di Francesco MONTUORI
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M.Martini e F. Montuori
La tradizione moderna
Il Teatro del Mondo
Aldo Rossi. L’architetto e la città
Dopo la mostra dedicata all’opera multiforme di Giò Ponti, l’architetto Aldo Rossi è il protagonista di una nuova grande retrospettiva al Maxxi di Roma. L’esposizione ampia ed articolata analizza lo straordinario contributo teorico e pratico di un’ architetto interprete di una storia complessa e controversa, di una personalità irriducibile alle correnti dell’architettura razionalista..
Sono in mostra materiali grafici e fotografici, quaderni e carteggi provenienti dall’archivio del Maxxi architettura e da collezioni di tutto il mondo: disegni, progetti, modelli di un architetto che, per la sua opera ha ottenuto nel 1990 il riconoscimento del premio Prilzker Prise, il primo attribuito ad un progettista italiano (fig.1)
Gli studi sul teatro italiano saranno un tema che Aldo Rossi affronterà ripetutamente nella sua carriera: lavorerà per il Teatro Carlo Felice di Genova, il Teatro La Fenice di Venezia ed il Teatro del Mondo di cui fu incaricato dalla Biennale veneziana del 1980.
Racconta Paolo Portoghesi:
“Arrivato a Venezia per dirigere il neonato settore di architettura della Biennale del 1980, pensai subito a Rossi per affidargli la “ricostruzione” di un Teatro del Mondo, di uno di quei palcoscenici flottanti che i veneziani costruivano in tempo di festa.”
Rossi non seguì alla lettera i suggerimenti di Portoghesi, impegnato ad allestire alle corderie dell’Arsenale l’evento della Via Novissima, ma costruì un vero e proprio teatro galleggiante chiuso come una fortezza e alto come un faro delle coste americane, un teatro che aveva la finalità di rievocare la tradizione cinquecentesca degli spettacolari apparati galleggianti veneziani (fig.2)
Ancor prima che gli venisse consegnata la documentazione sui prototipi già realizzati del Rusconi e dello Scamozzi, Aldo Rossi aveva già fatto le sue scelte: la soluzione sarà una torre ed insieme un teatro, luogo racchiuso e galleggiante che dovrà confrontarsi con le architetture monumentali del bacino di San Marco, anzi ne farà organicamente parte, arricchendo il paesaggio lagunare (fig.3).
Grazie alla sapienza degli artigiani veneti e soprattutto dell’abilità straordinaria dei collaboratori dell’architetto milanese che ottennero tutte le innumerevoli autorizzazioni necessarie, il Teatro del Mondo di Aldo Rossi, un vero e proprio teatro galleggiante alto più di venti metri e capace di ospitare centinaia di spettatori, “entrò in scena” nell’inviolabile bacino di San Marco (fig.4)
Non lo dimentica Paolo Portoghesi:
”Quando voglio accarezzare un bel ricordo della mia vita penso a quella mattina nebbiosa in cui ci recammo a Fusina, nel cantiere dove era stato costruito, per varare il “Teatro del Mondo” e portarlo a punta della Dogana dove rimase per quasi un anno, tra lo stupore divertito dei veneziani.”
Il teatro galleggiante era stato pensato in origine in carpenteria lignea in modo da permettere facilmente lo smontaggio ed il rimontaggio del manufatto, secondo la nobile tradizione veneziana dei padiglioni che venivano rimontati ogni anno per la fiera della “Sensa”, il giorno dell’Ascensione, quando si celebrava lo storico sposalizio di Venezia con il mare (fig.5).
Fu per necessità di tempo realizzata una struttura mista, lignea e metallica, una struttura portante di tubi di acciaio rivestita da tavolato di legno; raggiungeva un’altezza complessiva di venticinque metri. Il corpo principale era costituito da un parallelepipedo a base quadrata di circa nove metri e cinquanta di lato per un altezza di unici metri. Sulla sommità un tamburo ottagonale sosteneva una copertura a falde di zinco (fig.6).
All’interno il palcoscenico era situato al centro del volume e il pubblico prendeva posto ai lati o nelle gallerie al piano superiore. Il Teatro del Mondo poteva accogliere fino a 400 spettatori di cui 260 seduti (fig.7).
Ricorderà in seguito Aldo Rossi. “Nel Teatro del Mondo” o teatro veneziano costruivo una macchina usando dei materiali di cui disponevo; e vedevo come materiali erano l’acqua e la barca, il ferro e il legno, e tutto ciò che essi potevano in qualche modo aggiungere alla città. Le opere e i progetti sono quindi elementi, frammenti di un disegno generale, di una lunga ricerca o storia delle cose e delle illuminazioni che si accompagnano a tutto questo”.
Il Teatro del Mondo ha dimostrato la straordinaria capacità di Aldo Rossi di evocare sia la millenaria storia della città lagunare che la precarietà delle costruzioni lignee che uscivano dall’Arsenale veneziano.
Non semplicemente la vocazione dei luoghi in cui “ambientare” i propri progetti bensì un pensiero “analogico” e fantastico basato su un costante ripensare ai luoghi ed ai materiali del passato; il pensiero analogico è arcaico, inconscio e praticamente inesprimibile a parole: ciò permise a Rossi di caricare le sue immagini architettoniche di riferimenti inconsci della memoria.
Nel capriccio immaginario del 1742 il Canaletto gioca con la topografia veneziana, sostituendo all’attuale Ponte di Rialto un immaginaria costruzione basata sui progetti di Andrea Palladio realizzati o rimasti allo stadio progettuale. Il ponte palladiano è affiancato a sinistra dal palazzo Chiericati e a destra dalle Logge del Palazzo della Ragione di Vicenza, la cosidetta Basilica. Il pittore elabora così un’ardita ricontestualizzazione, grazie ad una sorta di montaggio di elementi architettonici che ripropongono una Venezia analoga la cui struttura urbana è organizzata da architetture reali, legate alla storia della città (fig.8).
E’ una città che riconosciamo, pur conformandosi come luogo di puri valori architettonici; un collage di architetture palladiane che definiscono una città nuova ma analoga a quella in cui si inseriscono.
La Venezia analogica è reale e necessaria: ci fa percepire un metodo progettuale che conduce Aldo Rossi ben distante dalla concezione della storia del lessico razionalista del Movimento Moderno in architettura. La città analoga di Aldo Rossi è composta dai frammenti delle sue numerose opere – il Quartiere Gallaratese, il cimitero di San Cataldo a Modena, il Teatro del Mondo nel bacino di San Marco -; frammenti urbani fra loro connessi in una città immaginata, composta da forme, archetipi, affioranti nella memoria di cui Rossi interpreta in modo creativo le virtualità architettoniche (fig.9).
Presentata come tavola grafica, più volte annunciata come volume, evocata in scritti e progetti, la Città Analoga rappresentò il tentativo di andare oltre l’architettura della città nello studio dell’organismo urbano, concentrato di ragioni storiche, economiche, formali e individuali (fig.10)
Alla semplicità dei frammenti Aldo Rossi contrappone l’imprevedibilità e la complessità delle loro connessioni che avvengono per tangenza e compenetrazione in contrasto con il comporre classico:
“l’’architettura consiste di un raffronto con la città. Credo che senza una comprensione e un interesse dei problemi urbani non sia possibile la formazione dell’architettura.”
Il Teatro del Mondo fu inaugurato con l’Aleph di Borges nel 1979. “L’esordio imprevedibile teatrale diede modo di constatare la grande forza comunicativa dell’architettura rossiana”
ricordò Paolo Portoghesi in una riflessione dopo ormai più di quarant’anni (1). Arrivò un consenso quasi unanime, insieme ad un divertito stupore di cittadini e turisti per quell’apparizione paragonabile a un sogno.
Era lì, il Teatro, per quanti percorrevano la Riva degli Schiavoni, per chi sostava davanti al bacino di San Marco, davanti a Santa Maria della Salute (fig.11).
Sullo sfondo San Giorgio, il Redentore, la chiesa delle Zitelle.
Francesco MONTUORI Roma 13 giugno 2021
NOTE
(1) Paolo Portoghesi, Aldo Rossi. Il Teatro e la città. Sagep Editori s.r.l. aprile 2021