di Massimo FRANCUCCI
È un momento lungamente atteso e cruciale per un museo tra i più prestigiosi di Roma,
quello che vede finalmente le collezioni delle Gallerie Nazionali di Roma avvantaggiarsi della restituzione dell’ala sud del piano nobile di Palazzo Barberini, operata non più di tre anni fa dal Ministero della Difesa per donare un respiro più ampio alle collezioni, ricche e prestigiose. Nelle dieci sale riacquisite al pubblico e riallestite per l’occasione, ha infatti potuto trovare spazio, ed era davvero ora, una parte della rilevante raccolta dedicata al Settecento romano, risarcendo una lacuna importante, dato che, fino a poco tempo fa, essa se ne restava relegata al piano superiore con una fruibilità perlomeno complicata, a singhiozzo. In quegli ambienti si prevede al contrario un “museo laboratorio”, che con diversi allestimenti tematici andrà a solleticare l’interesse di un pubblico sempre più diverso ed eterogeneo.
Alla luce di tutte queste novità, al piano nobile si è finalmente potuto dare al susseguirsi dei capolavori un filo espositivo più coerente e scenografico che si avvarrà presto anche del restyling delle sale del caravaggeschi, previsto nei prossimi mesi. Si accederà agli ambienti che contemplano la fantastica volta del Cortona tramite lo splendido scalone del Bernini e si uscirà percorrendo la bellissima rampa elicoidale progettata da Francesco Borromini e dunque restituita alla fruizione del visitatore.
Il nuovo allestimento si avvale anche di una rinnovata illuminazione
che, a volte a fatica, coesiste con quella naturale, con i raggi del sole schermati da pellicole protettive applicate alle finestre e attenuati dalle tende che, allorquando aperte, possono restituire al palazzo il suo rapporto con il paesaggio urbano circostante, sebbene così diverso da quello seicentesco.
In queste sale il museo sarà più che mai vivo, con alcune opere esposte a rotazione,
con rinnovamenti circa ogni sei mesi, per il qual motivo si è previsto di affiancare un supporto didascalico più specifico sulle opere a pannelli introduttivi di carattere generale. È ciò che accade d’altronde in tutti i più importanti musei che possono contare su collezioni ricche e depositi importanti valorizzando di volta in volta esemplari altrimenti destinari ad essere apprezzati solo dagli specialisti. Apprezzabile poi la scelta di non affastellare troppo i dipinti, evitando quel sovraffollamento quanto mai nocivo alla fruizione e che può avere ragione di essere solo se il risultato di una ricostruzione filologica di una collezione sei o settecentesca, epoca in cui sulle pareti si perseguiva un horror vacui che caratterizza la sala dedicata alla splendida donazione Lemme, che ha finalmente trovato una collocazione degna e una fruibilità stabile, a risarcire il lungo periodo di quasi oblio.
Una situazione quanto mai singolare poiché la possibilità di esporre ben 21 modelli di presentazione, ossia i bozzetti mostrati al committente prima di eseguire l’opera compiuta, acutamente raccolti nel corso degli anni dalla sensibilità collezionistica che l’avvocato Lemme ha sempre mostrato, in particolare verso questo tipo di opere, sarebbe allettante per qualsiasi museo. Un unicum è la possibilità di esporre nella sua completezza la serie di bozzetti preliminari alla decorazione settecentesca della Basilica di San Clemente all’epoca dell’eponimo pontefice Albani. Trevisani, Conca, Pierleone Ghezzie Domenico Corvi figurano tra i nomi più altisonanti, e ci preme segnalare, a dar conto della ricchezza della collezione, il modello per la Morte di San Giuseppe a Sant’Ignazio a Roma, del primo, il Sacrificio di Isacco e l’Abbandono di Mosè sulla riva del Nilo dell’ultimo, in cui si riscontrano gli interessi per la pittura carraccesca e per il Raffaello delle ‘Stanze’ che connotano le pale d’altare in San Marcello al Corso.
La sala del trono, dalle dimensioni notevoli, ospita come già nel Seicento alcune grandi tele con copie
dalla Battaglia di Ponte Milvio delle ‘Stanze’, e da due dipinti di Romanelli inviati in Inghilterra e per volere del cardinale Francesco Barberini rimpiazzati dalle riproduzioni di Giuseppe Belloni. Sbirciando fuori dalla finestra si vedrà che il palazzo è collegato al giardino dal cosiddetto ponte ruinante, diroccato, così concepito con spirito singolarmente preromantico da Gian Lorenzo Bernini, e che forniva un collegamento eccentrico con gli ambienti circondanti.
Il trait d’union con le sale più schiettamente secentesche è fornito da una scenografica giustapposizione di Cagnacci, Furini e Lanfranco tutti al contempo connotati da una composizione in qualche modo teatrale e particolarmente suadenti nella sensualità delle protagoniste, sia che si tratti della Maddalena reclinata e a seno scoperto, della Giuditta che ha giustiziato Oloferne vittima del suo fascino, o della Suonatrice d’arpa che indossa delle scarpette che ricordano da vicino i calcagnini reali e non dipinti, che le sono esposti a fianco.
Il dovuto risalto è dato poi alla pittura napoletana, in cui il crudo naturalismo di Ribera, Giordano e Van Somer fa da contraltare alla pittura più ammiccante e sensuale di Solimena e, soprattutto, di Cavallino, di cui si ammira il Commiato di San Paolo e San Pietro. Segue la sala di Mattia Preti, al quale, assieme al fratello Gregorio, è dedicata una mostra qualche stanza più in là e che può ospitare un commovente Compianto di Massimo Stanzione.
Un’impresa barberiniana rientrata nelle collezioni grazie ad una acquisizione relativamente recente è la serie di apostoli iniziata da Andrea Sacchi e proseguita dal suo allievo il grande Maratta, del quale si espongono il San Giovanni Evangelista e il San Paolo. Nella stessa sala non devono passare inosservati i bozzetti di Francesco Trevisani per i mosaici della cupola della cappella del battesimo della basilica di San Pietro, in cui il carattere ecumenico di Santa Romana Chiesa viene espresso dalla presenza dei quattro continenti allora conosciuti, mentre, anche per le dimensioni importanti, non sarà facile trascurare alcuni dei più significativi Benefial, tra i quali il famoso Ritratto della Famiglia Quarantotti, del 1756.
Un ruolo decisivo nella Roma del Gran Tour, si sa, va riconosciuto a Pompeo Batoni, il grande ritrattista della Roma del Settecento, del quale in anni recenti è stato acquistato dallo stato il Ritratto di Abbondio Rezzonico, del 1765, raffigurato con un bel vestito rosso e con tutti gli attributi propri di un senatore di Roma quale il nipote di Clemente XIII era divenuto nel 1776. Nella stessa sala è l’iconico Nudo di schiena di Pierre Subleyras, che con la sua sensualità fuori dagli schemi dell’epoca, è stato giustamente scelto come immagine copertina del nuovo allestimento.
Non manca nessuno dei protagonisti della veduta, tra Venezia e Roma, da Canaletto a Van Wittel con la gradita presenza di un meraviglioso Capriccio di Pannini, esposto grazie all’intelligenza di un illuminato collezionista privato, nelle sale dedicate a questo importante genere pittorico. Nell’ultima sala non può essere dimenticato il Giove e Ganimede che con malizia Mengs aveva dipinto per incontrare i gusto dell’amico Winckelmann, condotto all’inganno fino al punto di pubblicare l’affresco come originale antico e che ci ricorda di fare sempre attenzione, poiché anche i più grandi possono sbagliare.
Massimo FRANCUCCI Roma aprile 2019