di Claudio LISTANTI
Un indiscutibile successo ha salutato il Gala Verdi inserito nella Stagione Sinfonica dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ed affidato all’esperta bacchetta di Daniele Gatti che ha guidato l’Orchestra ed il Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia per interpretare una serie di brani tratti da diverse famose opere del grande musicista italiano.
La prima osservazione, che magari superficialmente può venire in mente, come personalmente constatato in sala ascoltando opinioni di diversi frequentatori dei concerti ceciliani, è quella di trovarsi di fronte ad un programma ‘nazional-popolare’ concepito con lo scopo di catturare l’attenzione del pubblico. L’Accademia di Santa Cecilia, immaginiamo, che non abbia necessità di una operazione di questo tipo, considerando il vasto seguito di pubblico che può vantare non solo nella città di Roma ma anche a livello nazionale e internazionale, certificato dal successo che riscuote quasi unanimemente nelle numerose tournée alle quali partecipa. A parer nostro, invece, il programma presentato era costruito in maniera del tutto funzionale a far comprendere al pubblico, con circa due ore di musica, la peculiarità di una carriera musicale come quella di Verdi che si è articolata nel cospicuo spazio di poco più di mezzo secolo.
Nella locandina è stato dato spazio agli inizi del Verdi operista, Nabucco con la Sinfonia e i cori simbolo di quest’opera “Gli arredi festivi” e “Va pensiero” così come i due provenienti da I lombardi alla prima crociata “Gerusalem!” e “O Signore, dal tetto natio”. Al loro fianco la sinfonia dalla Luisa Miller, l’opera che può essere considerata primo passo verso il superamento della prima maniera, particolarità che si può rilevare anche nella struttura e nella strumentazione di questo meraviglioso brano sinfonico posto all’inizio del programma della serata dimostrandone, in un certo senso la specificità. Non poteva mancare, poi, la sinfonia da I Vespri Siciliani, brano che risiede stabilmente nei programmi sinfonici di tutto il mondo.
La serata riservava anche grande rilevo a due grandi pagine sinfonico-corali, tra le più significative della produzione operistica di Giuseppe Verdi, due particolari scene di massa, quella del Don Carlos del terzo atto e la Scena del Trionfo di Aida, ognuna delle quali poste rispettivamente a conclusione della prima e della seconda parte del concerto. Due composizioni grandiose dalla magnifica e strabiliante orchestrazione che anche in questa occasione hanno colpito il pubblico per la bellezza sonora.
Lasciamo per ultimo l’elemento forse più interessante di questa serata, l’inserimento nel programma di due significativi esempi di musica per balletto, genere nel quale Verdi ha sempre dimostrato una particolare abilità anche se la produzione scaturì da ‘necessità’ dettate dalle convenzioni dell’epoca. Si tratta delle danze tratte dal Macbeth (eseguite al fianco di un altro significativo coro verdiano preveniente dalla stessa opera, Patria oppressa) e quelle tratte dall’Otello.
Queste danze furono composte in occasione delle rappresentazioni parigine delle due opere, una piazza quella francese sul cui palcoscenico si poteva accedere inserendo nelle opere una cospicua parte coreutica. Le cronache narrano che Verdi soffriva certamente per questa costrizione ma nonostante tutto produsse brani di indiscutibile valore musicale, riconosciuto anche da buona parte della critica. Purtroppo vengono all’occasione sempre espunte proprio perché frutto di una convenzione e, quindi, considerate superflue o, per di più, causa di interruzione dell’azione scenica. Tale giudizio critico, sostenuto anche da Paolo Gallarati che ha redatto le note di sala della serata (ma non è solo l’unico critico a sostenerlo), non tiene ben presente che con Verdi mai le cose erano fatte in maniera superficiale in quanto l’artista prestava particolare attenzione allo sviluppo drammaturgico ed alla comprensione dell’azione. Per quanto riguarda il Macbeth le danze furono inserite nel rifacimento dell’opera andata in scena a Firenze nel 1847 e poi soggetta ad una ristrutturazione per il grand opéra parigino del 1865 che ne ha consolidato la già dirompente drammaturgia della precedente edizione, rafforzandone l’elemento tragico e i caratteri ‘espressionisti’ dell’opera. Le danze furono inserite nelle apparizioni delle streghe del terzo atto e, all’ascolto, si fondono bene con l’azione regalando alla scena un più deciso elemento ‘magico’ oltre ad uno straordinario spessore drammatico. Ma c’è di più. Le odierne esecuzioni del Macbeth si basano sempre su l’edizione di Parigi del 1865 e l’espunzione delle danze risulta poco condivisibile anche perché, se analizziamo bene, le danze non erano il solo frutto delle convenzioni dell’epoca ma occorre anche dire che l’opera in quanto tale scaturiva da stilemi dettati dalle convenzioni, come la struttura musicale l’alternanza di recitativi arie cabalette duetti cori ecc.
Il discorso delle danze di Otello è certo diverso. Furono composte, dopo il grande successo della prima assoluta del 1887, per la rappresentazione di questo capolavoro nel 1894 a Parigi, edizione che non si può considerare un vero e proprio rifacimento se non l’inserimento proprio di queste danze che sono state collocate nella seconda scena del terzo atto quando arriva a Cipro la delegazione veneziana. Oltre a possedere eleganti sonorità orientaleggianti, conseguenza anche di una raffinata strumentazione (consideriamo che sono frutto del Verdi maturo post Falstaff). Per accoglierle il musicista, da sempre attento allo sviluppo drammatico dei suoi lavori, approntò una revisione del concertato che conclude l’atto proprio per non compromettere gli equilibri della rappresentazione. Ora è chiaro che Otello viene comunemente eseguito nella versione del 1887 e quindi la presenza delle danze non è necessaria, ma se si vuole rendere omaggio alla versione parigina le danze debbono comunque essere eseguite o, nel caso peggiore come alle volte è capitato, quando si decide di eseguire il concertato appartenente alla versione di Parigi espungere le danze è fatto del tutto singolare quanto incomprensibile.
Il successo della serata è stato enorme grazie alla direzione di Daniele Gatti che ha eseguito con evidente entusiasmo questo concerto, dimostrando di essere specialista verdiano di primo piano, un autore che, ci sembra, possiede a pieno nelle sue corde emotive come dimostrò qualche stagione fa proprio qui a Roma ne Les vêpres siciliennes nella quale, ricordiamo, fu strenuo difensore delle danze contenute in quell’opera, che i responsabili della messa in scena tentarono di espungere. Riteniamo che la scelta di eseguire nel presente concerto musiche per balletto sia il frutto di una più che valida convinzione da parte del direttore del valore indiscutibile di queste composizioni non solo dal punto di vista musicale ma, anche, da quello rappresentativo.
L’indiscutibile successo del concerto (recita del 31 maggio) è da ascriversi certamente alla direzione di Gatti ma anche all’Orchestra di Santa Cecilia ed al Coro di Santa Cecilia diretto da Andrea Secchi, complessi che hanno assecondato con grande impegno l’impronta musicale di Daniele Gatti. Applausi scroscianti e ripetuti alla fine del concerto da un pubblico folto ed entusiasta di quanto ascoltato. Numerose le richieste di bis che gli interpreti tutti hanno soddisfatto con entusiasmo arricchendo così questo straordinario “Gala Verdi” con altri due tesori musicali: la sinfonia de La Forza del Destino e lo scintillante coro ‘Fuoco di gioia’ dall’Otello.
Claudio LISTANTI Roma 5 Giugno 2024