di Claudio LISTANTI
Una nuova edizione di Mefistofele di Arrigo Boito prodotto in collaborazione con il Teatro Real di Madrid ha inaugurato con buon successo la stagione 2023-2024 del Teatro dell’Opera grazie ad una apprezzata edizione musicale guidata dal Michele Mariotti, direttore musicale del teatro lirico romano, con il contributo dell’Orchestra e del Coro del Teatro dell’Opera di Roma ed una pregevole compagnia di canto composta per le parti principali dal Mefistofele di John Relyea, dal Faust di Joshua Guerrero e da Maria Agresta nella doppia parte di Margherita / Elena. La parte prettamente visiva è stata affidata al regista australiano Simon Stone risultata, come spesso accade oggi, dissacrante e spregiudicata nella realizzazione.
Da approvare la scelta degli organizzatori del Teatro dell’Opera di affidare l’apertura dell’Opera ad un capolavoro come il Mefistofele di Boito che, anche se oggi forse poco rappresentato, per il nostro teatro ha ricoperto un ruolo importante nell’ambito della sua storia. Infatti, dopo la prima rappresentazione romana del 29 ottobre 1887 ha avuto, almeno fino al 1945, diverse e pregevoli esecuzioni, proseguite poi quasi esclusivamente nelle stagioni estive delle Terme di Caracalla fino agli anni ’60 divenendo poi piuttosto rare. Quella di quest’anno segue di circa tredici anni l’ultima edizione del 2010.
Mefistofele è ispirato al Faust di Goethe, dramma in versi capolavoro della letteratura europea e mondiale, che attraverso varie vicissitudini creative partite nel 1775 ebbero poi completamento nel 1808 e nel 1832. Ne nacque una legenda che intorno agli anni cinquanta del ‘800 ispirò musicisti come Gounod per il suo Faust, Liszt con Faust-Symphonie e Schumann con l’oratorio Scene dal ‘Faust’ di Goethe e si proiettò nel tempo anche in altre arti come letteratura, teatro e cinema.
Anche Boito fin dai primi anni dell’800 iniziò a pensare ad una sua visione del capolavoro di Goethe ma arrivò compiutamente a questo soggetto nel 1866, producendo una sua versione operistica basata su un suo libretto, genere nel quale il letterato era specialista ed al quale aggiunse la sua abilità di musicista. Il suo Mefistofele, che con evidenza spostò il focus del dramma sul diavolo, ebbe caratteri monumentali ed andò in scena il 5 marzo del 1868 sotto la direzione dell’autore presso il Teatro alla Scala.
L’opera era straordinariamente lunga strutturata in due prologhi, un intermezzo sinfonico e cinque atti per un totale di otto quadri. Famoso è l’insuccesso che ebbe le cui cause furono da molti attribuite proprio alle ampie dimensioni dell’opera che produssero uno spettacolo di più di quattro ore. Ma come capita spesso per i grandi insuccessi della storia dell’opera i motivi veri vanno cercati anche in altre direzioni. Alcuni critici attribuirono l’esito negativo al forte anticlericalismo presente in questa prima stesura frutto delle idee ‘scapigliate’ dell’autore che della ‘Scapigliatura’ fu uno dei più eminenti rappresentati. L’opera fu ritirata da Boito dopo la grande delusione che seguì l’insuccesso. Di quella partitura ad oggi non c’è più traccia, ne rimane solamente copia del libretto a stampa contenente tutte le annotazioni di Boito per la trasformazione dell’opera nella stesura che conosciamo oggi, che andò in scena riveduta e corretta, questa volta con successo, a Bologna, il 4 ottobre 1875 sotto la direzione di Emilio Usiglio. Mefistofele fu quindi adottato dalla città felsinea il cui teatro, sempre attento alle novità e alle proposte stimolanti, ospitò con una certa frequenza sul suo palcoscenico il capolavoro boitiano.
Questa versione rivista è nel complesso più snella anche se la struttura prevede un Prologo, quattro atti e un Epilogo ma risulta essere il prodotto di una azione semplice e scorrevole dovuta anche alla peculiarità della forma musicale adottata.
A questo punto è giusto necessariamente parlare della parte musicale. Dopo la rappresentazione bolognese l’opera entrò progressivamente nel repertorio dei teatri divenendo uno dei punti di forza delle stagioni liriche all’interno delle quali trovò un posto privilegiato anche perché molti grandi cantanti misero nel proprio repertorio le tre parti principali Mefistofele, Faust e Margherita. Si ricordano interpretazioni leggendarie di cantanti come i Faust di Caruso e Gigli, i Mefistofele di Šaljapin e di Nazzareno De Angelis, le Margherite di Emma Carelli e Gilda Dalla Rizza; questo è solo un esempio perché il campo degli interpreti è naturalmente di più vaste dimensioni.
Ma, come si evince dall’evoluzione dalle rappresentazioni romane citate poco prima nella nostra recensione, le esecuzioni di Mefistofele, più o meno dopo la Seconda Guerra Mondiale, furono sempre meno numerose fino a scomparire quasi del tutto dal repertorio. Come detto qui a Roma, prima di oggi, l’ultima rappresentazione di Mefistofele risale a tredici anni fa, così come poco frequenti sono le incisioni discografiche sinonimo questo di disinteresse da parte del pubblico. Fu la conseguenza di una certa avversione da parte della critica per questa opera, spesso giudicata di cattivo gusto per il soggetto e per l’azione, considerata banale.
Siamo ormai nel terzo millennio e l’ascolto di Mefistofele riserva molte favorevoli soprese. Innanzi tutto c’è da contraddire quell’etichetta di ‘wagnerismo’ che molti affibbiano al Mefistofele, dovuto alla poderosa orchestrazione che in certi punti presenta sonorità grandiose e d’effetto come anche l’utilizzo continuo del recitativo. Mefistofele, a nostro giudizio, possiede una particolare semplicità nell’esposizione della trama ed una innegabile scorrevolezza dell’azione che rende avvincente la visione e la percezione dello spettacolo da parte dello spettatore.
È un’opera di indubbia ispirazione italiana. Anche se alcune forme come l’aria che sembrano ormai scomparse sono evidenziate con più semplicità e rivolte con efficacia allo svolgimento del dramma così come sono presenti duetti e scene d’insieme la cui vocalità è chiaramente il frutto dell’evoluzione della linea di canto di tradizione italiana. Di rilievo è l’utilizzo del coro come elemento essenziale dello svolgimento del dramma. Tutte caratteristiche che sono ben presenti nell’opera italiana di quel periodo come le grandi partiture verdiane dell’epoca (Don Carlos del 1866-1867 e Aida del 1871, dove questi elementi sono tutti ben riscontrabili. Mefistofele potrebbe essere considerata, come sostengono alcuni studiosi, un piccolo grand opéra come del resto, e con le dovute differenziazioni, può essere considerata la già citata e quasi coeva Aida.
Per parlare di questa rappresentazione romana di Mefistofele partiamo, come di consueto dalla messa in scena. Affidata al regista australiano Simon Stone da più parti considerato come vero e proprio innovatore della realizzazione scenica ha, però, dimostrato di essere in linea con quanto affligge il teatro lirico in questi ultimi tre lustri.
Come al solito, anche se ben circostanziati nei libretti, azione e ambiente sono spietatamente cambiati. Se si eccettua il prologo che si basa su elementi di fantasia, dove Stone ha dato una lettura più convincente con un ambiente del tutto bianco, elemento portante di tutta la rappresentazione, sottoposto però a mutazioni di colori con il procedere dell’azione, e con il coro nel fondo della scena compreso quello delle voci bianche. Nell’insieme si riusciva a dare così quel senso di mistero e di soprannaturale necessario ponendo al centro l’azione ‘mefistofelica’ della tentazione di Faust
La domenica di Pasqua a Francoforte sul Meno del primo atto con i suoi colori popolari e l’ambientazione felicemente festiva perdeva le sue peculiarità a favor di un ambiente del tutto asettico tra venditori di popcorn e di gelati ma persistendo su una delle caratteristiche di questa realizzazione, la completa staticità delle scene d’insieme che, se nel prologo aveva un senso logico, qui risulta del tutto controproducente. Nella seconda scena (Officina di Faust, alcova, notte) dove il diavolo otterrà l’anima di Faust in un indisponente gabinetto scientifico di uno scienziato.
Nel secondo atto nel ‘Giardino di rustica apparenza’ dove Faust incontra Margherita che ama, ricambiato. In primo piano c’è una immensa vasca piena di palline colorate dove avviene la scena di seduzione con Mefistofele che corteggia Marta. Si passa al Sabba Romantico dove l’ambiente rupestre evocato dal libretto si presenta sotto forma di scalinata dove il coro è stato collocato immobile su di essa. Qui Faust vede l’immagine della decapitazione di Margherita. Una visione complessiva che allontana lo spettatore dal fascino di questo momento teatrale.
Anche nell’atto terzo il bianco è l’elemento portante. Descrive con una certa efficacia lo squallore della prigione di Margherita condannata a morte per aver avvelenato la madre e il figlio nato dalla relazione con Faust, dove la donna rifiuta la proposta della fuga avanzata da Faust scegliendo la morte. Nel quarto atto il Sabba Classico ambientato sulle rive del Penèjos una notte argentea dove Faust giunge dopo aver espresso il desiderio di conoscere la mitologia greca. Incontra Elena e se ne innamora anche qui ricambiato.
L’epilogo porta alla morte di Faust e alla sconfitta di Mefistofele e dei suoi demoniaci progetti. Il laboratorio di Faust evocato dal libretto già rappresentato nel primo atto ma ora diroccato per il trascorrere del tempo parallelo all’abbandono del suo proprietario. Qui il regista ci propone un più che scontato ambiente di una casa di riposo dove il dramma si conclude.
L’azione, inoltre, è stata condita anche con le consuete scene erotiche con lo scopo, crediamo, di renderla attraente ai gusti del pubblico di oggi. I costumi erano senza tempo spietatamente tutti sul bianco tranne alcuni specifici relativi a Mefistofele ed ai suoi travestimenti, alle scene di seduzione con le donne in abiti provocanti e con i soldati che compaiono nel Sabba Classico con l’ormai scontata e ammuffita trovata nel teatro d’opera di vestirli in tuta mimetica.
Per il resto la parte visiva è stata realizzata con i costumi e le scene di Mel Page e le luci di James Farncombe, componenti dello spettacolo realizzate completamente in linea con l’impostazione registica dimostrando di essere valido supporto alla realizzazione dello spettacolo.
Per quanto riguarda la parte vocale nel ruolo di Mefistofele c’era il basso John Relyea, cantante in possesso di un repertorio dl tutto adatto per la vocalità specifica del personaggio che ha interpretato con intensità e misura evitando i possibili eccessi vocali che, a dire la verità le esecuzioni di oggi le evitano costantemente. Relyea ha anche esibito una squisita recitazione risultando incisivamente ‘demoniaco’ regalando spessore al personaggio rappresentato, merito anche dell’impostazione registica. Per Relyea un vero e proprio trionfo personale al termine della recita.
Faust era il tenore Joshua Guerrero che ha offerto anche lui una efficace recitazione. In possesso di una voce di tenore piuttosto chiara adatta alle caratteristiche vocali ha però evidenziato nel corso della recita alcune sfasature nelle emissioni vocali anche se nel complesso ha reso bene la parte vocale. Comunque una buona prestazione sottolineata da un indiscutibile successo personale.
Successo personale di grande spessore anche per il soprano Maria Agresta una Margherita/Elena di fascino scenico e vocale a suo agio con la particolare linea vocale scritta da Boito che ha saputo rendere con dolcezza ed espressività anche grazie ad una certa validità nel raggiungere il registro più acuto.
Bene anche gli altri cantanti a partire dal contralto Sofia Koberidze Marta/Pantalis di grande effetto assieme agli altri due tenori, Marco Maglietta Wagner e Yoosang Yoon Nereo.
Michele Mariotti è stato protagonista di una prova del tutto apprezzabile musicalmente regalandoci grandiosità e intensità nelle parti più ‘monumentali’ dell’opera, lirismo e poesia in quelle più contenute ma espressive. Questo grazie anche alla convincente prova dell’Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma con la quale Mariotti, ci sembra, stia sempre di più rafforzandosi quel ‘feeling’ indispensabile per svolgere al meglio l’attività di direttore musicale. Anche per lui enorme successo personale.
Concludiamo con il Coro del Teatro dell’Opera elemento di spicco nella struttura musicale di Mefistofele che è risultato determinate per la riuscita dell’insieme grazie anche alla direzione di Ciro Visco e alla partecipazione incisiva del Coro di Voci Bianche del Teatro dell’Opera.
La recita alla quale abbiamo assistito è quella del 2 dicembre terminata con un molto ben evidente successo di pubblico cha ha applaudito a lungo al termine della recita, dimostrazione del gradimento non solo dell’esecuzione ma, anche, visto il cospicuo numero degli spettatori presenti, in genere dell’opera di Boito con la speranza che superi quell’immeritato oblio del quale prima abbiamo accennato.
Claudio LISTANTI Roma 3 Dicembre 2023