di Claudio LISTANTI
Il Teatro dell’Opera di Roma ha concluso la Stagione Lirica 2021-2022 con una produzione di Alceste di Christoph Willibald Gluck affidata alla direzione d’orchestra di Gianluca Capuano ed alla regia di Sidi Larbi Cherkaoui assieme ad una valida compagnia di canto con un allestimento della Bayerische Staatsoper di Monaco ottenendo un buon successo di pubblico.
Alceste mancava dal Teatro dell’Opera di Roma dal lontano 1967 per cui la scelta dei responsabili della programmazione dell’ente lirico romano è stata senza dubbio di alto profilo in quanto ha permesso al pubblico di conoscere ed approfondire uno dei più importanti capolavori, non solo di Gluck, ma di tutta la storia del teatro per musica.
L’iter compositivo di Alceste è piuttosto articolato. Scritta nel 1767 su un testo in lingua italiana di Ranieri de’ Calzabigi, ispirato alla tragedia greca Alcesti di Euripide, fu rappresentata il 26 dicembre del 1767 a Vienna presso il Burgtheater. La particolarità di questo avvenimento è che la partitura contiene la celebre prefazione molto probabilmente scritta dallo stesso Calzabigi anche se firmata da Gluck, che mette in evidenza i contenuti di quella che nella storia della musica è conosciuta come ‘Riforma di Gluck’ ed è considerata come una sorta di ‘manifesto’ che ne mette in risalto i punti programmatici.
Questa prefazione, rivolta all’altezza reale Pietro Leopoldo d’Asburgo, Granduca di Toscana, futuro imperatore Leopoldo II al quale l’opera è dedicata per ottenere, anche, quella che noi oggi chiameremmo una ‘sponsorizzazione’ evidenziandone i punti cardine:
“Quando presi a far la Musica dell’Alceste mi proposi di spogliarla affatto di tutti quegli abusi, che introdotti o dalla mal intesa vanità dei Cantanti, o dalla troppa compiacenza de’ Maestri, da tanto tempo sfigurano l’Opera italiana, e del più pomposo e più bello di tutti gli spettacoli, ne fanno il più ridiculo, e il più nojoso”.
Queste sono le righe introduttive, già esplicative del contenuto ‘estetico’ di questa operazione di rinnovamento.
Prosegue poi
“Pensai di ristringer la Musica al suo vero ufficio di servire alla Poesia, per l’espressione, e per le situazioni della Favola, senza interromper l’Azione, o raffreddarla con degl’inutili superflui ornamenti […], in somma ho cercato di sbandire tutti quegl’abusi contro de’ quali da gran tempo esclamavano in vano il buon senso, e la ragione. Ho imaginato che la Sinfonia debba prevenir gli Spettatori dell’azione, […], e non lasciare quel tagliente divario nel dialogo fra l’aria, e il recitativo, che non tronchi a contrasenso il periodo, né interrompa mal a proposito la forza, e il caldo dell’azione. Ecco i miei principj. Per buona sorte si prestava a maravigilia [sic] al mio disegno il libretto, in cui il celebre Autore imaginando un nuovo piano per il Drammatico aveva sostituito alle fiorite descrizioni, ai paragoni superflui, e alle sentenziose, e fredde moralità, il linguaggio del cuore, le passioni forti, le situazioni interessanti, e uno spettacolo sempre variato. […] Quando questo succeda resterà a me la gloria d’aver mossa la prima pietra, e questa publica testimonianza della sua alta Protezione al favor della Quale ho l’onore di dichiararmi con il più umile ossequio”.
Questo piccolo estratto della piuttosto corposa prefazione che merita di essere letta per intero (nel caso si volesse approfondire si può leggere su http://nonquidsedquomodo.altervista.org/musica/286-gluck-prefazione-all-alceste) ci mette, però, in condizione di comprendere la finalità di queste novità che sono rivolte al recupero di un dramma in musica nel quale la teatralità sia elemento principale che, con lo sviluppo dell’opera cosiddetta ‘italiana’, pur nel suo indiscutibile splendore, si era progressivamente perso a totale vantaggio dell’individualità per ricondurre il teatro per musica ai presupposti della sua creazione dei primi anni del ‘600, ad autori come Claudio Monteverdi, con l’attenzione al ‘dramma’ come cellula costitutiva dell’intera creazione musicale.
Per questa nuova ‘ideologia’ la tragedia greca, con la sua essenzialità, forniva un valido elemento sul quale sviluppare l’intera costruzione teatrale-musicale. La ‘riforma’ per Gluck era già iniziata nel 1762 con Orfeo ed Euridice facendo registrare già notevoli cambiamenti ma, con Alceste, la rivoluzione estetica gluckiana diventa più radicale e si rafforza in via definitiva.
Alceste racconta la storia Admeto, re di Fera in Tessaglia e di sua moglie Alceste. Il re sta morendo. La sua famiglia compresi i suoi figli Eumelo ed Aspasia assieme a tutto il popolo sono angosciati. Alceste prega per la guarigione del suo sposo ma Apollo risponde che il re morirà quello stesso giorno, a meno che qualcuno non si sacrifichi in sua vece. Alceste si offre per lo scambio. Avviene così la miracolosa guarigione della quale Admeto ignora i motivi e cerca la sua sposa, impresa vana perché nessuno ne conosce i motivi; immagina però che Alceste si sia sacrificata per lui. Disperato, la vuole seguire nell’Ade. Il dramma si conclude con il lieto fine e la salvezza di Alceste.
Abbiamo concluso la sintetica esposizione della trama perché per Alceste ci troviamo di fronte a due edizioni. Come detto quella del 1767 alla quale abbiamo fatto prima riferimento si concludeva con il tradizionale intervento del ‘Deus ex machina’ che in questo caso vede la presenza di Apollo divinità risolutiva di tutti i problemi.
La rappresentazione in italiano del 26 dicembre del 1767 aveva avuto un certo successo, ma non grandissimo, anche in presenza della famosa ‘riforma’ che, come tutte le novità, di solito non sono immediatamente comprese ed apprezzate. L’opera fu considerata in prima battuta piuttosto tetra e funerea ma con il passare del tempo, anche con diverse rappresentazioni al di fuori di Vienna, cominciò ad avere anche degli apprezzamenti come quello, illustre, di Mozart allora undicenne della cui poetica fece certamente tesoro.
Ma Gluck si rese conto che qualcosa doveva cambiare in questa sua opera soprattutto nel terzo atto considerato debole. L’occasione fu, come in molti altri casi nella storia dell’opera, Parigi, dove l’opera fu presentata il 23 aprile 1776 presso l’Académie royale de musique con un libretto in lingua francese di Marius-François-Louis Gand Lebland, Bailli du Roullet. Il terzo atto fu sempre uno scoglio quasi insormontabile. Gluck pensò di concludere con l’intervento di Ercole come nell’originale euripideo ma pensò, anche, al finale tragico con la morte di Alceste. Non fu raggiunto l’accordo e l’opera si concludeva, come nell’edizione italiana, con l’intervento di Apollo. Il pubblico si dichiarò non soddisfatto, soprattutto per quanto contenuto nel terzo atto. Erano quindi necessari nuovi aggiustamenti.
Come scrive Fedele D’Amico nel suo saggio dedicato ad Alceste e pubblicato nel molto esauriente programma di sala che ha accompagnato questo spettacolo, il percorso di questa nuova edizione fu ‘lungo e accidentato’ aggettivi calzanti per spiegare le difficoltà di questo percorso di aggiustamento.
Le recite a Parigi, comunque, proseguirono ma a quella del 10 maggio gli spettatori si trovarono di fronte, durante il terzo atto, ad un cambiamento: l’inserimento del personaggio di Hercule (Ercole), inserito proprio per creare lo scioglimento del dramma con l’intervento dell’eroe mitologico la cui discesa all’Ade toglie Alceste dal potente abbraccio della morte per un ricongiungimento con l’amato Admète e i suoi due figli.
Questa soluzione avvicinò Alceste all’originale di Euripide permettendone il consolidamento drammaturgico; fu la svolta definitiva per la consacrazione di quest’opera che è giunta fino ai nostri giorni con rappresentazioni, non proprio frequentissime, che comunque ne hanno rinnovato e rafforzato la fama eseguite sia utilizzando la prima edizione viennese che quella definitiva francese.
Il Teatro dell’Opera ha scelto proprio la versione francese di Alceste, decisione che condividiamo sotto tutti i punti di vista. La messa in scena è stata affidata al danzatore e coreografo belga Sidi Larbi Cherkaoui che ha concepito un allestimento sobrio ed essenziale chiaramente ispirato alla tragedia greca per uno spettacolo risultato molto emozionante grazie all’ideale fusione tra musica e danza.
Utilizzando una ambientazione senza tempo, molto giusto per una operazione come questa, grazie ad impianto scenico piuttosto semplice, la relazione con la tragedia greca era praticamente ineccepibile superando la staticità dei movimenti con l’introduzione di un gruppo di mimi che simboleggiavano il coro del teatro greco, l’elemento che aveva il compito di illustrare i sentimenti dei personaggi e l’evoluzione dell’azione.
Per questo gruppo ha concepito una sorta di moderna coreografia che riusciva a connettere musica e movimenti mimici in maniera del tutto efficace anche se, a volte, risultavano troppo reiterati al punto di divenire, in certi momenti, di troppo togliendo concentrazione al fruitore dello spettacolo. Cherkaoui ha dimostrato di essere bravo coreografo; ci domandiamo però perché sono state tolte alcune delle musiche per balletto che Gluck ha inserito nella partitura? Comunque i danzatori della compagnia Eastman di Anversa hanno fornito una prova del tutto apprezzabile in questa componente dello spettacolo risultando anche decisivi per il successo finale. Per la parte ballettistica è doveroso ricordare anche il contributo degli Allievi della Scuola di Danza dell’Opera, diretta da Eleonora Abbagnato.
Funzionali alla concezione di tutto lo spettacolo sono state le scene sono di Henrik Ahr, i costumi di Jan-Jan van Essche e le suggestive luci di Michael Bauer. Per dovere di completezza dobbiamo informare il lettore che la drammaturgia dello spettacolo che noi personalmente attribuiamo a Gluck e ai suoi librettisti se non direttamente ad Euripide, che hanno concepito questo capolavoro, oggi inspiegabilmente è attribuita, come recita la locandina, a Benedikt Stampfli.
La compagnia di canto è risultata del tutto equilibrata ed omogenea. Nella parte del titolo c’era il soprano Marina Viotti giovane cantante la cui carriera, da come apprendiamo leggendo il suo curriculum, si è svolta prevalentemente all’estero, è stata per noi una buona sorpresa ricordando anche che in questa occasione ha debuttato nel ruolo. Ha esibito una voce pulita, duttile e ben educata per una Alceste sicuramente contenuta nelle emissioni, non pirotecnica ma elegante; anche se mostra qualche difficoltà nel registro acuto, è stata comunque in linea con la concezione classicistica dello spettacolo riuscendo ad abbinare al canto incisivi movimenti scenici integrandosi alla perfezione con la regia di Sidi Larbi Cherkaoui per regalarci una Alceste del tutto valida e credibile.
Per l’Admète del tenore Juan Francisco Gatell vale in linea di massima lo stesso discorso. Molto presente qui all’Opera di Roma dove ha sempre offerto buone prestazioni vocali, riesce anch’egli ad abbinare eleganza e vocalità ma con una maggiore sicurezza nel registro acuto rivelandosi ottimo interprete per questa visione del capolavoro gluckiano. Efficace anche la prestazione di Patrik Reiter nella parte di Evandre assieme ai tre cantanti che hanno sostenuto due ruoli: i bassi Luca Tittoto Grand Prêtre / Hercule, Pietro Di Bianco Apollon / Un Hérault d’armes e Roberto Lorenzi Un Dieu infernal / L’Oracle. A completamento della compagnia di canto Carolina Varela, Angela Nicoli, Michael Alfonsi e Leo Paul Chiarot valide Coryphées.
Gianluca Capuano ha guidato l’Orchestra e il Coro del Teatro dell’Opera di Roma diretto da Roberto Gabbiani offrendo una esecuzione curata in tutte le sue parti. La sua direzione è stata costantemente indirizzata ad esaltare l’elemento tragico contenuto nella partitura restando così in linea con tutta l’impostazione dello spettacolo per aumentarne il fascino, l’incanto e la seduzione.
Il pubblico, nel quale abbiamo rilevato con piacere una sostanziosa presenza di giovani studenti, ha assistito con interesse a tutto lo spettacolo (recita del 13 ottobre) applaudendo a lungo tutti gli interpreti prova inequivocabile del gradimento della proposta.
Claudio LISTANTI Roma 16 Ottobre 2022