di Francesco MONTUORI
Migranti sull’About
di M. Martini e F. Montuori
FRANCO ALBINI E IGNAZIO GARDELLA
Il RAZIONALISMO A MILANO
Prima parte – Gli anni ‘30 e ‘40
Il volume di Agnoldomenico Pica “Architettura moderna in Italia” edito nel 1941, l’opera all’epoca più autorevole per indicare le nuove tendenze della cultura architettonica italiana, si apre significativamente con un’immagine della proposta di Giovanni Muzio e Mario Sironi alla IV esposizione di Architettura e Arti Decorative di Monza nel 1930 (fig.1).
Giovanni Muzio, principale esponente milanese del Novecento, guidava allora il gruppo più attivo e apparentemente più spregiudicato, quello dei neoclassici lombardi, che polarizzava l’attività di artisti quali Ponti, De Finetti, Lancia.
La formazione degli architetti milanesi negli anni ‘30-40 risentirà profondamente delle ambiguità della cultura novecentista tuttavia mostra al suo interno anche profonde differenze e articolazioni. Così l’architettura moderna si potrà affermare alle Triennali milanesi, che, in quanto provvisorie, divengono le vetrine privilegiate degli architetti più giovani e intraprendenti.
Nel volume di Pica si rileva la ricchezza e la complessità delle ricerche degli architetti milanesi ed una chiara distinzione rispetto al clima culturale romano, egemonizzato da Piacentini e focalizzato sull’esperienza dell’E42. Si erano manifestate a Milano un ampio ventaglio di direttrici, un intreccio di posizioni intellettuali anche divergenti, ma che guardavano più avanti rispetto alle polemiche contro il vuoto monumentalismo accademico e le celebrazioni della romanità dell’architettura italiana.
Nel volume di Agnoldomenico Pica vengono presentate opere di Franco Albini – il Padiglione dell’INA alla Fiera di Milano del 1935, la Villa Pestarini del 1933 e il Quartiere Fabio Filzi del 1936 di Milano – e di Ignazio Gardella di cui viene ampiamente illustrato il Dispensario Antitubercolare di Alessandria del 1937.
Franco Albini ed Ignazio Gardella nascono entrambi nel 1905 e si laureano al Politecnico di Milano rispettivamente nel 1929 e nel 1928. Albini fu fervido allievo di Pagano, allora direttore di “Casabella”; presto entrò a far parte del gruppo degli architetti milanesi determinati a seguire le esperienze del razionalismo europeo. Stabilisce con Gardella un sodalizio che troverà origine nella comune matrice di quel Novecento su cui si fonda l’esperienza degli architetti milanesi della generazione di inizio secolo ma che presto aderirono al Movimento Moderno e si differenziarono chiaramente dal clima retorico e magniloquente della cultura del regime.
Noterà Giulio Carlo Argan:
“Contro il Novecento architettonico e la sua ottusa, odiosa rettorica …. si combatteva per ragioni morali, sociali, politiche, di cultura, di gusto, o soltanto per difendere la dignità della professione di architetto”.
Ignazio Gardella fu “artista del finito”. Orientato ad approfondire il rapporto fra il progetto ed opera costruita, il suo contributo consisterà nella volontà di superare la contraddizione fra cultura e professione, fra disegno e realizzazione dell’opera; per rendere concreto il disegno di architettura attraverso una specifica ed organizzata attività professionale.
Franco Albini non era interessato alla dimensione dell’edificio; nei suoi primi anni scrisse e costruì poco; prevalsero gli arredamenti e gli allestimenti per le Fiere e le Triennali milanesi. La sua attività si fondava sulla consapevolezza che anche in questo spazio limitato si poteva combattere per un’architettura moderna.
La sua adesione, meditata e critica ad una metodologia rigorosamente oggettiva, non intesa come semplice rispetto delle funzioni pur sempre da rispettare, ma aperta sul piano figurativo al confronto con la tradizione, era la strada giusta per un superamento dell’International Style. Realismo costruttivo, semplice ed innovativo, argine alle facili utopie e alle licenze fantasiose della moda, caratterizzeranno il suo lavoro.
Il rigoroso razionalismo del piano urbanistico per la zona Sempione-Fiera di Milano del 1938, denominato Milano Verde, (fig.2) che Albini e Gardella redissero con Giulio Minoletti e Giuseppe Pagano, così come il quartiere di viale Argonne, sempre a Milano, dello stesso Albini, con i soci del suo studio di architettura Renato Camus e Giancarlo Palanti, il Dispensario Antitubercolare di Alessandria realizzato da Gardella nel 1937, dimostrano quanto le esperienze degli architetti milanesi fossero inconciliabili con l’iniziativa piacentiniana dell’E42. Sottolineerà Pagano su Casabella presentando le prime opere di Albini:
”siamo estranei all’arte di stato e la osserviamo con evidente disagio e disperazione. Ci sentiamo irresponsabili e disinteressati”.
Albini e Gardella perseguono dunque una ricerca che diverge radicalmente dal clima monumentale e romaneggiante dell’Esposizione Universale Romana; partecipano tuttavia ai numerosi concorsi che furono banditi per la sua realizzazione ma i progetti redatti per il concorso per Palazzo della Civiltà Italiana (1937) e per il Palazzo dell’Acqua e della Luce (1939) non furono selezionati.
Nella soluzione proposta per il Palazzo della Civiltà Italiana (fig.3) i due architetti sperimentano il tema del telaio in cemento armato, tema che Gardella aveva già affrontato nel concorso del 1934 per una Torre belvedere in Piazza del Duomo di Milano, risolto con una scala percorso, all’interno di una struttura trilitica (fig.4). Il Palazzo dell’Acqua e della Luce (fig.5) è un semplice parallelepipedo volumetrico ma formato da piani e sollevato da terra con una copertura autonoma sorretta da una selva di pilastri. Un’enorme scultura di Lucio Fontana di umane forme dissolte contrasta i semplici piani della scatola volumetrica (fig.6).
Quasi tutti gli esponenti del razionalismo italiano ottennero per l’E42 un qualche incarico significativo; non casualmente Albini e Gardella furono incaricati di progettare un quartiere delle case albergo, ben distanti dal cuore dell’Esposizione, progetto peraltro mai realizzato.
Franco Albini si dedicò agli allestimenti. Ma non si perse d’animo e annoterà:
“ogni problema deve porsi sempre come un grande problema, anche se si riferisce a piccole modestissime cose”.
Tra raffinatezza qualitativa e prodotto industriale riproducibile, tra precisione meccanica per l’assemblaggio di elementi seriali e pratiche necessità di un prodotto flessibile e smontabile, Albini approfondirà tutte le possibilità di controllo per ogni singolo pezzo di arredo o di allestimento con lo stesso metodo che adotterà nella progettazione a grande scala. Il rapporto fra design e tecnologia si trasferisce dal disegno di un singolo oggetto in un’architettura tesa a sperimentare le più avanzate possibilità offerte dalle moderne tecniche costruttive.
Negli allestimenti Albini approfondisce il sistema costruttivo fondato su telai articolati nello spazio; la tessitura costruttiva a telaio articolato costituisce la principale caratteristica della composizione. Albini progetta griglie con telai orizzontali e verticali; disegna ritmi in profondità per inserirvi, al punto giusto, figure piane, oggetti, scritte. Rifugge dalla superficie continua ed astratta e dalla compiacenza dell’incastro fra volumi e strutture formali contrapposte; ricerca piani senza spessori, senza peso, trasparenti. Le linee che disegnano lo spazio verticalmente ed orizzontalmente sono i parametri di una profondità modulata. Rari sono i diaframmi che separano lo spazio in distinte zone prive di trasparenza: montanti filiformi, vetrine sospese, tiranti metallici, elementi che occupano lo spazio sono sospesi ad una trama filiforme. Piani verticali ed orizzontali, pavimenti trasparenti, elementi e materiali che garantiscono leggerezza, Albini costruisce la forma in ogni parte dello spazio, nelle sue varie articolazioni, negli incastri, nell’orditura di sospensioni e supporti. Il risultato è di una nitida chiarezza.
Nella Sala dell’aerodinamica, alla Triennale milanese del 1934, il ritmo sfuggente degli esili montanti metallici a sezione circolare, a due a due collegati da una griglia metallica trasparente, costituiscono il supporto per rare immagini e semplici didascalie e qualifica il senso prospettico dello spazio, ove sono esposti scheletri e frammenti di aerei (fig.7).
Il padiglione permanente per L’Istituto Nazionale di Assicurazioni del 1935 alla Fiera Campionaria di Milano è organizzato da piani vetrati orizzontali e verticali a cadenza ritmica che costruiscono una fuga di linee ortogonali smorzata dalle superfici vitree reticolate (fig.8).
Per la Mostra dell’oreficeria alla Triennale del ‘36 Albini caratterizza una grande sala dove l’incrocio di linee verticali e orizzontali dei telai ravvicinati ha un’esilità filiforme di strutture che hanno ridotto all’essenziale la loro sostanza materiale. Le lampade in fila serrata e orizzontale assumono anch’esse un valore plastico lineare. Esse limitano la zona bassa dei telai, dove gli oggetti esposti spiccano per la loro ricchezza e riempiono lo spazio di vibrazioni luminose (figg.9 e 10).
Nella Stanza per un uomo alla VI Triennale di Milano del 1936 l’ordine dello spazio è affidato ad un telaio sospeso al soffitto che definisce un ambiente modulare dove ogni singolo arredo, il tavolo di lavoro, la libreria, lo spogliatoio il letto vengono dislocati con la stessa precisione adottata per un’architettura a grande scala (fig.11).
Si dedicherà quindi con passione al design degli interni; progettò sedie, poltrone ed una famosa libreria, Il veliero. Prodotta in serie dal 1940 dalla ditta Cassina, la libreria esibisce una vela filiforme sorretta da semplici montanti lignei dagli appoggi puntiformi, con orizzontali piani trasparenti in vetro (fig.12). Andrà a ruba e la borghesia milanese la utilizzarono come un oggetto decorativo evitando con cura di riempirla di libri….
Quanto a Ignazio Gardella ebbe l’occasione di realizzare nel 1937 il Dispensario Antitubercolare di Alessandria, un tentativo chiaro e ben riuscito di distinguersi dallo Stile Internazionale.
L’edificio presenta due facciate completamente differenti come se l’autore volesse svolgere un teorema: il fronte nord (fig.13) è di impostazione chiaramente razionalista, una bianca facciata dove sono ritagliate finestre orizzontali;
al contrario il fronte sud (fig.14), articolato in tre parallelepipedi orizzontali sovrapposti, esibisce una ricchezza di materiali che respingono sullo sfondo le pareti intonacate.
Gli spazi della sala di attesa sono schermati da un’ampia parete in blocchetti di vetrocemento (fig.15), mentre il terrazzo per il solarium è isolato dal contesto grazie ad una pannellatura in elementi di cotto traforati. La luce e i materiali giocano un ruolo inaspettato: i materiali sono usati con sensibilità pittorica, il volume vibra di valori tonali che preannunciano un deciso rinnovamento rispetto al rigorismo planare razionalista.
A Franco Albini riconosciamo la dignità di una cultura che ha solide e dichiarate origini borghesi: di chi si presenta per quello che è, orgogliosamente sicuro del proprio isolamento. Questo suo isolamento, questa insistita severità, ricordano la capacità di credere nel privilegio della propria solitudine del suo amico Edoardo Persico.
Negli anni ’30 fino alla seconda guerra mondiale Franco Albini e Ignazio Gardella unirono le loro capacità per qualificare nel senso di un profondo realismo le loro architetture, rifacendosi alla realtà presente come risultante delle numerose componenti attuali e passate. Posero sul tappeto il tema della tradizione e della storia in architettura, valutarono l’esatto uso di ogni opera secondo i suoi caratteri specifici e tennero in conto delle esigenze imposte dalla natura dei luoghi e dell’ambiente culturale in cui le sorgevano le loro architetture; nei loro progetti mai la rigidezza di talune formulazioni funzionaliste prevarrà sulla forma complessiva dell’opera finita.
Scriverà Albini sulle pagine di “Casabella”
“La nostra tradizione non esiste bella e fatta fuori di noi: esiste quando collettivamente riconosciamo in certi modi di costruire, in certe forme del passato e del presente gli elementi della nostra tradizione, del nostro presente”
Albini fu il poeta della tradizione del nuovo. Fino agli anni ’80 del secolo scorso il tema della tradizione e della storia rimarrà centrale per i migliori architetti del dopoguerra, la contraddizione irrisolta più evidente dell’architettura moderna italiana.
Francesco MONTUORI Roma 22 novembre 2020