di Nica FIORI
“Allo spettacolo di Ostia mi ero avviato a denti stretti. Teatro antico, tragedia greca: due pericoli di barba … E trovai invece uno degli spettacoli più belli che abbia mai veduto”.
Così Alberto Savinio si espresse sul “Corriere d’Informazione” del 10 luglio 1949, dopo aver assistito a un’indimenticabile rappresentazione teatrale all’interno degli scavi di Ostia antica.
Parliamo di una delle aree archeologiche più importanti d’Italia, e dal punto di vista paesaggistico forse anche più affascinante di Pompei, essendo immersa in una rigogliosa pineta, secondo quella pittoresca concezione, in auge nei primi decenni del secolo scorso, di unire il verde alle rovine. Risale all’archeologo Guido Calza la parziale ricostruzione del suo teatro, nel 1926-27, per renderlo adatto alla fruizione scenica, in sintonia con l’attività dell’Istituto Nazionale del dramma antico (INDA).
Ma già prima, esattamente il 21 aprile del 1922, i bambini di una scuola elementare di Ostia vi avevano recitato l’Aulularia di Plauto (III-II secolo a.C.): una celeberrima commedia classica che trae il nome da una pentola (aulula, ovvero piccola olla) contenente un tesoretto d’oro che un vecchio avaro trova nel suo terreno.
L’Aulularia è stata nuovamente rappresentata da bambini della stessa scuola lo scorso 20 maggio per inaugurare la mostra “Chi è di scena! Cento anni di spettacoli a Ostia antica (1922 – 2022)”, promossa dal Parco archeologico di Ostia antica e allestita nelle gallerie del teatro.
Curata da Alessandro D’Alessio, Nunzio Giustozzi e Alberto Tulli, con l’organizzazione di Electa, cui si deve anche il bel catalogo, l’esposizione ripercorre la storia delle manifestazioni che si sono tenute nel Teatro romano, e che ancora vi si svolgono, attraverso bozzetti di scenografie o costumi, abiti di scena, manifesti, fotografie, filmati, che raccontano la fortunata vicenda del teatro ostiense in età contemporanea. Tra questi materiali hanno particolare valore museografico i bozzetti e i modellini in scala realizzati da Duilio Cambellotti e Mario Sironi, provenienti dall’Archivio dell’Opera di Duilio Cambellotti e dalla Collezione Andrea Sironi- Straußwald, oltre ad altri documenti (alcuni inediti) provenienti dagli archivi della Biblioteca Museo Teatrale SIAE, dell’INDA, di Cinecittà Luce.
Ha dichiarato Alessandro D’Alessio, direttore del Parco archeologico di Ostia antica.
“Non una mostra archeologica dunque, eppur in certo qual modo una mostra di storia dell’archeologia, se è vero che l’utilizzo che ancora oggi noi facciamo dell’edificio, oltre a quello puramente scientifico, conservativo e didattico-esplicativo, scaturì dalla lungimirante visione di un archeologo”,
È proprio grazie alla ricostruzione di Guido Calza, non esente all’epoca da qualche polemica, che oggi possiamo usufruire di un vero teatro romano ancora vivo e frequentato a pochi chilometri da Roma e facilmente raggiungibile in auto o in treno. Un teatro che venne scoperto nel corso dei primi scavi ottocenteschi (1877-1890) condotti da Rodolfo Lanciani nell’area centrale della città: scavi proseguiti da altri archeologi, tra cui Dante Vaglieri, e poi interrotti a causa dello scoppio della prima guerra mondiale. Fu nel 1926 che Calza, all’epoca soprintendente, decise di restaurare e ricostruire la cavea, lo spazio gradinato riservato agli spettatori, mentre nel 1938-39 fece realizzare alcune arcate del prospetto esterno.
L’edificio teatrale, tutto in muratura come previsto dal tipico modello romano (a differenza di quello greco che sfrutta la pendenza naturale di una collina), nella sua fase originaria risale all’età augustea (31 a.C.-14 d.C.), alla quale appartengono larghi tratti in opera reticolata e i resti di pilastri di tufo che sorreggevano le arcate di un portico retrostante la scaena. Nell’avanzata età imperiale (fine II sec. d.C.) l’edificio venne ampliato per accogliere più spettatori, arrivando a contenere fino a 4000 persone.
All’esterno vi è un portico in laterizio, in origine a due ordini, all’interno del quale si aprono delle tabernae. L’ingresso principale è costituito da un corridoio centrale con volta a botte decorata con stucchi bianchi, che porta al piano dell’orchestra. Questa caratteristica non si riscontra in nessun altro teatro romano conosciuto. Altri quattro ingressi portavano direttamente nella cavea, mentre due ingressi laterali, le párodoi, correvano parallelamente al palcoscenico. Sulla parete della parodos orientale si trova ancora l’iscrizione che ricorda la ristrutturazione del complesso a opera di Settimio Severo e di suo figlio Caracalla. Nella parte inferiore della cavea i sedili in pietra lasciavano il posto a comode poltrone con braccioli in marmo, che erano separate dall’orchestra da una serie di lastre marmoree verticali, tuttora visibili. Praticamente nulla rimane del palcoscenico originale e della scaena, cioè la parete di fondo del teatro (di norma decorata con statue e colonne), a eccezione di pochi frammenti architettonici. Sopra a un muro sono stati collocati dei mascheroni in pietra a imitazione delle maschere lignee utilizzate dagli attori sul palco, con lo scopo di coprire il volto, visto che gli attori interpretavano più di un ruolo, e di amplificare la voce.
Dietro la scaena si sviluppa il piazzale delle Corporazioni, una vasta area scoperta quadrangolare circondata su tre lati da un portico. La piazza era collegata fin dall’origine all’edificio teatrale, di cui costituiva la porticus post scaenam, cioè un porticato dietro la scena dove ci si poteva incontrare per discutere dello spettacolo appena visto. In seguito negli altri tre lati porticati vennero ricavate delle stanzette, che fungevano da uffici di rappresentanza dei vari imprenditori e corporazioni delle attività portuali e commerciali, con decorazioni musive pavimentali bicrome, mentre al centro della piazza venne edificato un tempietto, cosiddetto di Cerere, sulla cui gradinata si sono esibite alcune danzatrici della Scuola di danze classiche del Governatorato di Roma, come documentato in mostra dagli scatti del fotografo Adolfo Porry Pastorel, che mostrano alcune esibizioni del 1927.
Il progetto di allestimento dell’attuale mostra, dello Studio Stefano Boeri Architetti, è stato chiamato “Quattro Volte”, perché basato sulla realizzazione di quattro strutture modulari all’interno dei fornici esterni del teatro. Se da un lato il modulo espositivo si ispira all’aspetto originario dell’edificio romano, in particolare alla forma dell’arco a tutto sesto, dall’altro mantiene un carattere di indipendenza, senza l’intenzione di proporre una ricostruzione filologica degli elementi mancanti delle architetture antiche. Ogni struttura a volta, semiaperta ai lati e removibile, è chiusa da un tendaggio scuro che filtra i raggi solari che potrebbero danneggiare i materiali esposti.
Il primo modulo accoglie i materiali relativi alle prime rappresentazioni del 1927 e del 1928.
Gli spettacoli inaugurali risalgono al giugno 1927 ed erano già stati rappresentati nel Teatro greco di Siracusa.
Si trattava della tragedia I sette a Tebe di Eschilo, dell’Antigone di Sofocle e della commedia Le nuvole di Aristofane.
Fu Duilio Cambellotti a disegnare il manifesto e le scenografie. Foto storiche, bozzetti e maquettes ne evocano l’atmosfera sospesa.
Solo le impassibili divinità in alto erano ricche di colori e d’oro, mentre tutto il resto era addensato d’oscurità.
Per il moderno Giulio Cesare di Enrico Corradini, andato in scena la prima volta al Teatro antico di Taormina e poi a Ostia nel giugno 1928, Cambellotti concepì una potente identità visiva con l’irrevocabile passo del dittatore che varca il Rubicone, raffinati costumi all’antica e tavole pittoriche ricche di lumeggiature ed effetti chiaroscurali che scandivano i vari piani dell’azione e i momenti del dialogo anche attraverso una decisa connotazione di volti e gesti.
Nel secondo modulo torniamo indietro nel tempo ed esattamente alla primavera 1922 nella sezione “L’evocazione rapida di un sogno”, ovvero la rappresentazione dell’Aulularia, citata nel componimento di un bambino della scuola elementare, che vi aveva preso parte come attore. Una serie di fotografie ritrovate tra le carte di Guido Calza, il copione “adattato” per la scolaresca, e altre testimonianze documentano questo primo, sperimentale tentativo di moderno “teatro all’aperto” con un semplice fondale dipinto come scenografia, mentre autorità e invitati con il parasole assistevano su una cavea che era ancora un pendio erboso.
Un’altra recita dell’Aulularia, stavolta con attori veri, si ha nel 1938, come pure un’altra opera di Plauto: I Menecmi, mentre al 1947 risale la rappresentazione de Gli Uccelli di Aristofane, con i costumi di scena e i bozzetti delle scenografie originali.
Coreografa e interprete dei cori danzanti delle commedie plautine fu Tusnelda Risso Strub, più volte ritratta con il suo gruppo nelle foto dell’Archivio Luce Cinecittà, mentre il gruppo di Ada Franellich si esibì con spettacolari costumi con becchi e piume negli Uccelli.
Per questa commedia Cambellotti ideò un’architettura arborea fittizia che appare oggi di grande modernità, fatta solo di elementi naturali, aerei, fortemente evocatori di pace.
Il terzo modulo ospita i materiali relativi alle esibizioni dal 1949 al 1952 della Medea e del Ciclope di Euripide, con le coreografie di Rosalia Chladek. Di valore artistico sono i bozzetti originali di Mario Sironi. Il bozzetto per il manifesto di Medea, che sembra ispirato alle raffigurazioni stilizzate dei vasi ceramici antichi, è stato scelto come copertina del catalogo della mostra.
Alquanto rarefatta appare la scenografia, messa in relazione con i ruderi e l’ambiente naturale e basata tutta sulle caratteristiche dei costumi. Nel Ciclope un’enorme caverna domina la scena, Ulisse ha le ossa dipinte sul corpo, Polifemo è in pelliccia e ha una maschera sul volto che ricorda quelle dei Mamuthones sardi.
Nell’ultimo modulo è proiettato un video che racconta l’avvicendarsi degli spettacoli dal 1952 al 2019 – di genere sempre più vario man mano che si va avanti nel tempo – svelando anche il “dietro le quinte” e mostrando l’eterogeneo pubblico fatto di celebrità e di gente comune, giunta in trenino ad affollare le serate estive.
Una ribalta che ha visto negli anni avvicendarsi attori del calibro di Arnoldo Foà, Aldo Fabrizi, Olga Villi, Sarah Ferrati, Giorgio Albertazzi, Gigi Proietti, Massimo Ranieri, coreografi e ballerini (ricordiamo anche Carla Fracci e Raffaele Paganini), registi, scenografi e costumisti tra i migliori nomi del panorama italiano e internazionale. Senza dimenticare la musica pop, rock ed elettronica, cui il Teatro romano di Ostia antica ha regalato un’insolita, magica atmosfera.
L’ultima sezione della mostra dà conto dei diversi interventi di restauro e rifunzionalizzazione che si sono succeduti nel tempo (1913, 1926-28, 1938-39). Grazie ai fondi CIPE (Comitato Internazionale per la Programmazione Economica), l’edificio sarà prossimamente oggetto di un intervento che riguarderà l’intera struttura, con l’obiettivo di mantenere viva la sua funzione come importante luogo di manifestazioni culturali e di garantire la fruizione degli spazi in totale sicurezza.
Nica FIORI Roma 29 Maggio 2022
“Chi è di Scena! 100 anni di spettacoli a Ostia antica”, Parco Archeologico di Ostia Antica, Viale dei Romagnoli 717.
Fino al 23 ottobre 2022
Orario: dal martedì alla domenica: 8.30 -19.00 fino al 30 settembre 2022; 8.30 – 18.30 dal 1° al 23 ottobre 2022. Chiuso il lunedì. Informazioni: www.ostiaantica.beniculturali.it