di Annamaria BAVA e Maria Grazia BERNARDINI*
*Si è aperta a Torino la grande mostra Van Dyck. Pittore di Corte che fino al 17 marzo occuperà gli spazi della Galleria Sabauda. La mostra si articola attraverso quattro sezioni tematiche: la prima dedicata al periodo formativo dell’artista nella bottega del grande Rubens, la seconda al periodo italiano, la terza agli anni anversesi alla corte dell’arciduchessa Isabella ed infine la quarta agli anni londinesi, alla corte di Carlo I d’Inghilterra. I saggi a commento dei quattro periodi sono affidati a eminenti specialisti che hanno studiato a lungo la vita e l’opera del maestro di Anversa. La cura della mostra del catalogo sono opera di Annamaria Bova e Maria Grazia Bernardini, che ringraziamo -insieme alla Casa editrice Arthemisia nella persona della dott.sa Iole Siena- pr averci concesso di pubblicare in anteprima il loro saggio di presentazione della esposizione.
Da tempo la Galleria Sabauda aveva in animo di dedicare ad Antoon Van Dyck una grande mostra,
partendo dai vari dipinti presenti nella collezione torinese, per inserirli in un percorso artistico che permettesse al pubblico di comprendere da un punto di vista sia artistico sia storico le motivazioni di una presenza così consistente di opere dl maestro fiammingo a Torino. Da qui si è arrivati a proporre una mostra nuova ed originale su Van Dyck non solo per l’Italia, dove è stata data attenzione soprattutto al periodo italiano della sua carriera artistica, ma anche per l’estero, dove generalmente si sono organizzate esibizioni sull’intera attività di Van Dyck o sulla sua attività di ritrattista.
Partendo proprio dalle opere torinesi, si è pensato di focalizzare l’attenzione sul ruolo che Van Dyck ha ricoperto praticamente per tutta la sua vita: quello di pittor di corte, prima presso Giacomo I, poi presso le “corti” italiane, a Torino, a Firenze, a Genova,; poi ancora nei Paesi Bassi meridionali, posti sotto l’influenza della Spagna e perciò cattolici, governati dall’arciduchessa Isabella Clara Eugenia, infanta di Spagna e figlia primogenita del re Filippo II d’Asburgo; infine in Inghilterra, alla corte prestigiosa di Carlo I Stuart d’Inghilterra. La regina Enrichetta Maria era figlia di Maria de’ Medici e sorella di Luigi XIII di Francia, della regina di Spagna e di Cristina, sposa di Vittorio Amedeo di Savoia. Così la corte di Torino era imparentata con le corti di Spagna, di Francia e d’Inghilterra.
Seguire le orme di Van Dyck attraverso i suoi spostamenti in Belgio, Olanda, Italia, Inghilterra, Francia, soffermarsi sui personaggi da lui ritratti, sovrani, regine, aristocratici, nobildonne e nobiluomini, uomini d’arme, che in quella Europa funestata dalle guerre diventarono personaggi di primo piano, e poi commercianti, artisti, amici e rivolgere uno sguardo sull’Europa del Seicento, sui suoi usi e costumi, sulla politica, sui conflitti religiosi, sulla moda. E’ come assistere all’affermazione dell’assolutismo, dei governi autoritari, constatare la nascita dl pensiero moderno: lontano ormai dai valori umanistici che si erano imposti fino alla fine del Cinquecento, ora, con la nascita dell’età barocca, dell’epoca delle immagini, delle grandi capitali d’Europa, della cultura della propaganda e della retorica, si seminano i concetti e le idee della cultura moderna. Appare lontano anche il clima culturale di pochi anni prima, che aveva trovato espressione nell’arte di Caravaggio e nelle tragedie di Shakespeare, dove l’uomo si scopre fragile, indifeso, piccolo di fronte all’immensità divina e ai misteri della natura.
Seguire le orme di Van Dyck fa comprendere come Roma e il papato, ancora culla del primato della cultura e centro universale del cattolicesimo all’inizio dl secolo, perdano sempre più la centralità e, dopo la pace di Westfalia del 1648, il vero potere si trasferisca nel Nord dell’Europa.
La Fontana dei Fiumi che viene innalzata dal Bernini a metà secolo, che inneggia la primato della Chiesa, viene contraddetta dagli avvenimenti che si succedono a ritmo vorticoso: nel 1643 era salito al trono Luigi XIV, simbolo dell’autocrazia assoluta, che aveva impugnato il potere senza nominare un primo ministro ed esercitava il proprio controllo anche sulla religione; e nel 1649 viene decapitato re Carlo I perché sostenitore della Chiesa anglicana, più vicina alla Chiesa del Presbiterianesimo contro cui si batteva il re inglese.
Seguire le orme di Van Dyck vuol dire anche scoprire il valore diplomatico dell’arte, oggetto della bramosia dei sovrani e regnanti e aristocratici, sempre in gara per procurarsi le collezioni più prestigiose.
Proprio su questo aspetto si sono concentrati ultimamente vari studiosi, come Haskell, Osborne, Colantuono, Auwers, Brown, Howart, Walsh. Nell’Europa delle corti, l’opera d’arte e soprattutto il ritratto rivestivano una funzione importante, un intrinseco valore diplomatico, perciò i notabili dell’epoca ne fecero grande uso.
E infine, ma aspetto non meno importante, l’arte di Van Dyck ci fa scoprire la capacità dell’uomo di arrivare a vette insuperabili per la propria genialità: i ritratti che ci ha lasciato ci ammaliano, ci affascinano, ci sorprendono. Come dovevano trovarsi belli, nobili ed eleganti i vari personaggi che si vedevano riflessi nelle tele del maestro fiammingo e trasformati dal suo pennello.
La scelta delle opere della mostra è ricaduta pertanto sui dipinti realizzati per i sovrani e per i personaggi legati alle corti sotto vari aspetti. La maggior parte delle opere sono dunque ritratti, ma non mancano dipinti di soggetto mitologico, legati ad esempio alla committenza dello Statholder Frederik Hendrik, principe d’Orange, o soggetti religiosi richiesti dalla nobiltà genovese. Non ci si è invece soffermati sui dipinti del primo periodo di Anversa, quando Van Dyck frequentava la bottega di Peter Paul Rubens, né su quelli eseguiti per le chiese della città fiamminga dal 1627 al 1632, anno in cui si trasferisce a Londra presso la corte di Carlo I, di cui diventerà pittore ufficiale.
Non essendo stato possibile ottenere i prestiti delle sole tre opere note dl primo soggiorno londinese di Van Dyck, presso la corte di Giacomo I Stuart, il percorso espositivo, dopo una breve panoramica su alcune opere di Rubens, i cui insegnamenti saranno fondamentali per la formazione del giovane allievo, si inoltra nell’arte studiata da Van Dyck per le diverse corti durante il soggiorno italiano, poi in quello anversese e infine in quello londinese. Si presentano anche due opere di collezione privata attribuite a Van Dyck da illustri studiosi, ma sulle quali val ancora la pena di riflettere, e la mostra di Torino sarà certamente un’occasione unica per valutare appieno la loro qualità e la loro autiografia.
I primi contributi del catalogo, nei saggi di Merlotti e Bernardini, vogliono dunque illustrare il ruolo dl pittore di corte nell’Europa del Seicento, poiché le corti “erano allora (e lo sarebbero state ancora a lungo) lo spazio principale della politica d’antico regime”; invece i contributi successivi si soffermano sul rapporto tra Van Dyck e i diversi committenti, siano essi i cardinali romani, i duchi di Savoia, gli esponenti della ricca e potente aristocrazia genovese o anversese, o i reali e i nobili inglesi, con tutte le loro diverse e complementari esigenze.
Annamaria BAVA – Maria Grazia BERNARDINI Torino novmbre 2018