Al Teatro Comunale di Modena successo per “I due Foscari” di Verdi. Un godibile allestimento tradizionale ed esecuzione musicale di pregio.

di Claudio LISTANTI

Il Teatro Comunale Pavarotti Freni di Modena ha recentemente rappresentato I due Foscari di Giuseppe Verdi in una apprezzabile edizione affidata al direttore d’orchestra Matteo Beltrami ed al regista Joseph Franconi Lee riproponendo un allestimento di successo prodotto da ABAO di Bilbao e Teatro Verdi di Trieste coprodotto con il teatro modenese e la Fondazione Teatri di Piacenza. Vivo successo di pubblico al termine della recita grazie ad una più che valida compagnia di canto che, nelle tre parti principali, prevedeva la presenza della ‘star’ Luca Salsi nella parte di Francesco Foscari affiancato dal soprano Marily Santoro splendida Lucrezia Contarini e dal tenore Luciano Ganci ottimo Jacopo Foscari.

Prima di riferire di questa più che convincente esecuzione del capolavoro verdiano è opportuno porre l’accento sulla validità della scelta di rappresentare questa opera con particolare riferimento agli indubbi, intrinseci, valori teatrali e storico-musicali.

Francesco Hayez, L’ultimo abboccamento di Giacomo Foscari figlio del doge Giuseppe, 1838 ca, Milano, Fondazione Cariplo, Gallerie di Piazza Scala

L’opera I due Foscari, come molti potrebbero confermare, non gode di particolare stima da parte del grande pubblico soprattutto perché giudicata, nel complesso, un po’ monocorde e, a torto, considerata priva di quello slancio romantico per il quale Verdi è conosciuto in tutto il mondo. Queste considerazioni si sono presentate nel corso del tempo in quanto, dopo la prima rappresentazione, l’opera ebbe un certo seguito ed una cospicua quantità di esecuzioni. Con il passare degli anni e con la produzione verdiana che ha dato al teatro d’opera una serie di importanti capolavori e  con l’espandersi della scuola verista, I Foscari hanno subito una sorta di oblio, parzialmente superato a partire dalla seconda metà dello scorso secolo, conseguenza di quella Verdi-Renaissance che ha contribuito ad aumentare le conoscenze del catalogo verdiano.

Nel giudicare I due Foscari c’è da considerare prima di tutto il posto che occupa nell’ambito della produzione di Verdi. La prima rappresentazione avvenuta in data 3 novembre 1844 viene pochi mesi dopo il grande e travolgente successo veneziano di Ernani, datato 9 marzo 1844, con il quale Verdi conferma il suo genio dopo gli strepitosi successi di Nabucco (9 marzo 1842) e I Lombardi alla prima crociata (11 febbraio 1843). Con Ernani, che giunge al termine di questa sequenza di opere, Verdi chiude alla grande la sua ‘prima maniera’ che scaturisce dall’eredità artistica lasciata da Rossini che concluse l’attività nel 1829 con il Guillaume Tell, da Bellini scomparso prematuramente nel 1835 e da Donizetti che produsse i più grandi capolavori fino alla fine degli anni 30 dell’800. Tale eredità influenzò la poetica del Verdi delle origini che, però, proprio con Ernani può considerarsi conclusa in quanto giunta a maturazione.

Verdi era, contrariamente a quanto immagina buona parte del pubblico degli appassionati, un innovatore sempre alla ricerca di nuove vie che superassero l’esperienza ereditata dal passato per andare alla ricerca di un diverso modo di intendere l’opera, concentrando tutte le forze nel raggiungimento della piena teatralità attraverso una fusione tra testo, musica e recitazione, fino ad una sintesi tanto perfetta quanto ideale tra questi elementi, utile per rappresentare epoche e situazioni drammatiche e formare così un’opera lirica del tutto autonoma che evidenzi ambienti, azione e personaggi. Ovviamente questo rinnovamento avvenne per tappe e i Foscari possono essere considerati la prima. I risultati di questa, non tanto velata, rivoluzione si apprezzeranno a pieno nei capolavori della maturità che giungono in palcoscenico dopo un percorso di quasi cinquanta anni concluso da Otello e Falstaff.

Fig. 2 M. Santoro (Lucrezia), L. Salsi (Doge) e L. Ganci (Jacopo) ne I Due Foscari © Rolando Paolo Guerzoni.

Tornando a I due Foscari l’opera giunse al pubblico dopo otto mesi dal trionfo di Ernani e la rottura con il passato è già evidente fin dalla scelta del soggetto ispirato all’omonima opera teatrale in versi di Lord Byron scritta nel 1821. Ad approntare il libretto fu chiamato Francesco Maria Piave proveniente dalla felice esperienza di Ernani che gli permise di rafforzare la sua collaborazione con Verdi divenendo letterato ideale per porre in essere la nuova idea di teatro per musica propugnata dal musicista. Tale affinità, infatti, è dimostrata dal fatto che Piave partecipò alla stesura dei libretti per complessive nove opere tra le quali, molte, fondamentali per esplicitare il tracciato percorso per il rinnovo della poetica musicale verdiana, come Stiffelio, Rigoletto, Traviata, Forza del Destino e Macbeth.

Verdi già da tempo aveva in mente di musicare questo dramma immaginandolo adatto per essere rappresentato a Venezia visti l’ambientazione e i contenuti della trama. Ma a ‘800 inoltrato nella città lagunare erano ancora in auge gli eredi delle famiglie patrizie citate nell’opera, come i Loredano e i Foscari che con il loro potere avrebbero potuto ostacolare la rappresentazione.

Tale condizione lo costrinse a cambiare sede per la prima assoluta che fu individuata a Roma presso il Teatro Argentina da poco sotto la responsabilità dell’impresario Antonio Lanari, figlio del celebre Alessandro e continuatore dell’attività del padre, che volle dare un’impronta importante per il teatro proponendo l’opera di uno dei musicisti emergenti del momento.

La stesura del libretto fu seguita in prima persona da Verdi che indicò a Piave i punti guida per il suo completamento. Prima di tutto estrapolare dal dramma di Byron le vicende dei tre personaggi principali rendendo di secondo piano gli altri. Questa decisione comportò il restringimento dell’azione alla ‘sfera’ del privato dei tre personaggi tutti legati da vincoli di parentela che ne costituiscono il nucleo drammatico: Francesco Foscari il Doge, suo figlio Jacopo con la moglie (e nuora) Lucrezia Contarini. La vicenda vede il Doge Francesco Foscari costretto, insieme ai Dieci del Consiglio, a sottoscrivere la condanna di esilio del proprio figlio Jacopo, per una colpa non commessa. Evidente è lo strazio del Doge all’idea di separarsi per sempre dal giovane, stesso sentimento provato dalla moglie Lucrezia. Si arriverà al finale tragico: Jacopo sarà scagionato dall’accusa di aver ucciso Ermolao Donato capo dei Dieci che lo aveva condannato ma è già morto di dispiacere per la condanna e il Doge morrà anch’esso di crepacuore per l’amarezza di avere perso il figlio del quale apprende la morte notizia ferale alla quale si aggiunge quella di essere stato sostituito alla guida di Venezia da Malipiero.

Fig. 3 Marily Santoro (Lucrezia) e Luca Salsi (Doge) ne I Due Foscari © Rolando Paolo Guerzoni.

Come conseguenza di questa riduzione Piave fu costretto a scrivere una introduzione piuttosto sostanziosa al libretto per spiegare tutti i contorni, soprattutto quelli storico-politici, all’interno dei quali matura la tragedia per rendere più intelligibile quanto lo spettatore vedrà in palcoscenico. È questo l’aspetto che ha portato a considerare deficitaria quest’opera accusata di ‘monotonia’ e di scarsa fantasia, soprattutto, perché distante dai grandi affreschi a sfondo storico-politico che hanno caratterizzato l’arte del musicista soprattutto nella piena maturità.

A collocarla con maggior precisione nell’ambito della produzione verdiana hanno contribuito diversi critici e studiosi del melodramma e dell’arte verdiana, specialisti come Fedele D’amico, Gabriele Baldini e Francis Toye, che giudicarono l’opera pienamente inserita nella poetica e nell’iter creativo di Giuseppe Verdi considerandola tappa importante della evoluzione del musicista e del melodramma. Infatti, se consideriamo che Verdi all’epoca dei Foscari era trentunenne e, quindi, proprio per l’età ancora in via di formazione, appare già con molta evidenza la sua attenzione e il suo interesse verso il personaggio, il suo animo ed i suoi sentimenti, per la creazione di un dramma frutto di una azione sintetica e di una parte musicale che risulti simbiotica con il testo per raggiungere una efficace teatralità. Se analizziamo bene, la figura del Doge Francesco Foscari non è altro che il prototipo di grandi personaggi futuri come Simon Boccanegra e Filippo II del Don Carlos, personaggi mitici nell’ambito della drammaturgia verdiana la cui intensità drammatica trova come modello di base il Doge Foscari. Parimenti il personaggio di Lucrezia Contarini erede dell’Abigaille del Nabucco si riverbera poi in altre eroine femminili di grande fascino vocale come le successive Giovanna d’Arco (1845), Odabella dell’Attila (1846) e Lady Macbeth (1847), quest’ultimo personaggio frutto certo degli ardori giovani di Verdi ma che ha trovato perpetuazione nella importante revisione del Macbeth di 18 anni dopo (1865).

Fig. 4 Marily Santoro (Lucrezia) e Luciano Ganci (Jacopo) ne I Due Foscari © Rolando Paolo Guerzoni.

Anche la parte musicale de I due Foscari è di notevole interesse. Vista la specificità dell’azione rappresentata la musica ne sottolinea il dramma interiore di ognuno dei tre personaggi principali. Anche questo aspetto rafforzava quella accusa di monotonia poco avanti citata, ma a nostro giudizio è del tutto funzionale alla scena e rende pienamente godibile tutto il suo sviluppo. Ad iniziare dal Preludio felicemente impostato per introdurre il dramma al quale lo spettatore assisterà che vuole essere un richiamo alla disperazione di Jacopo verso la sua spiacevole situazione.

Inoltre è caratterizzato da una orchestrazione più matura indice di una padronanza compositiva più completa che si propone anche nel resto dell’opera. Altro elemento significativo è l’uso del recitativo come prodromo di quello che sarà il declamato melodico della piena maturità che si concretizza qui con dialoghi serrati che ben delineano l’azione e i caratteri dei personaggi. Altro elemento da non sottovalutare è il parco uso delle cabalette, un retaggio del passato, sebbene sempre utilizzate con destrezza da Verdi ma che ci confermano il carattere ‘sperimentale’ dell’opera. Molta cura Verdi la dedica la Doge Foscari con la meravigliosa aria del primo atto ‘O vecchio cor, che batti’ che disegna la statura del personaggio e che non può non far pensare a ‘Je dormirai dans mon manteau royal’ di Philippe II nel Don Carlos di 23 anni dopo (1867) che prelude ad un finale d’atto affidato al Doge e a Lucrezia ‘Tu pur lo sai che giudice’ musicalmente uno dei punti chiave dell’opera.

Fig. 5 M. Santoro (Lucrezia), L. Salsi (Doge) e L. Ganci (Jacopo) nel finale secondo de I Due Foscari © Rolando Paolo Guerzoni.

Nel secondo atto molto ben equilibrata è la scena del carcere dove geme Jacopo introdotta da un recitativo nel quale Toye vede un’assonanza con le parole di Florestano del Fidelio seguito dall’aria ‘Non maledirmi o prode’ dettata dalle visioni indotte dalla condizione carcerarie del personaggio. La scena poi prosegue con fermezza ed efficacia con l’entrata di Lucrezia che si tramuta in duetto ‘No, non morrai’ entra poi il Doge la cui presenza nobilita i momenti scenici per proporre uno splendido terzetto ‘Nel tuo paterno amplesso’ nel quale trionfano gli affetti dei tre personaggi legati tra loro da vincoli familiari con la scena che si conclude con l’entrata di Loredano e il successivo quartetto ‘Ah! sì, il tempo che mai non s’arresta’ che presenta però un certo calo di tensione dovuto proprio al personaggio di Loredano, che dovrebbe essere l’elemento  ‘politico’ della trama ma che nei Foscari è appena abbozzato vista la decisione di Verdi di porre i riflettori sugli altri tre personaggi.

L’atto si conclude con la scena del Consiglio dei Dieci che Verdi dipinge con la dovuta incisività e solennità dove Jacopo tenta l’ultima implorazione di grazia che si conclude, verdianamente, con un bel sestetto ‘Queste innocenti lacrime’ che ci porta al tutti della Stretta del finale ‘Parti, t’è forza cedere’. L’atto terzo propone lo scioglimento del dramma che a Verdi riesce particolarmente incisivo grazie ad una delle più belle arie dell’opera affidate al Doge, ‘Questa è dunque l’iniqua mercede’ per andare poi veloci verso il finale caratterizzato del suono delle campane che annuncia l’elezione del nuovo Doge e la definitiva caduta di Francesco Foscari che morrà dal dolore di aver perso il figlio e il potere.

Altra particolarità di questa partitura è che Verdi utilizza dei temi specifici per caratterizzare i personaggi, motivi conduttori, certamente non leitmotiv di stampo wagneriano che entrano nel tessuto connettivo della partitura, ma richiami musicali che riescono a dare spessore alla percezione del dramma e del suo sviluppo.

Fig. 6 I Due Foscari. Terzo atto-scena d’insieme © Rolando Paolo Guerzoni.

L’esecuzione ascoltata al Teatro Comunale di Modena

Altra particolarità di questa rappresentazione de I due Foscari è quella di aver scelto un allestimento ‘storico’ risalente al 2008, costruito dal regista Joseph Franconi Lee per l’Abao-Olbe di Bilbao rappresentato successivamente anche al Festival Verdi di Parma e presso lo stesso Teatro Comunale di Modena. È un allestimento di stampo tradizionale del tutto scevro da assurdità registiche alle quali siamo pressocché continuamente costretti oggi, che consente allo spettatore di rendersi conto del dramma, della sua epoca e della sua ambientazione, grazie a scene semplici ed efficaci, costumi appropriati e ad una recitazione ben curata per sottolineare l’azione. Una parte visiva arricchita dalle scene e costumi di William Orlandi a proposito del quale vogliamo mettere in evidenza che le due recite dei Foscari previste a Modena sono state a lui dedicate per ricordare la sua opera dopo la recente scomparsa. A completare lo spettacolo c’erano le appropriate luci di Valerio Alfieri e le coreografie di Raffaella Renzi inserite nella prima scena del terzo atto.

Fig. 7 Luca Salsi (Doge) protagonista de I Due Foscari © Rolando Paolo Guerzoni.

Per quanto riguarda la compagnia di canto c’è da dire innanzitutto che è risultata del tutto valida sotto ogni aspetto. Nel ruolo del Doge Francesco Foscari uno scintillante Luca Salsi, con molta evidenza padrone della parte e particolarmente dotato per la linea vocale che Verdi affida a questo tipo di voce che necessita di cantabilità, sfumature, dizione e presenza scenica che il baritono esibisce con sicurezza con un canto indiscutibilmente apprezzabile riuscendo a fornire una interpretazione credibile ed intensa che ha conquistato tutto il pubblico. Per lui un successo personale di grande spessore.

Lucrezia Contarini era il soprano Marily Santoro, accorsa a Modena pochi giorni avanti alla prima per sostituire Marigona Qerkezi impossibilitata a partecipare alla recita, mostrando ulteriormente di essere cantante di classe. Ancora piuttosto giovane, possiede una voce del tutto adatta al repertorio verdiano perché robusta e di grande spessore mai a disagio con i diversi passaggi di registro che Verdi propone spesso nelle linee vocali delle sue protagoniste femminili riuscendo così a frequentare con facilità il registro acuto e quello più orientato verso il grave. Ha fornito una interpretazione autorevole grazie ad emissioni sicure che le hanno consentito di darci una Lucrezia Contarini intensa come dimostrato nelle due arie ‘Tu al cui sguardo onnipossente’ del primo atto e nella dolente ‘Più non vive!… l’innocente’ del terzo. Un modo di interpretare Verdi che avevamo già apprezzato nello scorso settembre 2024 allo Sperimentale di Spoleto nel Macbeth. Ci sembra che la Santoro possegga oggi le doti fondamentali per un brillante prosieguo della carriera e, con una saggia e assennata gestione del repertorio affrontato, si può ipotizzare per questa cantante un luminoso futuro. Anche per lei vistoso successo personale.

Fig. 8 Il soprano Marily Santoro nel ruolo di Lucrezia © Rolando Paolo Guerzoni.

Lo sfortunato Jacopo Foscari era il tenore Luciano Ganci anch’egli cantante di ottima resa per i ruoli verdiani del quale, spesso, abbiamo apprezzato le doti. In possesso di una voce di considerevole spessore riesce anche ad esibire quello ‘squillo’ richiesto per la parte tenorili, in special modo quelli verdiani. Anche qui per Foscari figlio ha fornito una interpretazione brillante e del tutto soddisfacente che il pubblico ha sottolineato con lunghi appalusi al termine della recita.

Nelle altre parti bravo è stato Antonio Di Matteo come Jacopo Loredano e, al suo fianco, tutto il resto della compagnia: Marcello Nardis Barbarigo, Ilaria Alida Quilico Pisana, Manuel Pierattelli Fante del Consiglio de’ Dieci e Eugenio Maria Degiacomi Servo del Doge.

Molto apprezzata la prova del Coro del Teatro Municipale di Piacenza diretto da Corrado Casati.

Fig. 9 Marily Santoro (Lucrezia) e Luca Salsi (Doge) nel finale de I Due Foscari © Rolando Paolo Guerzoni.

La direzione dello spettacolo è stata affidata a Matteo Beltrami direttore di larga esperienza nel campo dell’opera lirica le cui interpretazioni sono apprezzate a livello internazionale. Con la collaborazione dell’Orchestra dell’Emilia-Romagna Arturo Toscanini ha diretto con intensità tutto lo spettacolo molto attento alle caratteristiche di questa partitura che mette in risalto specificatamente i sentimenti dei personaggi rappresentati. Molto curate le scene di insieme e soprattutto la cantabilità che in Verdi è elemento indispensabile. Anche per lui buon successo personale.

La recita alla quale abbiamo (21 febbraio) ha avuto la partecipazione di un folto pubblico che ha affollato il teatro al limite della capienza certamente attratto dalla bellezza di quest’opera giovanile di Verdi le cui esecuzioni non sono purtroppo frequenti.

Claudio LISTANTI  Modena  2 Marzo 2025