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Le mostre di Mauro Reggio e Paolo Delle Monache fino al 15 ottobre al Vittoriale degli Italiani
Le mostre di Mauro Reggio, con le sue pitture del paesaggio urbano e del Garda, e di Paolo Delle Monache, con le sue originalissime sculture, nate da un’idea di Giordano Bruno Guerri, presidente del Vittoriale degli italiani e Lorenzo Zichichi de “Il Cigno Arte”, sono state inaugurate il 29 giugno al Vittoriale degli Italiani a Gardone Riviera (Brescia), nell’ambito della manifestazione “Vedi, vedi: queste sono le carte che ti volevo mostrare“. In tanti hanno partecipato al vernissage delle due mostre che resteranno aperte al pubblico fino al 15 ottobre 2024.
L’organizzazione e i cataloghi di entrambe le esposizioni sono curati da “Il Cigno Arte”.
Mauro Reggio: dai paesaggi urbani ai panorami del Garda
La mostra “Mauro Reggio. Architettura d’avanguardia”, a cura di Marco Di Capua, presenta quindici opere in olio su tela dell’artista romano, noto per la sua rappresentazione del paesaggio urbano di cui esalta prospettive e architetture, spogliandole dei segni e della presenza dell’uomo. Un espediente artistico utilizzato per mettere in evidenza le geometrie e i colori dei dipinti, trasformandoli nel vero e unico soggetto del quadro: tangenziali, gasometri, palazzi barocchi e archeologie industriali, ritratti in un presente senza tempo.
L’artista dipinge monumenti provenienti da epoche diverse a partire dai colori tipici della grande tradizione italiana del XX secolo, poi trasformati e rinnovati sulla base delle più recenti riflessioni contemporanee su fotografia, pittura e nuove tecnologie.
Ha dichiarato Giordano Bruno Guerri, presidente de Il Vittoriale degli Italiani –
“L’avanguardia architettonica di Reggio mi ricorda quella letteraria di d’Annunzio entrambi animati dall’amore per il bello e per la classicità, usando le forme più tradizionali dell’espressione pittorica o poetica, creano nuove forme di arte. Mi affaccio dalla finestra del mio studio al Vittoriale, non ho mai osservato un tramonto coi colori di Reggio, ma appena ho visto il suo dipinto sul Garda mi sono emozionato al pari solo di quando vedo la luce affossarsi nel lago. Anche lo svettare dei cipressi non è mai stato reale né analogo a quello di Reggio, ma le sue architetture coinvolgono anche la vegetazione, che diventa parte stessa dell’architettura pittorica del bravo pittore”.
Allestita presso il Mas 96 (motoscafo antisommergibile, la nave museo del Vittoriale degli Italiani), l’esposizione offre una visione unica e innovativa del Vittoriale degli Italiani, con dipinti che catturano luoghi simbolo della casa di d’Annunzio. Tra le opere allestite “Lago di Garda” (del 2024, olio su tela, cm 200×100), il “Frutteto” del Vittoriale ( del 2024, olio su tela, cm 100×80), “Laghetto delle danze” (2024, olio su tela e cm.120×80), “Teatro 1” e “Teatro 2” (entrambi del 2024, olio su tela cm. 90×40). Privando le scene della figura umana, Reggio mette in risalto la bellezza sostanziale degli spazi e dei palazzi, trasformandoli in soggetti artistici senza tempo.
“Perché sto guardando proprio un giardino, anzi il Frutteto del Vittoriale degli Italiani,“creato e trasfigurato”, come tutto qui, dalla mente di d’Annunzio, a specchio dell’Eden perduto, e ora nuovamente filtrato attraverso gli occhi di un pittore italiano, Mauro Reggio – ha scritto nel catalogo Marco Di Capua -. Dunque, giardino rivisto tra le ciglia, verrebbe da dire, in una visione depurata che, di quell’assetto neorinascimentale sognato dal poeta, ora capti e celebri la chiara, luminosa spazialità, l’ordine degli elementi compositivi, il morbido pulsare dei colori e delle luci. C’è il silenzio. Certo, i quadri non parlano, non hanno voce, non fanno alcun rumore, ma alcuni di essi, tra i più rari, sono quel che il silenzio sarebbe se avesse una forma, se fosse una figura, o una scena”.
C’è un’atmosfera di inizio ‘900 in un quadro così.
“Si potrebbe dire lo stesso, e forse ancor di più, anche del Teatro – ha proseguito Di Capua -, col Garda visto sullo sfondo e sotto cieli innaturalmente rosa,arancioni, violacei, e del Laghetto delle danze, un dipinto dove ogni speranza di percepire o almeno di ricordare i suoni, i gesti e la musica che quel luogo animarono, è vanificata, dolcemente soffocata da una coltre di stesure piatte, ovattate, modulata da una diversificazione della messa a fuoco delle varie zone della rappresentazione – come simulando una sorta di post-produzione digitale – con le parti architettoniche e artificiali più nette e in risalto e quelle naturali sfocate, quasi che le stesse guardando un miope”.
Oltre ai dipinti sulla residenza del Vate, sono esposte anche alcune opere dedicate a Roma, città natale dell’artista, al centro di molti dei suoi capolavori.
“Non c’è un che di templare nel Vittoriale? Certo che sì – ha sottolineato Di Capua – . Gli studiosi delle antiche civiltà umane ci spiegano come, all’origine, non sia stata la città a generare l’esigenza e la costruzione di un tempio, ma esattamente il contrario: la fondazione di tutta una città scaturirebbe dunque da un’architettura enigmatica e solitaria. Allora qualcosa di simile accettiamo anche noi, rifacendo il percorso dei quadri di Mauro a ritroso: dal tempio del Vate andiamo a Roma”.
In mostra anche i dipinti “Pantheon” (2023, olio su tela, cm 120×80), “Colosseo quadrato” (2023, olio su tela, cm 130×100), e “Colosseo” (2023, olio su tela, cm 140×100).
Le sculture di Paolo Delle Monache: tra memoria e oblio
Allestita nel Parco del Vittoriale, la mostra “Paolo Delle Monache. Diario tra memoria e oblio”, a cura di Nicola Loi (Studio Copernico), con un testo critico di Marco Meneguzzo, si compone di cinque imponenti opere di bronzo. Utilizzando il Vittoriale degli Italiani come cornice ideale, l’esposizione indaga la natura frammentata della memoria e la sua capacità di evocare e reinterpretare i luoghi attraverso le sculture.
“Considero il titolo di una mia mostra un dialogo con chi osserva, una chiave di lettura con cui gettare un ponte con chi guarda – ha affermato Paolo Delle Monache, e aggiunge: “Non si può fare un applauso con una mano sola. Opera e spettatore sono le due mani”.
Il titolo della mostra di Paolo Delle Monache al Vittoriale degli italiani nasce accostando l’uno all’altro due titoli di sculture presenti in mostra: Diario (composto da una pagina quadrata di bronzo traforato, di tre metri per tre, in cui le parole sono architetture che si susseguono mute, con al centro una piccola presenza umana che riflette sul suo profondo legame con i luoghi che la circondano) e Tra memoria e oblio (un totem di tre volti verticali – uno che guarda indietro, uno avanti, uno sognante – metafora del tempo passato, presente e futuro). Accostare questi due titoli per derivarne un terzo è un modo per evocare il percorso in divenire di Paolo Delle Monache. Una ricerca basata sul frammento quale elemento narrativo, che in alcuni casi è frammento di corpo umano (volti, mani, arti), in altri frammento di luoghi (ovvero “sfoglie di architetture”). Entrambi sono due facce della stessa medaglia, ma con apparenze diverse. La mostra Diario tra memoria e oblio ha come obiettivo il comporre un dialogo armonico con uno spazio caratterizzato da un susseguirsi di camere delle meraviglie al chiuso e a cielo aperto.
Sottolinea l’autore:
“Un luogo colmo di bellezza in cui collocare alcune sculture che appaiano come lì da sempre. Presenze umili, silenziose, rivolte allo scandire del tempo come una meridiana. La possibilità di allestire uno spazio all’interno verrebbe tradotta in una invasione di volti di terracotta e di bronzo, ovvero nella creazione di una stanza di visi, colma di sogni, nostalgia, memoria e oblio”,
Le opere, realizzate in bronzo, “Diario” (2015, cm. 293x292x100), “Tra memoria e oblio” (2004, cm. 285x90x70), “Tempio” (2003, 7 elementi in misure ambiente, alte 320 cm), “Oblio” (2001, cm 100x204x140), ed “Elogio del vento” (2006, cm. 313x80x73), richiamano luoghi nostalgici e sensazioni malinconiche, permettendo ai visitatori di intraprendere un percorso attraverso i ricordi dello scultore.
Roma 30 Giugno 2024
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