di Carla GUIDI
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A Nomi, nel suggestivo GRANAIO cinquecentesco (Vallagarina) venerdì 21 febbraio 2025 si inaugurerà la mostra personale dell’artista-architetto MARISA ZATTINI “ALBERI – Oltre il visibile”, curata da Remo Forchini, allestimento Augusto Pompili – Durata della mostra dal 21 febbraio al 28 marzo 2025. Orario: dal venerdì al sabato 16.30 – 19.00 – INGRESSO: GRATUITO
Ideazione & Organizzazione: IL VICOLO Sezione Arte. Società di Servizi Culturali & Progetti Espositivi ~ Cesena. arte@ilvicolo.com – www.ilvicolo.com – tel. 0547 21386 – Catalogo: IL VICOLO Editore.
Per l’occasione è previsto l’intervento musicale del Maestro Daniele Brancaleoni (Forlì, 1965) docente ordinario del Conservatorio Statale di Musica “Gioacchino Rossini” di Pesaro, che eseguirà alcuni brani al violino.
Il progetto iniziale sugli alberi dal titolo “Alberi eretici-ermetici” è stata inaugurata nel 2018 all’Oratorio di San Sebastiano di Forlì. Una seconda esposizione con lo stesso titolo ha partecipato nel 2019 all’evento “Matera, capitale europea della cultura”. Nel 2022 invece con il titolo “Alberi, la foresta che è in noi” è stata ospitata all’Abbazia di Pomposa (Sala del Refettorio) in provincia di Ferrara; infine nel 2023 è stata esposta a Cesena nella Galleria Comunale.
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La presente mostra del 21 febbraio 2025, come detto sopra, sarà quindi ospitata in un antico granaio eretto a Nomi nella seconda metà del 1700, come rifacimento di un granaio preesistente del 1648. L’Amministrazione Comunale, una volta acquisita la proprietà, che ha provveduto al restauro con la maestria e la passione dell’architetto Srdic Ivancica, secondo le direttive della Soprintendenza ne ha ricavato la Casa della Comunità.
Come sottolinea RINALDO MAFFEI, Sindaco del Comune di Nomi:
Da deposito di grani a “Granaio dell’Anima”, come si usa ripetere. Qui, infatti, trovano degna cornice le espressioni artistiche e culturali che la Comunità di Nomi riesce ad esprimere e a proporre.
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Qui, si attivano le relazioni con il contesto esterno di cui tanto ha bisogno la nostra crescita personale e collettiva. Al primo piano vi campeggia la celebre frase del Presidente Sandro Pertini: «Si svuotino gli arsenali e si riempiano i granai».
Una vera occasione quindi per visitare a Nomi questa installazione che sottolinea ancora di più il vivo desiderio di entrare nelle energie segrete della Natura, una riscoperta di spiritualità, oltre il visibile appunto.
Ancora più interessante il sapere che tutto questo progetto è nato da un sogno archetipale dell’artista Marisa Zattini, un genere di sogni così definiti da Carl Gustav Jung che li ha descritti come
“forme o immagini di natura collettiva, che si ripresentano costantemente in ogni epoca e in ogni luogo”.
Gli archetipi quindi sono il frutto dell’esperienza millenaria dell’umanità e si manifestano nei miti, nelle religioni, nelle fiabe, nelle arti e nei sogni.
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Specificando che gli archetipi non sono concetti astratti, ma realtà viventi che agiscono nell’inconscio collettivo, non possiamo non aggiungere in questo caso, un riferimento all’Axis mundi, un termine della storia delle religioni con il quale si indica la nozione di asse dell’universo, presente in differenti religioni e mitologie, spesso identificato anche come albero “cosmico”.
Sappiamo anche da questi ed altri studi che tutti i simboli hanno una profonda ambivalenza, nel caso dell’albero cosmico esso può collegare i differenti regni celesti, terreni e inferi, ma al contempo sottolinearne la distanza, implicando proprio per questo, un particolare vissuto basato sulla necessità di una rottura dei differenti piani di esistenza per realizzare, rispetto a quella ordinaria, una differente esperienza del mondo. Non a caso sempre Jung affermava che il simbolo opera una continua integrazione tra conscio ed inconscio, nel processo da lui chiamato di Individuazione.
Il compito dell’arte e naturalmente dell’installazione itinerante di Marisa Zattini persegue questo obiettivoe questo discorso, invita a questa avventura partendo non da un albero, ma dalla sezione rappresentativa di una foresta combusta, come quella che ha sognato. Non c’è bisogno di ricordare per esempio, la “Selva oscura” dantesca e molte altre per esempio nelle fiabe, che implicano smarrimento ma anche il ritrovamento di indizi risolutivi. In questo caso questi alberi, riprodotti in vetroresina, rappresentano se stessi come linguaggio dell’umanità, la Natura modificata dall’uomo e ricreata attraverso il biblico alfabeto ebraico. Infatti come vere e proprie rappresentazione del corpo e dell’umana esistenza, sono segnati dal Logos, dal pensiero/parola diventando simbolo essi stessi.
Come rammenta Michela Fusaschi in “Corporalmente corretto: note di antropologia” (Meltemi Editore srl, 2008 – pag 19-20)
“La letteratura etnografica evidenzia, infatti, quanto il corpo sia in grado di produrre ininterrottamente senso e significato, consentendo di inserire l’individuo all’interno di un tempo e di uno spazio socio-culturale (…) Questa prospettiva, propriamente etno/antropologica, rompe in maniera definitiva con la visione ontologica che vede quest’ultimo come espressione naturale della persona per giungere a studiate il corpo come un luogo dove si giocano e mettono in scena i rapporti sociali”.
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Ogni installazione porta quindi con se significati molteplici, modificandosi in rapporto agli osservatori ma anche in rapporto al luogo che la ospita. Per esempio nell’Oratorio di San Sebastiano il recinto architettonico quattrocentesco raccoglieva il bosco combusto come in un abbraccio contenitivo, mentre a Matera, a Casa Cava, nel Sasso Barisano, era il ventre della terra ad entrare in relazione con questi Axis mundi, in una sorta di generazione ante litteram.
Nel Refettorio trecentesco di Pomposa la radura degli alberi combusti dialogava con i dipinti murari e le 22 lettere ebraiche ritrovavano come una via di verità anche oltre la vita.
Oggi, nel Granaio essenziale di Nomi, la potenza cruda dello spazio recupera il silenzio di queste creature, ridisegnate dal sogno e nella capacità dell’arte di riflettere sulla nostra vulnerabilità.
L’osservatore infatti, come scrive Giorgio Seveso, si trova davanti
«una foresta d’artificio magico marchiata dall’antico alfabeto della Kabbalah […], una selva di tronchi combusti che in sé mostrano di contenere antiche sapienze, misterici disvelamenti, significanze nascoste o appena accennate […] totem artificiosi, più veri del vero con il loro mostrarsi anche come emblemi, i tratti di una vera e propria gentile idealità, se non addirittura ideologia, del fare arte e del rappresentare».
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Il catalogo della mostra documenta l’installazione nello spazio espositivo e comprende i testi critici a corredo dell’evento – a firma del critico Giorgio Seveso, precedentemente citato – poi di Gianfranco Lauretano, Ludovica D’Alessandro, Chiara Settefonti, Andrea Pompili, due composizioni poetiche a firma di Nadia Scappini e Monica Guerra, le parole di Mauro Perani sull’alfabeto ebraico.
Anche Marisa Zattini, non solo creatrice di opere d’arte ma poeta raffinatissima, aggiunge un suo testo a questo catalogo, condensando citazioni e riflessioni, nel quale si abbandona al piacere della memoria, delle emozioni che si rinnovano,
(…) perché l’artista e il poeta stanno sul confine fra la veglia e il sonno. Quando passato e futuro si fanno simmetrici sull’asse del presente il tempo si ferma ed entrambi partecipano dell’eterno, dell’infinito e dell’Uno. Nella dilatazione del passato anche il quotidiano si fa memoria sì che ogni cosa diviene altro da sé. (…) «I mistici giocano, tremando, col cielo» scriveva Emil Mihai Cioran. C’è una solennità nell’idea di bosco, oltre la radura: una sorta di cominciamento. (…) La corteccia degli alberi è una superficie notturna, una scorza tenebrosa, umida e fredda che protegge infiniti universi. Corteccia fresca che non è più carne, non è più legno ma solo emblema separato dal suo cuore. Albero come simbolo, picco di estensione di bellezza. Albero come archetipo della pianta miracolosa, un mandala, un simbolo del Sé visto dall’alto, come ha scritto Carl Gustav Jung. Dove il Sé è un processo di crescita, per noi, eterni apprendisti.
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Il catalogo si conclude infine con un testo intitolato “La foresta che è in noi” scritto nel 2018 dal professor JANUS (Roberto Gianoglio, Torino 1927-2020) in occasione della prima presentazione pubblica dell’installazione Alberi. La riproposta di oggi vuole essere un omaggio di stima e preziosa amicizia che l’artista testimonia esserci stata tra loro, dal 1993 fino alla sua morte.
Non c’è tranquillità nell’arte come non c’è tranquillità nell’eterna trasmigrazione dei popoli, ma già il Secolo Ventesimo con le sue guerre e con le sue stragi è passato attraverso spaventose catastrofi che sicuramente hanno modificato il suo sistema di pensiero. Secondo un altro geniale matematico, russo di origine, Vladimir Igorevic Arnol’d (1937-2010): «Le catastrofi sono bruschi mutamenti che avvengono come reazione improvvisa di un sistema sottoposto a una reazione regolare delle condizioni esterne». È questo il destino che attende gli alberi di Marisa Zattini? Rileggere il passato e proporre al futuro una nuova metamorfosi, un nuovo teorema estetico. I suoi alberi, se crediamo alle lettere dell’alfabeto ebraico che li contraddistinguono, risalgono ad una più antica catastrofe che ha avuto inizio nei primi momenti della Creazione, quando anche la Genesi veniva composta, quando il Mondo è passato dal Nulla alla Realtà. Quali le conseguenze più evidenti? Non c’è alcun dubbio che dobbiamo trovare quella foresta nell’interno della nostra anima. Quello è il suo posto. La foresta che è in noi è la strada che da Platone a Freud l’uomo deve percorrere.
MARISA ZATTINI è nata a Forlì il 13 ottobre 1956. Artista, architetto e Art Director, ha realizzato mostre personali in spazi pubblici, a partire dal 1976, in Italia e all’estero (Svezia, Inghilterra, Germania e Grecia) e pubblicato cataloghi monografici, con alcune sue poesie. Fra le esposizioni personali più recenti si segnalano: nel 2024 IbridAzione, a cura di Simona Negrini, nella Galleria Contemporanea di Palazzo Ducale (Pavullo nel Frignano); nel Refettorio trecentesco dell’Abbazia di Pomposa espone ALBERI – Alle origini del mondo (2023) e ALBERI – La foresta che è in noi (2022), a cura di Serena Ciliani. Nel 2022 espone ALBERI – La prosa del mondo, per la cura di Carlo Franza, presso il Circolo del Ministero degli Affari Esteri (Roma). Nel 2021, a cura di p. Matteo Ferrari, vengono allestite nel Monastero di Camaldoli: HERMETICA – Metamorphosi fra Nigredo & Albedo (Antica Farmacia) e ALBERI – The Aleph Beth of Nature (Cappella dello Spirito Santo), quest’ultima poi trasferita, nel 2022, a Monteripido nel Convento di San Francesco del Monte, per la cura di p. Giulio Michelini. Nel 2020 ALBERI – eretici | ermetici è alla Galleria Comunale d’Arte di Cesena (Palazzo del Ridotto), parallelamente all’installazione ALBERI – The Aleph Beth of Nature allestita a Roma (Chiesa della Natività) e poi a Cesena (Chiesa di Santa Cristina). Del 2019 è ALCHEMICA – Trasmutazioni tra Arte e Natura, curata da Emanuela Fiori, allestita nella Antica Farmacia del Museo Nazionale di Ravenna. Il progetto ALBERI – eretici | ermetici viene allestito nel 2018 a Forlì (Oratorio di San Sebastiano), poi a Matera (Casa Cava), nel 2019, nel Sasso Barisano, in occasione di ‘Matera Capitale Europea della Cultura 2019’. Come curatore di mostre ha realizzato oltre 200 eventi in spazi pubblici, in Italia e all’estero: da Arnaldo Pomodoro a Gio’ Pomodoro, da Greco a Manzù, da Fabrizio Clerici a Mattia Moreni, solo per citarne alcuni. Fra questi ricordiamo che è in corso (fino al 16 marzo 2025) al MART di Rovereto la rassegna dedicata a Ilario Fioravanti, da lei curata, e tre mostre sul tema delle “Cosmografie & Alfabeti” dedicate agli artisti GIANLUCA BOSI, ROSETTA BERARDI E MAEDA KAMARI. Dal 1998 dirige la rivista “GRAPHIE”, trimestrale di arte e letteratura, cura le collane per IL VICOLO-Editore e firma la regia di numerosi filmati dedicati a poeti e artisti, per IL VICOLO – edizioni multimediali.
Carla GUIDI Roma 16 Febbraio 2025