di Claudio LISTANTI
Il Teatro Comunale di Bologna ha recentemente presentato una nuova edizione di Luisa Miller di Giuseppe Verdi che ha avuto un buon successo di pubblico dovuto non solo all’allestimento, il cui progetto è stato affidato al celebre artista della luce ravennate Mario Nanni (molto più conosciuto artisticamente come marionanni), ma anche per una pregiatissima parte musicale nella quale spiccava la direzione di Daniel Oren e la partecipazione del grande tenore statunitense Gregory Kunde nella difficile parte di Rodolfo con al fianco una compagnia di canto di prim’ordine formata dal soprano greco Myrtò Papatanasiu nel ruolo del titolo, dal baritono Franco Vassallo come Miller, dal basso-baritono Marko Mimica nei panni del Conte di Walter dal mezzosoprano Martina Belli in quelli di Federica e dal basso Gabriele Sagona nel parte di Wurm.
Questa rappresentazione del capolavoro verdiano giunge finalmente nel palcoscenico del massimo teatro lirico bolognese dopo lunghe vicissitudini dovute al diffondersi del covid che ne hanno provocato annullamenti e rinvii a partire dal 2020, anno della programmazione originaria, giungendo così finalmente in porto.
Prima di riferire di questo apprezzato spettacolo, per comprenderne con più forza il significato, è giusto partire da alcuni cenni storici-musicologici che ci aiutano a collocare Luisa Miller nell’ambito della produzione verdiana.
Luisa Miller si può definire, in un certo senso, opera di transizione, giunta in un momento ‘delicato’ della produzione verdiana quando il compositore sentiva giunto il momento di un rinnovamento stilistico abbinato alla ricerca di nuove strade espressive.
Nel catalogo verdiano Luisa Miller giunge nel 1849 quando il giovane Verdi era ormai giunto alla piena maturità della sua giovinezza. Ascoltando la Miller si nota un felice bilanciamento con pagine di chiara derivazione giovanile ad altre che guardano al futuro prossimo, una sorta di ‘ponte’ tra i due stili, che si materializza come un passaggio tra La Battaglia di Legnano (gennaio 1849) culmine del Verdi risorgimentale e lo Stiffelio (1850) chiaro esempio di opera completamente nuova sia per l’attualità del soggetto sia per un nuovo modo di canto che ci lascia intravedere quel tipo di opera basata sul ‘declamato melodico’ che sarà la cifra stilistica dell’ultimo, grande, Verdi. Si instaura così quel teatro di ispirazione ‘borghese’ che poi qualche anno dopo, nel 1853, sfocerà nel grande capolavoro de La Traviata.
La partitura di Luisa Miller appare piuttosto raffinata, elemento che si rileva già dall’elegante orchestrazione della sinfonia, brano che spesso compare nei programmi di numerosi concerti sinfonici. Limitato è il numero delle arie per ogni singolo personaggio elemento che ha fa pendere l’ago della bilancia più verso il declamato per illustrare con più efficacia momenti e situazioni sottolineati dallo svolgimento dell’azione. Il tutto in funzione di una condensazione alla quale giovano le numerose scene d’insieme alcune delle quali concluse da momenti di tipo ‘cabalettistico’ che ne potenziano la sintesi. Non ci sono personaggi storici, ma solamente affetti personali racchiusi tutti in ambito familiare i cui contrasti sono dovuti all’estrazione sociale di ognuno dei due personaggi principali, borghese quello di Luisa e nobile quello di Rodolfo. Un’opera senza dubbio omogenea nell’insieme che pone all’attenzione dello spettatore una trama del tutto scorrevole e coinvolgente.
Verdi scrisse Luisa Miller per il San Carlo di Napoli in un momento nel quale, per vari motivi, tra il teatro e il librettista Salvatore Cammarano, i rapporti si erano deteriorati. Per ricucirli Verdi decise di aiutare il Cammarano e produrre una nuova opera per la quale puntarono dapprima su un soggetto di carattere patriottico, L’Assedio di Firenze tratto dal coevo e omonimo romanzo di Francesco Domenico Guerrazzi. Un progetto ben presto abbandonato in quanto il testo presentava sottotraccia dei risvolti pericolosamente ‘rivoluzionari’ che potavano creare possibili difficoltà con la censura. La loro attenzione deviò su un dramma di Friedrich Schiller, Kabale und Liebe (Intrigo e amore), scritto nel 1783 ed appartenente a quel filone del romanticismo tedesco altrimenti noto come Strurm und Drang. Il librettista ne semplificò l’azione rendendolo del tutto adatto per il teatro d’opera, al quale fu dato il titolo della protagonista femminile, Luisa Miller appunto. L’opera, che come accennato, non contiene riferimenti a fatti e personaggi storici un elemento determinante che la tenne lontano dalla censura.
Luisa Miller è suddivisa in tre atti ognuno dei quali, come da prassi consolidata all’epoca, caratterizzato da un titolo. In estrema sintesi nel primo atto (L’amore) è messo in evidenza l’amore tra il giovane Rodolfo figlio del Conte di Walter e Luisa, figlia del vecchio soldato Miller. La loro unione è ostacolata dal padre di Rodolfo che vorrebbe dargli in sposa la duchessa Federica. Rodolfo non vuole cedere al padre e si oppone minacciandolo di rivelare che per ottenere la contea uccise suo cugino.
Nel secondo atto (L’intrigo) Miller è imprigionato. Il castellano Wurm, invaghito di Luisa, le promette di liberare il padre a patto che lei scriva una lettera a Rodolfo per confessare (falsamente) di averlo raggirato per ambizione personale. Luisa accetta; Wurm fa pervenire la lettera a Rodolfo che, disperato, si rassegna al volere del padre. Nel terzo atto (Il veleno) Luisa, a seguito di tutto ciò, decide di uccidersi ma è dissuasa dal padre; insieme cercano di cambiar vita altrove. I due stanno per partire. Rodolfo avvelena Luisa e sé stesso, ma scopre che i due sono vittime di un raggiro. Oramai è tardi; Luisa è agonizzante e poco dopo muore. Anche Rodolfo è prossimo alla morte ma prima riesce a pugnalare Wurm per poi morire accanto alla sua amata Luisa.
Luisa Miller fu rappresentata per la prima volta al San Carlo di Napoli l’8 dicembre nel 1849, ma dopo un discreto successo iniziale è purtroppo entrata in quell’ingiusto oblio che a partire dalla seconda metà dell’800 ha coinvolto altre opere del ‘primo’ Verdi. Una sorta di ostracismo dovuto agli enormi successi di quei grandi capolavori che Verdi produsse a partire dalla trilogia (Rigoletto, Trovatore, Traviata) fino alla vecchiaia (Otello, Falstaff). Nel secondo quarto del ‘900 ci fu, però, la Verdi Renaissance, quel movimento culturale nato nei paesi tedeschi grazie allo scrittore Franz Werfel e al direttore d’orchestra Fritz Busch che rivalutarono questo tipo di repertorio aprendo la strada ad una metodologia critica nuova che, a partire dal secondo dopoguerra, e per tutta la seconda metà del ‘900, ha dato degli eccellenti risultati consentendo alle opere giovanili di Verdi di rientrare a pieno diritto nel grande repertorio europeo e mondiale.
Per quanto riguarda l’edizione di Luisa Miller ascoltata a Bologna, (recita del 5 giugno), c’è da dire che la parte prettamente visiva è stata affidata all’artista Mario Nanni, molto più conosciuto semplicemente come marionanni, definito nel mondo dell’arte di oggi come ‘Artista delle luci’ che ha firmato un allestimento basato sulla ‘semplicità’ elemento che ha donato a questa iniziativa teatrale un innegabile fascino ed un curioso interesse per la realizzazione. A Nanni va dato il merito di aver concepito una messa in scena ben lontana dalle stranezze registiche che infestano il teatro d’opera di oggi, frutto più della mania di protagonismo che di una vera conoscenza dell’opera rappresentata, offrendoci una messa in scena essenziale e, per certi versi incisiva.
L’intenzione di base dell’artista, come lui stesso ha dichiarato nell’intervista rilasciata a Andrea Maioli pubblicata nel programma di sala, è stata quella di creare, tramite la cura di regia, scene, costumi e luci, un’opera totale dove tutti gli elementi costitutivi si fondono in un organismo espressivo ed omogeneo. L’azione si svolge in una ambiente senza tempo, dai contorni comunque attuali. Sul palcoscenico pochi elementi, solo alcuni oggetti che richiamavano il momento dell’azione in svolgimento. L’impianto scenico era basato su immagini di carattere bidimensionale per un contesto che riusciva certo a dare compattezza all’insieme, una scelta che, però, trascurava alcuni elementi che a nostro giudizio sono importanti come il contrasto che esiste nella prima scena del primo atto, dove si svolge la festa per il matrimonio di Luisa e, sullo sfondo, come descritto nella didascalia del libretto, si scorge in lontananza la dimora del Conte Walter quasi a sottolineare la diversità, e la lontananza, degli strati sociali ai quali appartengono i protagonisti, Rodolfo e Luisa, elemento che può essere considerato come basilare per l’affermazione di quei caratteri borghesi che connotano questo capolavoro. I movimenti scenici erano scarni e, frequentemente, provocavano una inevitabile staticità di fondo. Sempre nella già citata intervista, Nanni ha dichiarato di privilegiare, nella parte musicale, il canto più che il recitativo, e questa visione può aver contribuito alla staticità in quanto nelle arie si descrive più lo stato d’animo dei personaggi che l’azione vera e propria.
Una scelta che contrasta con la visione verdiana dell’opera lirica nella quale il musicista è stato protagonista di quella speciale riforma stilistica che giunge al declamato melodico dei capolavori della vecchiaia e proprio nel periodo di Luisa Miller già se ne percepiscono i frutti di quel mutato rapporto tra recitativo e azione scenica.
Per quanto riguarda la parte musicale è stata scelta una compagnia di canto di notevole spessore vocale ed interpretativo. Il ruolo di Luisa Miller è stato affidato al soprano greco Myrtò Papatanasiu dotata di un pregevole impianto vocale e, in questo caso, ha messo disposizione un grande temperamento ed una presenza scenica notevoli per restituirci un personaggio del tutto credibile anche se mancante di un po’ di spessore vocale che per Verdi risulta essere (quasi sempre) necessario.
La parte di Rodolfo è stata affidata al tenore statunitense Gregory Kunde cha ancora una volta ha dimostrato di essere un vero e proprio ‘fenomeno’ vocale se guardiamo alla sua anzianità anagrafica e al vasto repertorio che ha interpretato nella sua lunga carriera. Il suo Rodolfo non ha evidenziato alcuna stanchezza vocale, anzi, la sua voce è riuscita a comunicare al pubblico la freschezza giovanile propria del personaggio. Una interpretazione favorita da una tecnica di canto sopraffina che consente a Kunde di frequentare il registro basso e quello acuto con pari facilità di espressione e di emissione. Per lui ovazioni a scena aperta dopo l’aria del terzo atto ‘Quando le sere al placido’ e nella scena finale alla quale ha partecipato con uguale intensità drammatica la Luisa della Papatanasiu.
Il baritono Franco Vassallo, anch’esso dotato di un poderoso impianto vocale, ci ha dato un Miller caratterizzato da frequenti caratteri eroici ma riuscendo a mettere bene in evidenza quelli specifici del personaggio anche se a volte ha forzato un po’ troppo nell’emissione vocale. Una interpretazione che è piaciuta molto al pubblico visti gli scroscianti appalusi che hanno sottolineato la sua prova. Da non dimenticare il personaggio di Federica, breve ma importante per l’azione, al quale il mezzosoprano Martina Belli ha saputo dare i giusti caratteri con la sua voce scura abbinata ad una notevole presenza scenica. Stesso discorso per il basso Gabriele Sagona che ci ha dato un Wurm del tutto credibile soprattutto mettendone in evidenza quel ruolo di ‘prototipo’ del futuro Jago di Otello che negli anni la critica ha affidato al personaggio.
Per quanto riguarda gli altri personaggi il basso Marko Mimica è stato un efficace Conte di Walter così come il mezzosoprano Veta Pilipenko Laura e il tenore Haruo Kawakami proveniente dalla Scuola dell’Opera del Comunale di Bologna.
Da sottolineare anche la prova del Coro del Teatro Comunale di Bologna diretto da Gea Garatti Ansini.
Per concludere il discorso sulla parte musicale determinante è stato l’apporto di Daniel Oren direttore di grande esperienza nel campo delle esecuzioni operistiche tra le quali, nello specifico, ha fornito grandi prove nel vasto repertorio verdiano. Anche in questo caso la sua direzione è risultata ideale sia per la preparazione della compagnia di canto e per l’interpretazione dei singoli personaggi come pure per le scene d’insieme riuscendo a calibrare la parte orchestrale e vocale in maniera del tutto soddisfacente. La famosa cantabilità verdiana è emersa sempre con forza grazie anche all’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna che, con la guida di Oren, è risultato elemento determinate. Di rilievo anche la scelta dei tempi e le dinamiche dei suoni che hanno reso godibile ed omogenea tutta la recita. Anche per Oren notevole successo personale molto evidentemente gradito al pubblico bolognese che ha dedicato al maestro una straordinaria ovazione al termine della serata assieme all’innegabile approvazione per tutti gli interpreti della recita.
Claudio LISTANTI Bologna 12 Giugno 2022