redazione
Il Ponte prosegue la stagione espositiva con la personale dedicata a Guy Massaux, artista belga di cui viene esposto un nucleo selezionato di opere dal 1987 al 1999. Nel 2024 la galleria Secci a Milano presenterà dell’artista una serie di lavori dal 2004 al 2013.
Il percorso della mostra si snoda attraverso disegni a carboncino di grande formato (1987), collage inchiostro di china e acrilico (1989), grandi carte su tela (1994), disegni su lucido (1995-1997), cassette-oggetti-quadri in alluminio e vernice colorata (1999).
Dopo le opere del 1987, come scrive Stephen Melville (1998),
“sembra naturale collocare l’opera di Guy Massaux – nei materiali, nelle procedure, nella sistematicità e nell’aspetto generale – da qualche parte nell’orbita di un minimalismo che si muove verso il concettuale in modo simile a quello di Sol Lewitt, per esempio. Ma forse la parte più interessante di questo confronto è quella meno visibile, e risiede nel comune orientamento di entrambi gli artisti verso il disegno. In effetti, Massaux è stato per tutta la sua carriera estremamente coinvolto nel programma di disegno altamente teorico della Scuola di Belle Arti di Bruxelles (…) con preoccupazioni – che hanno animato questo programma – come dimostra l’opera stessa, fortemente formali, ma si collocano in un contesto significativamente diverso da quello associato al formalismo americano. In particolare, questa linea di lavoro – che, in una lettura ampia, comprende i primi lavori di Buren, Mosset, Parmentier e Toroni, quelli del gruppo effimero Supports-Surfaces, la pittura di François Rouan, Martin Barre e, più recentemente, Christian Bonnefoi – include la pittura (e, implicitamente, il disegno) come un’esplorazione sostenuta delle sue condizioni pienamente materiali. In quanto tale, non è particolarmente motivata da un orientamento verso il “puramente visivo” o “ottico”, ed è invece molto aperta all’idea che la scultura possa far parte delle capacità materiali della pittura, e che il riconoscimento di queste capacità non implichi necessariamente un allontanamento dalla pittura”.
Guy Massaux Vive e lavora a Bruxelles e Volterra.
Tra le principali esposizioni personali e collettive si annoverano: 1998, Jan Maiden Fine Art Gallery, Columbus, Ohio (USA); Groundwall, Galerie Jamar, Anversa; 1997, Who loves Brussels, encore…Brussels, Bruxelles; 1995, realizzazione video Vent 17 min.; realizzazione Bande sonore Degange A/Massaux G.; partecipazione al film 304 cm x 308 cm, realizzazione Bernard Bloch. Film Art/Essai, Centre Pompidou Beaubourg, Parigi (24 min); realizzazione video Coupures, Bandes, Empreintes, Galerie Janssen, Bruxelles; 1994, Galerie Rodolphe Janssen, Bruxelles; Sessioni di workshop, costruzioni “Où l’écriture articule l’espace aux temps de la parole et du regard” (“Dove la scrittura articola lo spazio ai tempi della parola e dello sguardo”) su una poesia di Luc Richir, Bruxelles; 1993, Accademia di Belle Arti di Tolosa, Francia; Galerie Rodolphe Janssen, Bruxelles; 1992, Galerie Patrick De Brock, Anversa; Galerie Rodolphe Janssen, Bruxelles; 1991, Ouvrons les ateliers, Atelier Ste-Anne, Bruxelles; 1990, Le Dessin, Fondazione per l’arte contemporanea, Bruxelles; 1989, Galerie d’Art Actuel, Liegi.
Guy Massaux è anche presidente dell’Archivio Michel Parmentier, con cui ha lavorato fianco a fianco dal 1991 al 2000, e ha recentemente curato le mostre dedicate a Parmentier nella galleria Il Ponte di Firenze (2022) e di Secci a Milano (2023).
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“A prima vista, sembra naturale collocare l’opera di Guy Massaux – nei materiali, nelle procedure, nella sistematicità e nell’aspetto generale – da qualche parte nell’orbita di un minimalismo che si muove verso il concettuale in modo simile a quello di Sol Lewitt, per esempio. Ma forse la parte più interessante di questo confronto è quella meno visibile, e risiede nel comune orientamento di entrambi gli artisti verso il disegno.
In effetti, Massaux è stato per tutta la sua carriera estremamente coinvolto nel programma di disegno altamente teorico della Scuola di Belle Arti di Bruxelles, e il suo lavoro è meglio visto alla luce delle preoccupazioni che hanno animato questo programma e che sono esse stesse il risultato di una serie sostenuta di sviluppi nella pittura francese dalla fine degli anni Sessanta a oggi. Queste preoccupazioni sono, come dimostra l’opera stessa, fortemente formali, ma si collocano in un contesto significativamente diverso da quello associato al formalismo americano. In particolare, questa linea di lavoro – che, in una lettura ampia, comprende i primi lavori di Buren, Mosset, Parmentier e Toroni, quelli del gruppo effimero Supports-Surfaces, la pittura di François Rouan, Martin Barre e, più recentemente, Christian Bonnefoi – include la pittura (e, implicitamente, il disegno) come un’esplorazione sostenuta delle sue condizioni pienamente materiali. In quanto tale, non è particolarmente motivata da un orientamento verso il “puramente visivo” o “ottico”, ed è invece molto aperta all’idea che la scultura possa far parte delle capacità materiali della pittura, e che il riconoscimento di queste capacità non implichi necessariamente un allontanamento dalla pittura. In vario modo, la maggior parte degli artisti che ho citato si sono impegnati in un’esplorazione della pittura come qualcosa la cui specificità formale e materiale la coinvolge necessariamente con le altre arti tra le quali deve trovare il suo posto.
Massaux è quindi interessato a esplorare la linea come taglio o piega in un campo e la dipendenza di queste due operazioni l’una dall’altra per definire le possibilità del disegno. Tutto il suo lavoro inizia con un taglio che apre la possibilità dei movimenti successivi che costituiranno il disegno finito. Questo taglio, unendo le due facce del mylar traslucido con cui lavora, permette quello che Massaux chiama un piano propriamente pittorico, aprendo il suo supporto materiale. Le prime pieghe che Massaux esegue intorno a questo ritaglio mettono in gioco pittoricamente il supporto materiale, ora reversibile, rivelando il rovescio della decorazione, nascondendo elementi della superficie retrostante, ecc. Una seconda serie di pieghe chiude questa serie di giunzioni su se stessa, chiudendo il disegno alla vista e trasformandolo in un oggetto quasi scultoreo che viene poi uniformemente pigmentato con uno spray di vernice grigia opaca.
Questa stessa operazione comporta una seconda perforazione della superficie materiale, questa volta da parte delle graffette che la tengono chiusa. Le tracce di questa operazione diventeranno esse stesse parte dell’opera finale. Finalmente dispiegato, con il pigmento ormai ridistribuito dal lavoro interno del taglio e delle sue pieghe, il disegno prende posto su una parete a sua volta determinata dalle pieghe che forma con il pavimento e le pareti adiacenti. Il risultato può essere descritto come un corpo sistematico di disegni che deriva e dipende interamente dalle condizioni materiali della sua creazione e della sua esposizione, che può riconoscere il proprio status quasi scultoreo e quasi architettonico di oggetto in un mondo e che contiene in sé una registrazione trasparente della propria temporalità, che viene poi segnata e scalata dal punzone Perfoset che la data”.
Stephen Melville (1998)
Roma 26 Marzo 2023