di Nica FIORI
“Corrispondenze. La tradizione nel contemporaneo” fino all’8 novembre a Villa Giulia
Il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia da un po’ di tempo si sta aprendo al contemporaneo e lo fa con grande rispetto di ciò che contiene nelle due sale espositive del primo piano, le rinascimentali Sala di Venere e Sala dei Sette Colli, in comunicazione quest’ultima con la Sala degli Ori, contenente le preziose creazioni ottocentesche degli orafi Castellani, che si rifanno alle raffinate oreficerie antiche. In questi ambienti deputati alla bellezza sedici opere d’arte contemporanee dialogano anch’esse con la tradizione figurativa etrusca nella mostra “Corrispondenze. La tradizione nel contemporaneo”, a cura di Alessandra Redaelli.
L’evento, realizzato da Arts In Rome, in collaborazione con il Museo ospitante, ci fa conoscere giovani artisti di talento, in parte già affermati anche a livello internazionale, che per la Redaelli sono
“le voci più interessanti di un contemporaneo intessuto di tradizione e di bellezza”. Del resto Arts in Rome è una scuola altamente specializzata, dedicata all’insegnamento del disegno, della pittura e dell’arte digitale, che pone alla base del suo metodo di insegnamento un ritorno allo studio diretto della natura e agli antichi maestri.
La scelta di andare a ricercare proprio le radici etrusche e di collocare queste opere nel museo di Villa Giulia “parte dal presupposto che alla base della nostra arte non stia solo l’ovvio apporto della cultura greca, ma anche, in gran parte, l’alfabeto più schietto degli etruschi”, afferma la curatrice. Sicuramente un linguaggio meno aulico ma possente, quello dei nostri antenati etruschi, che ci parla spesso della quotidianità attraverso i molteplici manufatti ritrovati nelle tombe di Cerveteri, Vulci, Veio, Tarquinia, e che ci fa conoscere anche i miti greci, sia raffigurati dagli stessi greci in vasi d’importazione, sia riproposti da officine etrusche.
Tra i diversi personaggi mitici che hanno colpito la fantasia degli artisti in mostra, troviamo Medusa (olio su tela) di Claudia Giraudo, dove la Gorgone con i capelli trasformati in serpenti non è altro che una bambina collocata in uno spazio atemporale: non è mostruosa come la Gorgone etrusca che vediamo in una vetrina, ma indubbiamente enigmatica con i suoi occhi dello stesso colore verde delle serpi. È una figura che allude forse a un cambiamento, a una trasformazione in atto, al passaggio tra il mondo reale e quello onirico.
Antichi rituali di passaggio (tecnica mista su tavola), di Alessandro Casetti, è un’opera che mostra una donna e una bambina su uno sfondo che richiama le tombe etrusche di Tarquinia, e quindi la morte come punto finale della vita, mentre un altro dipinto in mostra, Verginità (olio su tela) di Giovanni Gasparro, sembra segnare con un filo la linea di demarcazione tra due figure femminili, ovvero tra la protagonista, trattenuta da un rigido collare, e la donna che la sovrasta, che in realtà è la stessa donna. Un filo ben diverso è quello che appare nel dipinto Tria Fata (acrilico e olio su tela) di Jara Marzulli, una rivisitazione contemporanea delle Parche, chiamate un tempo anche Fata perché presiedono al fatum, ovvero al destino.
Orfeo, il mitico cantore spesso rappresentato con la sua lira, circondato dagli animali incantati dalla sua musica, è riproposto in mostra nel dipinto di Anastasya Voskoboinikova nel momento successivo alla sua morte (nel mito viene ucciso dalle Baccanti). In realtà in questo Orpheus (olio su tavola) vediamo solo la sua bellissima testa che, staccata dal corpo, finisce nel fiume Ebro (in Tracia), dove continua prodigiosamente a cantare, divenendo un simbolo dell’immortalità dell’arte.
Un’atmosfera inquietante caratterizza Plutone e Proserpina (olio su rame), di Justin Bradshaw,
dove è raffigurata una coppia (lei in piena luce e lui in penombra) e altri elementi simbolici dell’Ade (un cane e una scala di accesso agli Inferi) e dell’alternanza delle stagioni, ovvero fiori e frutti, tra cui la melagrana, strettamente connessa al mito di Persefone/Proserpina. Il frutto del melograno, simbolo di fecondità e di energia vitale, lo ritroviamo in alcuni manufatti etruschi esposti accanto a un’urna cineraria.
La divinazione etrusca è ripensata da Bianca Maria Scrugli nel suo Haruspex (tecnica mista su carta applicata su tavola), dove si intravede il fegato di Piacenza, uno strumento usato per trarre auspici, del quale vediamo una copia in una vetrina, accanto a due aruspici bronzei dalla figura estremamente allungata.
Il Sarcofago degli Sposi, il capolavoro più noto del Museo etrusco, ha ispirato sia Riccardo Mannelli sia Massimo Lagrotteria, il primo con Lovers (tecnica mista su cartone su tela), che rappresenta una coppia non più giovanissima, che si mette letteralmente a nudo, senza alcun pudore, perché la Verità è sempre nuda, il secondo con un dittico (olio su rame) intitolato Il sepolcro degli Sposi: un’evidente situazione di incomunicabilità.
Giampiero Abate dà importanza alla perfezione del corpo umano, raffigurando in Congiunzione temporale (acrilico su pvc) una donna iper-reale, che richiama nella posa i contorsionisti riprodotti più volte dagli etruschi, ma che ci colpisce soprattutto per la presenza del dodecaedro, uno dei solidi platonici connessi con gli aspetti cosmologici e metafisici dell’Universo, solidi ai quali Abate ha dedicato alcuni mesi fa la mostra “Ultrareale”.
La Chimera, il mostruoso ibrido leone-capra-drago, raffigurato più volte in ambito etrusco, compare nell’olio su tela di Ciro Palumbo “Modello arcaico. La chimera”, in un’ambientazione metafisica che ne stempera la crudeltà.
Il dipinto Melodica meccanica (tecnica mista su tela) di Alessandra Carloni sembra un omaggio a un vaso cinerario etrusco e alle pitture delle tombe di Tarquinia, perché l’autrice ha inserito un flautista d’ispirazione tarquiniense che suona seduto su un’ansa del vaso, mentre la tavola dipinta ad olio Ceramiche amiche di Paolo Quaresima raffigura una credenza piena di vasellame ed è contrapposta a una vetrina di contenitori etruschi di uso quotidiano.
Gli altri artisti in mostra sono Davide Puma, Alessandra Rovelli e Giorgio Tentolini, autore quest’ultimo di un’opera neo-optical fatta con reti metalliche: un volto allungato, ispirato all’Ombra della sera, la celebre statuetta in bronzo del Museo Guarnacci di Volterra.
La mostra ci appare come un esempio riuscito di valorizzazione dell’arte figurativa, stando nel presente ma guardando al passato, perché la tradizione è qualcosa che lega tutto, che dilata l’esistenza oltre l’effimero. Senza questo immenso carico culturale, senza l’intelligenza e le opere di chi ci ha preceduto, noi saremmo persone spiritualmente e culturalmente meno valide. Quindi ben venga la rivalutazione di un’arte, che solo qualche anno fa sembrava ad alcuni fuori moda. Un museo come quello di Villa Giulia è perfetto per accogliere artisti che non amano il chiasso assordante di un successo momentaneo, ma che mettono il raccoglimento silenzioso e lo studio alla base della loro formazione.
Nica FIORI Roma 31 ottobre 2019
“Corrispondenze. La tradizione nel contemporaneo”
Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, Piazzale di Villa Giulia, 9 – Roma
26 ottobre – 8 novembre 2019
Orario: dal martedì alla domenica dalle 9.00 alle 20.00 (ultimo ingresso 19.00, chiusura sale 19.30)
Per il finissage è previsto l’incontro con l’artista Alessandra Carloni che guiderà il pubblico tra le opere per raccontarle
Biglietto d’ingresso al museo: € 10, ridotto € 2, gratuito per gli aventi diritto