di Claudio LISTANTI
L’Istituzione Universitaria dei Concerti di Roma (IUC) ha inserito nel programma concertistico di questa stagione il ciclo Absolute Schönberg, una iniziativa volta a rendere omaggio ad Arnold Schönberg per i settanta anni dalla sua scomparsa dei musicisti più importanti di tutto il ‘900. L’iniziativa, che prevedeva l’esecuzione integrale dei Quartetti per archi del musicista austriaco, affidata al Gringolts Quartet formazione tra le più in vista di oggi, è risultata nel suo insieme valida e, soprattutto, opportuna, perché ha consentito di portare all’attenzione del pubblico le musiche di uno dei compositori più significativi della prima metà del ‘900, un periodo nel quale ha rivestito un ruolo di grande innovatore che, oggi, è forse poco conosciuto da buon parte del pubblico.
Il nome di Arnold Schönberg nell’ambito della storia della musica è associato a quello della ricerca di una nuova via che potesse essere percorsa per superare il tradizionale modo di intendere la musica che aveva nella ‘tonalità’ l’elemento basilare sul quale, per molti secoli, sono stati costruiti i grandi capolavori che hanno costellato la Storia della Musica. Con l’inizio del ‘900 questa modalità di composizione iniziava a mostrare qualche segno di stanchezza con la conseguente necessità di una sorta di rivoluzione che ne sovvertisse il dominio.
Schönberg individuò un metodo nuovo che consentì di superare la ‘tonalità’, vale a dire la musica costruita su una unica nota che ne costituisce il ‘centro tonale’, più semplicemente la ‘tonica’ che, del brano, risulta essere il ‘centro gravitazionale’. Tale tecnica, inoltre, prevedeva il rispetto di diverse regole che permettevano a questa base di imporsi per rafforzarne la valenza. Il metodo di Schönberg sovvertiva questo elaborato sistema per superare il citato ‘centro gravitazionale’ tramite un diverso principio costruttivo basato sulla successione delle 12 note della scala cromatica. Nascono così le ‘serie’ e, conseguentemente la cosiddetta ‘serialità’ o ‘musica seriale’, nella quale una nota compare solo una volta impedendo ad ognuna delle 12 di avere predominanza sulle altre; tutto ciò sfocia nella ‘dodecafonia’ che è il punto di arrivo di questa nuova teoria. Arnold Schönberg arrivò per gradi a questo nuovo ordine di carattere musicale.
Nato nel 1874 la sua personalità di musicista fu influenzata dai capolavori di Wagner e Brahms ai quali si aggiunse poi Mahler; tali ispirazioni influenzarono la formazione della sua poetica musicale che con il passare degli anni poneva in essere un continuo ed evidente tentativo di abbandonare i confini della tonalità per arrivare ad un completo distacco da essa. È del 1912 la sua opera più famosa e rappresentativa, il Pierrot Lunaire op. 21, composizione ispirata ai versi simbolisti del francese Albert Giraud musicati nella traduzione tedesca di Otto Erich Hartleben. Prevede l’utilizzo di una voce femminile a proposito della quale utilizzò una nuova vocalità, lo Sprechgesang, una sorta di ‘canto parlato’ che costituisce un’altra peculiarità del suo stile, che scaturisce dalla fusione di suono parlato con il suono cantato. Accanto alla ‘voce recitante’ un ristretto numero di strumenti: flauto, clarinetto, violino violoncello e pianoforte. Andato in scena per la prima volta a Berlino il 16 ottobre del 1921 fu una di quelle serate che segnarono una specie di spartiacque tra vecchio e nuovo, tra tradizione e futuro, che scosse gli animi dei componenti del mondo musicale del tempo.
La figura artistica di Schönberg è anche importante perché capostipite di quella che è conosciuta come la Scuola Musicale di Vienna ed ebbe come suoi allievi, e principali esponenti, Alban Berg e Anton Webern, nella quale a Schönberg fu riconosciuto il ruolo di teorico mentre gli altri due musicisti sono considerati, in un certo senso, i realizzatori. Entrambi hanno seguito Schoenberg nel cromatismo totale ma ciascuno, a suo modo, con Berg che alla atonalità avvicinò caratteri propri dell’espressionismo mentre Webern applicò questa ‘dottrina‘ dodecafonica in modo molto più radicale.
Questo stato di fatto ha contribuito a rendere la musica Arnold Schönberg poco eseguita nelle sale da concerto ad esclusivo vantaggio di Webern e, soprattutto, di Berg che è il musicista più eseguito e, quindi, conosciuto.
L’Istituzione Universitaria dei Concerti di Roma con il progetto Absolute Schönberg ha consentito agli appassionati di ‘recuperare’ un po’ il rapporto d’ascolto con il musicista austriaco utilizzando come mezzo determinante l’esecuzione dei quattro quartetti d’archi, considerati in maniera unanime tra le composizioni più significative di Schönberg, non solo perché è la forma musicale che più di tutte riesce a mettere in evidenza le qualità compositive di un autore ma, anche, per il fatto che questo gruppo di composizioni può essere valido, e determinante, punto di osservazione per comprendere l’evoluzione stilistica del musicista.
Come già detto Schönberg compose quattro quartetti d’archi anche se è giusto ricordare che, a 23 anni nel 1897, scrisse un Quartetto in re maggiore, opera giovanile pubblicata postuma, nella quale sono presenti derivazioni da Brahms e Dvorak che evidenziano caratteristiche tardo romantiche. È la terza composizione del musicista austriaco, la prima eseguita in pubblico, che la critica giudica una sorta di prototipo per questo genere in quanto riassume in maniera organica molti schizzi e studi prodotti, in quegli anni, dall’attività di ricerca di Schönberg.
A parte questo aspetto gli altri sono il Quartetto per archi n. 1 in re minore op. 7 composto nel 1905, il Quartetto n. 2 in fa diesis minore op. 10 per soprano e quartetto d’archi composto nel periodo 1907-1908, il Quartetto per archi n. 3 op. 30 composto nel 1925 e il Quartetto per archi n. 4 op. 37 composto nel 1936.
Le date di composizione ci fanno capire con facilità che le opere rispecchiano vari momenti della produzione musicale di Arnold Schönberg. I primi due possono essere considerati l’eredità dell’ultimo ‘800 strumentale con la presenza della tonalità di impianto che ci dice che siamo nell’ambito della musica tonale anche se, come poi vedremo, all’ascolto si può evincere una certa insofferenza da parte dell’autore ad essere costretto nei canoni della tonalità delle quali, spesso, se ne percepisce il chiaro desiderio di superarne i confini.
Con il Quartetto op. 7 Schönberg ci presenta una composizione che evidenzia una fusione della forma sonata in un unico movimento del tutto organico e può essere considerata la continuazione del Beethoven degli ultimi quartetti d’archi, dei quali ne riprende il solco già tracciato, abbinando al desiderio beethoveniano di trovare una nuova via, la sua stessa ricerca di una forma e uno stile che guardasse al futuro.
Con il Quartetto n. 2 in fa diesis minore op. 10 l’abbandono progressivo della tonalità si fa sempre molto più evidente ed in più presenta un elemento di carattere sperimentale con l’intervento del soprano negli ultimi due movimenti, una parte vocale scritta su testi del poeta tedesco Stefan George dall’evidente stile liederistico nella quale si scorge un richiamo all’espressionismo di carattere mahleriano. Come afferma il musicologo Luigi Rognoni nella sua illuminante, seppur datata per certi versi, ma completa e importante pubblicazione ‘La scuola musicale di Vienna’, in questo quartetto “… la sospensione tonale è già in atto” e quindi è da considerarsi tappa fondamentale per l’evoluzione della poetica musicale schönberghiana.
Tra il secondo e il terzo passano circa diciotto anni, un cospicuo tempo per la maturazione compositiva del musicista. In questo brano, certamente atonale, in esso rimane, però, sempre evidente un accattivante senso della melodia che riesce a trasfondere nello sviluppo dell’intero brano. Nel Quartetto per archi n. 3 op. 30, quindi, Schönberg riprende contatto con questa forma musicale che realizza in quattro movimenti tenendo sempre presente la struttura della forma sonata ma, all’esposizione dei temi, corrispondono sempre sviluppi piuttosto complessi che rendono irriconoscibile l’originale. Ciò avviene con i frammenti melodici del Moderato iniziale e del magistrale Adagio successivo con un tema piuttosto vasto e articolato che si si sviluppa poi in tre variazioni dove ritmi e timbri sono elementi basilari di una intensa quanto straordinaria fusione. Assieme agli altri due movimenti, Intermezzo e Rondò finale che ne sanciscono una felice omogeneità espressiva fanno di questo quartetto, forse, il più incisivo dei quattro.
Per arrivare al quarto passano altri undici anni; la follia nazista costrinse Schönberg a trasferirsi negli Stati Uniti e, a Los Angeles, su commissione della pianista e mecenate della musica Elisabeth Sprague-Coolidge, che già aveva commissionato il Quartetto n. 3, scrisse questo capolavoro. È il terzo lavoro scritto oltre oceano, dopo la Suite in stile antico e il Concerto op. 36 per violino e orchestra.
Con il Quartetto n. 4 Schönberg si congeda da questa forma musicale concependo un brano nel quale sono presenti richiami alla Suite Lirica del suo allievo Berg e, in special modo nel quarto movimento, una evidenziazione di un altro suo mezzo espressivo, la Klangfarbenmelodie (Melodia per timbri) una tecnica innovativa tramite la quale una melodia viene suddivisa tra più strumenti per giungere ad un determinante contrasto tra gli specifici ‘timbri’ di ciascun strumento. Scarse sono le reminiscenze ‘tonali’ e in esso si avverte sempre di più quel senso di ‘sospensione’ caratteristico dell’atonalità che caratterizza già il Quartetto n. 3 e che qui diventa determinante.
Per quanto riguarda l’esecuzione che si è svolta in due concerti programmati per il 15 e il 19 marzo, il Gringolts Quartet ha dato un contributo fondamentale alla piena riuscita di questo Absolute Schönberg. Innanzi tutto è da approvare la scelta di eseguire i quattro quartetti non in ordine cronologico di composizione, che comunque sarebbe stata una decisione del tutto condivisibile, optando per una esecuzione che, in ognuna delle due serate, ha contrapposto uno degli ultimi quartetti ad uno dei primi. Nello specifico il 15 marzo abbiamo ascoltato il n. 3 contrapposto al n. 1 e il 19 marzo il n. 4 contrapposto al n. 2. Tale scelta, a nostro parere, ha agevolato l’ascoltatore nel comprendere con più efficacia e determinazione i contrasti tra una musica più orientata verso la tonalità e una musica nella quale sono evidenti i caratteri di atonalità e dodecafonia offrendo a tutti un importante strumento conoscitivo che lo aiuti ad approfondire la portata di questa ‘particolare’ rivoluzione musicale attuata da Schönberg.
Inoltre il Gringolts Quartet ha mostrato una straordinaria compattezza d’insieme grazie ai suoi componenti, tutti strumentisti di grande valore provenienti da ambiti culturali diversi, ognuno dei quali ha a disposizione per l’esecuzione strumenti prestigiosi: Ilya Gringolts violinista russo Primo Premio al Concorso Paganini di Genova del 1998 suona uno Stradivari del 1718 , Anahit Kurtikyan violinista armena prima parte dell’Orchestra dell’Opera di Zurigo suona un Camillo Camilli del 1733, Silvia Simonescu violista rumena vincitrice dei concorsi di Brescia e Osaka suona una viola di Jacobus Januarius e il violoncellista tedesco Claudius Herrmann prima parte dell’Opera di Zurigo un violoncello Maggini del 1600.
Nell’esecuzione hanno evidenziato una notevole amalgama segno evidente di una pregevole intesa tra i quattro strumentisti per un lavoro d’insieme basato su una completa e scrupolosa preparazione. Una prova di grande rilievo impreziosita dalla cura minuziosa per la ricerca di timbri e colori strumentali appropriati rafforzata dal personale ‘virtuosismo’ di ognuno dei componenti.
Da ricordare anche la bella prova del soprano svedese Malin Harterius, che in questa occasione ha debuttato nei concerti della IUC, in possesso di una linea vocale idonea alla peculiarità dei due brani che Schönberg ha affidato alla voce di soprano, per i quali ha messo a disposizione la vasta esperienza che ricaviamo dal suo curriculum superando agevolmente le asperità insite nella linea vocale.
Il pubblico ha mostrato estremo interesse per questa proposta musicale che rafforza lo spessore musicale di una istituzione come la IUC che da sempre è in prima linea per i contenuti stimolanti dei suoi concerti che la rendono preziosa per lo sviluppo culturale della città di Roma. Il pubblico ha mostrato estremo interesse per tutti e due i concerti applaudendo a lungo al termine di entrambi, chiamando più volte al proscenio tutti gli interpreti. È questa la dimostrazione lampante della validità delle scelte della IUC e premia il coraggio degli organizzatori per la proposta di un repertorio che pur essendo un po’ al di fuori della tradizione riesce comunque a stimolare l’interesse di chi ama la Musica.
Claudio LISTANTI Roma 2022