di Claudio LISTANTI
Per gli storici e gli appassionati di Danza ‘Il Corsaro’ (Le corsaire) occupa un posto di primaria importanza nella storia di questa splendida arte per divenirne una indiscutibile ‘testimonianza’ di come, nelle rappresentazioni ballettistiche, sia evoluto lo stile e l’interpretazione nel corso degli anni fino ai nostri giorni.
A questa ‘evoluzione’ non ha fatto eccezione l’edizione che il Teatro dell’Opera ha inserito nella Stagione di Balletto 2019-2020 ed affidata alla coreografia di José Carlo Martinez che ne ha approntato un piacevole spettacolo ottenendo un buon successo di pubblico grazie anche alle scene e costumi di Francesco Zito, alla direzione d’orchestra di Alexei Baklan e ai due interpreti principali prescelti, la russa Olesja Novikova e l’ucraino Leonid Sarafanov.
Per chiarire quanto detto è necessario fare dei cenni storici circa l’interessante percorso intrapreso da questo balletto che ha attraversato gli anni fino ai giorni nostri.
La prima rappresentazione, con il titolo esatto di Le Corsaire, risale al 23 gennaio del 1856, grazie al balletto dell’Académie Royale de Musique ed al ‘libretto’ di Jules-Henri Vernoy de Saint-Georges, famoso letterato dell’epoca che prese ispirazione dal poema di Lord George Gordon Byron The Corsair. Un soggetto molto accattivante per il pubblico di quei tempi se si pensa anche che Giuseppe Verdi, qualche anno prima, nel 1848, fu stimolato dallo stesso soggetto adattato per il teatro lirico dal suo librettista di fiducia, Francesco Maria Piave.
La parte musicale de Le Corsaire fu affidata al musicista Adolphe-Charles Adam, musicista molto prolifico nella prima metà del ‘800 sia nel campo dell’Opera sia del Balletto, del quale si ricorda anche un’altra splendida partitura, quella di Giselle. Oggi è poco conosciuto ma fu tra i primi a creare delle partiture per balletto contenenti quel respiro romantico che è uno dei pilastri della danza classica. Con Adam si diffuse la consuetudine di dare maggior peso specifico alla musica per lo spettacolo di danza, che fino ad allora aveva un ruolo del tutto marginale con la finalità unica di offrire alle parti coreutiche il ritmo necessario.
Lo spettacolo ebbe un notevolissimo successo anche per le sue caratteristiche di vero e proprio ‘colossal’ con effetti teatrali strabilianti; la scena finale del naufragio ispirò addirittura la fantasia del pittore e incisore francese Gustave Doré. Carolina Rosati infiammò il pubblico parigino che la considerò interprete insuperabile del ruolo di Medora; un successo che si ripeté, solo in quell’anno, per 43 repliche restando poi in repertorio fino al 1859 quando la Rosati lasciò Parigi.
Le Corsaire varcò rapidamente i confini della Francia. Già nel 1858 fu allestito in Russia, nell’allora Pietroburgo, dal grande maître de ballet Jules Perrot per mettere in risalto le doti di un’altra danzatrice famosa all’epoca: Ekaterina Friedbürg. Tra gli interpreti c’era il giovane Marius Petipa nella parte di Conrad che partecipò anche all’allestimento e che in futuro divenne uno degli artisti fondamentali per l’evoluzione di questo balletto.
Nel 1863, sempre a Pietroburgo, Petipa divenuto maître de ballet presentò una versione completamente nuova de Le Corsaire, allestita per sua moglie Marija Surovščikova, prima ballerina. Per l’occasione furono aggiunte nuove musiche commissionate a Cesare Pugni. Gli innesti più importanti furono la Mazurka dei corsari e l’ampliamento del Pas des Odalisques che integrò il valzer originale di Adam con due variazioni e la coda con musiche del Pugni ed una terza variazione affidata ad un tema di Adam.
Nel 1867 Le Corsaire tornò a Parigi per l’Esposizione Universale, con un nuovo allestimento di Joseph Mazilier, stavolta per mettere in evidenza l’arte di una altra grande ballerina, la tedesca Adèle Grantzow.
Per l’occasione fu approntata una nuova coreografia con una importante ‘aggiunta’ un Grand Ballabile su musica di Léo Delibes, creato apposta per la Grantzow, a cui fu dato il nome di Grand Pas des Fleurs. Altro grande successo con 81 recite ma furono le ultime per Parigi. Adèle Grantzow si trasferì poi a Pietroburgo dove, nel 1868, Marius Petipa ne produsse una nuova versione caratterizzata dalla mutazione del Grand Pas des Fleurs nella scena nominata Le Jardin Animé, oggi parte integrante delle rappresentazioni di Le Corsaire.
Con il passare degli anni e con l’avvento del ‘900 Le Corsaire entrò stabilmente nel repertorio russo e dimenticato quasi del tutto in occidente dove la sua fama sopravvisse solamente per alcuni pezzi ‘staccati’ tra i quali il celebre ‘Pas de deux’ e rappresentato nei numerosissimi ‘Galà’ di danza proposti dai più grandi danzatori di tutto il mondo.
Nel corso del XX secolo in Russia nacquero altre edizioni ognuna delle quali caratterizzata da ulteriori aggiustamenti ed inserimenti sia nella coreografia sia nella parte musicale. Solo per qualche esempio nel 1912 quella montata dal coreografo Alexander Gorsky che aggiunse nuove danze di vari compositori come Vasilij Solov’ev-Sedoj, Reinhold Glière, Fryderyk Chopin e anche Čajkovskij. Poi quella del 1955 di Pëtr Gusev per il balletto del Teatro Maly dell’allora Leningrado con l’introduzione di una nuova parte ‘di carattere’ quella dello schiavo Alì, la cui danza fu aggiunta per rendere il famoso Pas de Deux un vero e proprio Pas de Trois.
Dopo questa doverosa, per quanto sintetica, introduzione si può capire con più precisione il travaglio subito negli anni da questo celebre balletto causato e dovuto al fatto di mettere in risalto le doti, la tecnica e i virtuosismi degli interpreti a disposizione e la qualità del corpo di ballo impegnato nella realizzazione. Ogni sua riproposta, quindi, mette il coreografo davanti alla possibilità, ma anche alla necessità, di operare delle scelte personali per rendere fruibile la percezione da parte dello spettatore.
Arriviamo così al 2020 ed al Teatro dell’Opera di Roma, attualmente guidato per la parte coreutica dalla étoile Eleonora Abbagnato. La direttrice ha sentito la necessità di proporre una nuova versione de Le Corsaire i cui contenuti fossero più affini al gusto del pubblico di oggi affidandone la realizzazione a José Carlos Martinez coreografo molto attivo in questi ultimi anni in Europa forte anche di una lunga esperienza come étoile di balletto maturata a Parigi quando il corpo di ballo era diretto da Rudolf Nureyev.
L’artista ha aderito con entusiasmo all’invito producendo uno spettacolo del tutto in linea con i desideri della direzione del Teatro dell’Opera. Innanzi tutto è stato autore anche del cosiddetto ‘libretto’ cosa del tutto inusuale per occasioni come queste che vede solitamente impegnate personalità diverse nei ruoli di librettista e coreografo. La sua intenzione principale è stata quella di rendere comprensibile la drammaturgia la cui intelligibilità è stata nel tempo compromessa da tutti quelli interventi prima citati e dovuti alla necessità di adattare il balletto a specifici interpreti per metterne in evidenza le qualità di ognuno.
Innanzi tutto la trama è risultata più stringata riacquistando un po’ di quella ‘semplicità’ della prima edizione. C’è il corsaro Conrad che sfida il Pascià per prendere il possesso della bellissima Medora della quale si è innamorato dopo averla vista al mercato degli schiavi. C’è l’altra bellezza attraente di Gulnara amica di Medora ma anche la grotta sede dei corsari e lo sfarzo del palazzo del Pascià con tutto il suo harem. Non mancano le scene d’amore e di duelli con la tempesta finale nella quale, però, si salvano solo Medora e Conrad che si ritroveranno soli in un’isola deserta.
Della parte danzata sono stati conservati quei momenti della parte pantomimica utili a rendere con più facilità la comprensione della trama perché, come lo stesso Martinez ha dichiarato nell’intervista curata da Valentina Brunelli ed inserita nel programma di sala “ […] a volte ci sono codici di pantomima nei balletti classici comprensibili solo agli iniziati”.
I cosiddetti ‘pezzi di bravura’ sono stati preservati come ad esempio i ‘mitici’ 32 fouettés (termine utilizzato nella danza accademica che deriva dalla parola “frustata”, un virtuosismo realizzato come un colpo che una gamba in azione dà sull’altra che sostiene il peso del corpo). E’ stato conservato il ‘Pas de trois des odalisques’ ma senza le tre variazion
i proprio per dare più incisività al racconto. Il famoso Jardin animé, come già detto inserito successivamente, è stato doverosamente conservato ma con l’accortezza di legarlo al resto della scena realizzandolo come un sogno del Pascià allucinato dai fumi dell’oppio. E’ stata tolta la parte di Alì e ripristinato il tradizionale Pas de deux.
La parte coreografica era contenuta nell’affascinante cornice scenica ideata nel 2008, sempre per l’Opera, da Francesco Zito, qui sapientemente modificata per essere adattata alle esigenze della presente edizione, completata da appropriati dalla sostituzione di alcuni costumi sempre dello stesso Zito. Per la scena della tempesta e del relativo naufragio, le ‘macchinerie’ sceniche della prima assoluta, oggi quasi impossibili da realizzare senza sostenere costi stratosferici, sono state sostituite da un semplice ma efficace video.
Per quanto concerne la parte musicale vogliamo spezzare una lancia a favore della musica utilizzata per Le Corsaire, spesso bistrattata dalla critica ed etichettata come musica di scarsa qualità. Il giudizio negativo è influenzato dal fatto che la partitura è la convergenza di composizioni di più autori. Qui a Roma sono state utilizzate le musiche di Adolphe-Charles Adam, Léo Delibes, Cesare Pugni e Riccardo Drigo. Sono tutti musicisti all’epoca molto stimati. Oltre ad Adam e Delibes dei quali abbiamo già detto, Pugni era compositore di musica da balletto per l’Her Majesty’s Theatre di Londra e, poi, dei teatri imperiali di Pietroburgo in Russia. Drigo era stretto collaboratore del Balletto Imperiale e dell’Opera Imperiale.
Anche in pieno XXI secolo, lo spettatore di oggi non può negare che ascoltando questa musica si comprende molto bene che è del tutto funzionale al balletto, non solo per mettere in evidenza i virtuosismi degli interpreti ma anche buon vettore per trasmettere all’ascoltatore lo stato d’animo dei personaggi e utile per descrivere le scene di sfarzo e grandiosità che nel balletto non mancano. In questa occasione romana l’Orchestra del Teatro dell’Opera è stata guidata dall’ucraino Alexei Baklan, musicista che per origini famigliari (figlio di danzatori) è legato al mondo del balletto, un ambiente nel quale è rimasto con vari incarichi nella sua città di Kiev, presso l’Opera Nazionale Ucraina e presso il Teatro Accademico Municipale dell’Opera e del Balletto. La sua direzione ci è parsa attenta, appassionata e trascinante, ideale per creare quello stretto rapporto tra parte musicale e azione scenica che è una delle essenze del teatro di Danza. Ciò è senza dubbio dovuto, oltre che alla sua preparazione e sensibilità artistica, anche ad una evidente stretta collaborazione con il coreografo Martinez costituitasi per il montaggio dello spettacolo, senza dimenticare il contributo professionale di tutta l’Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma.
Terminiamo con gli interpreti di Danza. Olesja Novikova è stata una deliziosa Medora tanto affascinante nell’espressione quanto precisa nei movimenti con Leonid Sarafanov, un Conrad dai giusti contorni selvaggi ed eroici. Nelle altre parti efficaci sia la Gulnara di Marianna Suriano, sia il Lankedem di Walter Maimone parimenti al Birbanto di Giacomo Castellana.
Ci piacerebbe citare tutte le altre parti ma è impossibile farlo in poco spazio. Possiamo, però, senz’altro dire che il Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera ha fornito una più che valida prova sia nelle parti prettamente pantomimiche sia in quelle completamente danzate ricordando l’emozione che ci hanno trasmesso soprattutto nella delicata, sognante e magica atmosfera del Jardin Animé.
La recita alla quale abbiamo assistito era quella del 4 di marzo, ultima recita prima della chiusura forzosa dei teatri e di tutti i luoghi di aggregazione in atto per combattere la fin toppo nota infezione che sta sferzando non solo l’Italia ma tutta l’Europa e tutto il mondo. La serata ha avuto molto successo nonostante lo scarso pubblico convenuto che comunque ha tributato applausi a tutti gli interpreti. Una serata triste non solo perché la sospensione delle recite non rende possibile vedere le interpretazioni degli altri qualificati interpreti scritturati per le successive recite, ai quali va tutta la nostra comprensione, ma anche per il senso di malinconia che ha pervaso il nostro spirito vedendo costretto al mutismo un teatro di opera e balletto, simbolo indiscusso di vitalità, dinamismo ed energia. Speriamo che il tutto passi rapidamente.
Claudio LISTANTI Roma 8 marzo 2020