eretum (//www.aboutartonline.com/strada-facendo-il-carro-di-eretum-in-mostra-a-rieti-insieme-ad-altri-reperti-della-tomba-del-principe-sabino/).
L’esposizione relativa all’arte dei paesi terremotati del Reatino, a cura di Giuseppe Cassio e di Paola Refice, Soprintendente Archeologia Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Roma e per la provincia di Rieti, si sviluppa in sei sezioni, attraverso una selezione di 65 opere tra dipinti, sculture, arredi sacri, reperti e documenti, provenienti dalle rovine delle chiese e dei palazzi dei due centri colpiti e dal Museo civico di Amatrice.
Le opere sono state selezionate tra le centinaia custodite nel deposito del MiBACT (ora MIC), allestito presso l’autoparco della Scuola Forestale Carabinieri di Cittaducale (RI).
Come ho avuto la possibilità di constatare di persona nell’ottobre 2016, in occasione della visita del Ministro Dario Franceschini a Cittaducale, lo stato di emergenza di innumerevoli opere, recuperate tempestivamente e sistemate “in sicurezza” nel grande ambiente militare, era palese. Ricordo in particolare alcune statue di culto che sorreggevano delle schede con numero d’inventario e provenienza: sembravano quasi chiedere aiuto in una silenziosa processione.
A distanza di quattro anni e mezzo ho riconosciuto in mostra alcuni di quei manufatti d’arte sacra e devozionale, che sono rinati grazie a un accurato restauro, ma che in alcuni casi conservano ancora, volutamente, una traccia di quello che hanno subito. Per gli abitanti di Amatrice e Accumoli è come ritrovare pezzi della loro casa, “quadri che sono parte del vissuto della popolazione, il cui valore artistico è superato dall’affetto e dalla preghiera”, come ha dichiarato Antonio D’Onofrio, presidente della Fondazione Varrone, partner del Ministero della Cultura nella realizzazione della mostra.
Dopo la prima sezione dedicata ai frammenti architettonici “nobili”, ovvero elementi lapidei particolarmente significativi, come per esempio il modellino di Amatrice che il terremoto ha strappato dalle mani della statua di Sant’Emidio, recuperato dalla chiesa del Suffragio, è proprio questo santo a colpire la nostra attenzione nella seconda sezione espositiva (foto 1).
Tradizionalmente invocato dalle popolazioni del Centro Italia a tutela dei terremoti (“A flagello terrae motus: libera nos!”: recita il titolo), Sant’Emidio è noto come patrono di Ascoli Piceno, forse perché tra il III e il IV secolo, mentre toccava le mura di quella città, i templi pagani crollarono per un violento terremoto. Purtroppo, essendo tutta l’area appenninica fortemente sismica, anche i santuari cristiani sarebbero stati poi colpiti più volte da eventi sismici, ma comunque il culto di questo santo, dopo che Ascoli era stata risparmiata dal terremoto del 1703, si estese anche nelle zone limitrofe (foto 2).
Tra le varie rappresentazioni in mostra, una delle più significative è la tela del XVIII secolo della chiesa di San Francesco d’Assisi di Accumoli, raffigurante Sant’Emidio con la città di Accumoli, con il santo a mezza figura che tiene con la mano sinistra il modellino della città dai tetti rossi. Molto più grande è la tela proveniente dalla chiesa di Sant’Emidio a Poggio Valtellino (frazione di Amatrice), alta oltre due metri: un’opera di Mariano Bianchini (Fermo 1826-Roma 1890) datata al 1888. Il santo è raffigurato in abiti vescovili, in piedi sopra un cumulo di macerie, mentre benedice il luogo chiedendo protezione al cielo, dove appaiono due angeli e la colomba dello Spirito Santo. Il dipinto è giunto nel laboratorio di restauro con gravissimi danni, provocati dalla caduta delle macerie della chiesa e, nel corso del complesso restauro, alcune lesioni non sono state stuccate per conservare la memoria storica dell’evento, pur mantenendo la godibilità estetica dell’opera (foto 3).
Un’ampia sezione è dedicata alle pie pratiche locali come la Via Crucis, della quale è esposta una serie superstite di Sommati (Amatrice) dipinta nel 1737, e la devozione verso il Divino Infante, documentata con una serie di bambinelli (c’è anche un esempio femminile, ovvero Maria bambina), i cui corpi in fasce sono interamente ricoperti da preziose stoffe ricamate (foto 4, 5 e 6).
Il culto dei santi è rappresentato da alcune sculture lignee, tra cui quelle cinquecentesche di San Francesco e Santa Chiara, che con il loro aspetto pauperistico contrastano con la vicina Immacolata caratterizzata dall’esuberanza barocca del manto (foto 7 e 8).
Tra le altre opere che raffigurano santi particolarmente amati ricordiamo le due tavole del 1537 della bottega di Dionisio Cappelli, provenienti dal Museo civico di Amatrice (ma in origine da Cornillo Nuovo). Le tavole costituivano le ante di un tabernacolo e pertanto sono dipinte su entrambi i lati: una con Sant’Anna (fronte) e San Giovanni Battista (retro) e l’altra con Santa Scolastica (fronte), raffigurata con una mammella in mano, e San Lorenzo (retro). Sia Sant’Anna che Santa Scolastica erano invocate dalle partorienti e dalle puerpere (e questo spiegherebbe la presenza della mammella, che di norma rientra nell’iconografia di Sant’Agata); più curiosa appare l’invocazione a Santa Scolastica contro i fulmini e per ottenere la pioggia (foto 9 e 10).
Altre immagini devozionali che ci colpiscono sono le cinque tele ottocentesche (San Carlo Borromeo, Assunzione della Madonna, Trinità adorata da Santi, San Paolo apostolo, Sant’Antonio da Padova), dipinte da Carlo Nibby nel 1851 e contenute in un sottoquadro d’altare in legno dorato del 1831, così da essere esposte a turno seguendo il calendario (foto 11 e 12).
Ricordiamo anche la tela con Il Martirio di Santa Lucia (ambito Italia centrale, XVII secolo) e alcune Madonne, tra cui la grande pala d’altare settecentesca dell’artista romano Niccolò Ricciolini che la raffigura con i santi Lorenzo, Antonio da Padova e Maria Maddalena, e con alcuni angioletti, tra cui uno con in mano un teschio a simboleggiare l’incontro tra Amore e Morte (foto 13).
Un ex-voto dipinto della chiesa di Santa Maria delle Grazie a Prato (Amatrice) raffigura un miracolo della Vergine per intercessione di Sant’Antonio da Padova. Da Pasciano (Amatrice) proviene la grande tela della Madonna del Rosario di ambito laziale (fine XVII-inizio XVIII secolo), che testimonia la diffusione di questo titolo dopo la battaglia di Lepanto del 1571. Il dipinto è accompagnato su tre lati da 15 tondi con scene legate ai misteri della vita di Maria e di Cristo contemplati nelle formule del Rosario.
La sezione intitolata La preziosa sacralità dei riti ospita oggetti di oreficeria-argenteria che, pur considerati di arte minore, sono in grado di esprimere la grande arte figurativa della loro epoca. Tipica è la bicromia oro-argento (il solo oro sarebbe stato sfacciatamente eccessivo), arricchita talvolta da coralli e smalti che la rende anche pittoricamente attraente (foto 14 e 15).
Sono esposte tra le altre le opere del celebre orafo Pietro Paolo Vannini (Ascoli Piceno 1413/18-1496), come il Reliquiario della Filetta, capolavoro tardo gotico del 1472 che custodiva come reliquia un cammeo di epoca romana (con un’immagine di Diana, scambiata per quella della Madonna) e le croci processionali di Preta e di Pinaco, in argento fuso, inciso, sbalzato, cesellato e smalti. Quella di Pinaco (1490) raffigura sul fronte, secondo la tradizione, la figura di Gesù in agonia e sui lati le figure fortemente aggettanti dei dolenti San Giovanni e la Madonna, nel vertice inferiore la Maddalena e nel vertice superiore un santo vescovo. Sul retro al centro Dio Padre benedicente e ai lati il leone e il toro, simboli degli evangelisti Marco e Luca, un giovane identificato come San Giovanni evangelista e un altro santo vescovo (foto 16).
Quest’opera, come scrive Sante Guido (autore della relativa scheda del catalogo e del suo restauro), “risulta essere il testamento artistico di Pietro Vannini; vi troviamo, infatti, tutti i caratteri della sua arte più matura che vede, nelle seppur piccole dimensioni delle figure, la puntuale naturalistica rappresentazione dei loro sentimenti, specie nella drammaticità dei volti delle figure dei dolenti ma anche nella precisa e attenta plastica rinascimentale dell’anatomia del Crocifisso”.
Il salone di Palazzo Dosi, dove sono esposte le oreficerie, accoglie anche la preziosa pala d’altare della chiesa di Sant’Andrea di Configno (Amatrice), che viene presentata dopo il restauro effettuato a Roma presso il laboratorio delle Gallerie Nazionali Barberini Corsini. La pala, databile ai primi decenni del XVI secolo, è realizzata a tempera su tavola a fondo oro, entro una cornice architettonica rivestita di oro e argento. Raffigura la Madonna in trono con il Bambino, san Giovannino e i santi Andrea e Sebastiano. Trattandosi di un’opera unica nel suo genere le è stata dedicata la sezione intitolata “Il Rinascimento a Configno”: un rinascimento artistico che si ispira alle composizioni realizzate tra Quattrocento e prima metà del Cinquecento tra Toscana, Umbria e Marche (foto 17).
L’ultima sezione è dedicata ai “Simulacri”, una serie di opere risalenti al tardo Medioevo e al primo Rinascimento. Quella più antica, databile alla fine del XIII secolo, è La Madonna in trono con il Bambino (tempera su tavola), proveniente dal Museo Civico di Amatrice, detta anche Madonna Cossito, dal paesino dove si trovava (foto18). La forma cuspidata della tavola (che doveva costituire la parte centrale di un trittico) sembra concepita per emulare lo schienale di un trono, dove siede la Vergine, coperta di un mantello rosso cosparso di perle disposte a gruppi di tre, numero che allude forse alla triplice verginità di Maria prima, durante e dopo il parto. Il Bambino, in posizione frontale e con le braccia distese a formare una croce, è sorretto dalla Madre con una mano sulla spalla destra e l’altra sulle ginocchia. Come si legge nel pannello espositivo Il “grafismo insistito“ e “l’allungamento e l’astrazione delle figure” sono elementi stilistici che trovano delle analogie in alcune pitture murali della chiesa di San Pellegrino a Bominaco (provincia dell’Aquila) e nell’eremo di San Cataldo a Cottanello (provincia di Rieti).
Alla tipologia delle icone appartiene anche la Madonna dal Palazzo Comunale di Accumoli (un tempo nella chiesa di Santa Maria delle Coste), che in realtà è un trittico con una Madonna del Latte, che è la “custodia” di una tavoletta con il volto più antico della Vergine incastonata nel pannello centrale del tabernacolo. Si tratta, quindi, di una perpetuazione e sacralizzazione di un’immagine particolarmente venerata. Nei pannelli laterali (forse del XVII secolo) sono raffigurate scene con l’Annunciazione, la Visitazione e l’Assunzione di Maria nello sportello di destra, l’Immacolata Concezione, la Natività di Maria e la Presentazione di Gesù al tempio nell’altro sportello, mentre nella cuspide è raffigurata la Pentecoste (foto 19).
Tra le opere esposte troviamo anche la scultura lignea trecentesca della Madonna in trono con il Bambino, dalla chiesa di Poggio d’Api (Accumoli) e la tavola, un po’ incurvata in avanti, di Cola dell’Amatrice con la Sacra Famiglia e San Giovannino (dal Museo civico di Amatrice), firmata e datata 1527. In questa composizione appare significativa anche l’umile figura dell’ancella, che sembra rifarsi a modelli di statuaria classica (per es. nel movimento dei piedi e nella pettinatura), e vuole alludere al mistero pasquale, perché reca un cestino con uova, simbolo di rinascita e resurrezione (foto 20).
Quale sarà il futuro di questi beni mobili? si chiede Paola Refice in un saggio del catalogo (ed. Il Formichiere). Già prima del sisma, molte di queste opere erano state musealizzate; bisogna ora pensare a una nuova sistemazione. Anche se sarebbe auspicabile il rientro a casa, ciò non è possibile, perché la ripresa appare lenta e difficile; in quei territori, per ora, anche solo “l’idea di fruizione turistica non può che apparire come un doloroso ossimoro”.
È certo che bisogna muoversi con cautela per ricostruire nel modo giusto gli spazi di paesi, che già prima del terremoto soffrivano il problema dello spopolamento, cercando di ritessere la trama di vite vissute, di tradizioni e di arte che si ha il dovere di proteggere e di tramandare a chi verrà dopo. Come afferma Giuseppe Cassio nello stesso catalogo, una mostra come questa propone “l’arte come sollievo”, ovvero “un percorso per conoscere, custodire e rinvigorire l’identità culturale di un territorio ferito”.
Nica FIORI Rieti 30 maggio 2021
“Oltre una sorte avversa. L’arte di Amatrice e Accumoli, dal terremoto alla rinascita”
Palazzo Dosi Delfini, Piazza Vittorio Emanule II, 17 – Rieti
La mostra è aperta tutti i giorni, tranne il lunedì, dalle 17 alle 20, fino al 9 gennaio 2022. L’ingresso è gratuito ma è necessaria la prenotazione sulla piattaforma eventbrite