Alle origini della grandezza di Firenze: Ugo, Marchese di Toscana, tra storia, arte e leggenda.

di Ugo IMPRESCIA

«Ugo marchese di Toscana, nella storia, nella letteratura, nell’arte e nella leggenda»

Cristofano Allori, Ritratto di Ugo di Toscana, Firenze, Uffizi

Da più di mille anni la città di Firenze mantiene viva ancora oggi la memoria di un personaggio illustre, Ugo marchese di Toscana a cui viene attribuito a partire dal XI secolo la ripresa e lo sviluppo della città, che  diventerà nei secoli successivi tra i principali centri culturali ed economici dell’Europa, fino a divenire culla del Rinascimento.

Nato intorno al 953, il marchese viene ricordato come «Hugo potentissimus marchio» negli “Annales Einsidlenses” dove nell’anno 1001 viene annotata la sua morte; il giorno del decesso è ormai riconosciuto essere il 21 dicembre anche se al riguardo non esiste una documentazione certa, è comunque il giorno della sua commemorazione, infatti da allora ogni 21 dicembre Firenze lo ricorda con una solenne celebrazione, sia religiosa che laica, nella chiesa della Badia fiorentina, dove alla sua morte è stato sepolto.

Agli inizi dell’anno mille la città sull’Arno era ridotta ad un piccolo borgo di qualche migliaio di abitanti dopo secoli di decadenza a seguito delle invasioni barbariche; Dante erroneamente attribuisce la distruzione della città ad Attila [i], mentre il cronista fiorentino Giovanni Villani nella sua “Nuova Cronica”, scritta all’incirca negli stessi anni della Divina Commedia, riporta (XIII,16) che fu «l’Empissimo Totila Flagellum Dei» a distruggere Firenze. (fig.1)

Fig. 1 Totila fa distruggere la città di Firenze; miniatura da “Nova Cronica” Biblioteca Vaticana

Secondo il Villani si deve al marchese Ugo il trasferimento del capoluogo della Toscana da Lucca a Firenze; il cronista fiorentino nella “Nova Cronica” riferisce di Ugo (V,2):

«A costui piacque sì la stanza di Toscana, spezialmente della nostra città di Firenze, ch’egli ci fece venire la moglie, e in Firenze fece suo dimoro, sì come vicario d’Otto imperadore»[ii].

Nella seconda metà del X secolo, Lucca era tradizionalmente sede marchionale dove gli imperatori sassoni risiedevano quando scendevano in Italia, in quel tempo aveva una maggiore importanza rispetto a Firenze per la sua posizione strategica sulla via Francigena, la più importante arteria di comunicazione del medioevo, percorsa dai pellegrini che nel tragitto verso Roma facevano tappa a Lucca per la presenza in città di un’importante reliquia, “Il Volto Santo”, un crocifisso ligneo che la leggenda vuole sia stato scolpito da Nicodemo, con il volto di Cristo ritenuto acheropita dalla tradizione.

Il trasferimento del capoluogo da Lucca a Firenze da parte di Ugo non è comunque supportato da alcuna documentazione, ma tale tradizione era sostenuta dalla stessa Firenze per legittimare la supremazia sulle altre città della Toscana; tale intenzione traspare in maniera molto evidente  dal prologo della “Nuova Cronica”(I,1):

«Io Giovanni cittadino di Firenze, considerando la nobiltà e la grandezza della nostra città a’ nostri tempi, mi pare che si convegna di raccontare e fare memoria e cominciamento di così famosa città».

Sta di fatto che Firenze considera Ugo suo cittadino onorario emblema della propria identità storica, anche se di origine transalpina; nato in Italia probabilmente a Lucca e morto a Pistoia, alla sua morte i fiorentini fecero in modo che il suo corpo venisse trasportato nella loro città; la salma fu deposta in una cassa di ferro con inciso il suo nome e l’anno di morte «HUGO MARCHIO.MI» ed inserita in un prezioso sarcofago di porfido che fu collocato all’interno della più importante chiesa di allora, la Badia di Santa Maria Assunta, antichissimo luogo di culto fiorentino fondato da Willa la madre di Ugo intorno al 978 e che Ugo accrebbe poi con laute donazione e con la concessione di ampi privilegi.

Certo l’importanza del personaggio deriva anche dalle sue nobili origini, che risalgono addirittura a Carlo Magno, infatti suo nonno era Ugo di Provenza re d’Italia e la madre di questi, Berta di Lotaringia, aveva come trisavolo Ludovico il Pio; il padre di Ugo, Uberto, era anche lui marchese di Toscana e per breve periodo duca di Spoleto e marchese di Camerino, titoli che saranno acquisiti anche dal figlio; suo zio Lotario sposa Adelaide di Borgogna che rimasta vedova diviene la moglie di Ottone I; sua zia Alda era la consorte di Alberico II figlio di Marozia e dalla loro unione nasce Ottaviano che sarà papa con il nome di Giovanni XII; inoltre sua sorella Waldrada convoglia a nozze con il doge Pietro IV Candiano; tutti personaggi appartenenti alle classi dominanti nell’Italia del X secolo e che avranno enorme influenza sulla vita di Ugo.

Al di là della sua nobile discendenza, Ugo è ricordato per il suo buon governo della marca della Toscana, una regione che comprendeva buona parte dell’allora Regno Italico e quindi facente parte del Sacro Romano Impero, ma che godeva comunque di ampia autonomia amministrativa.

Il governo del marchese era perfettamente in linea con la politica degli imperatori sassoni in particolare di Ottone III, che perseguiva, nella convinzione che il potere dell’imperatore derivasse direttamente da investitura divina (fig.2), una convergenza tra l’istituzione papale e quella imperiale come elemento basilare del Sacro Romano Impero, in continuità con la “Renovatio Imperii Romanorum” iniziata con Carlo Magno.

Fig. 2 Ottone III Imperatore inserito in una mandorla è in trono elevato dalla terra e circondato dagli Evangelisti riceve la corona imperiale direttamente dalla mano di Dio. Evangelario di Lithar, anno 1000 c/a

Ottone voleva riportare Roma al centro dell’impero, dove imperatore e papa avrebbero dovuto risiedere e governare insieme per la guida e la salvezza della cristianità; per questo si era fatto costruire un palazzo sull’Aventino e per realizzare il suo sogno di una teocrazia imperiale volle al suo fianco il suo vecchio precettore Gerberto di Aurillac, che nel 999 fece nominare papa con il nome di Silvestro II, un nome che rievocava il tempo dello stretto legame tra il papa Silvestro I e l’imperatore Costantino.

La fedeltà del marchese di Toscana era fondamentale per l’attuazione della politica ottoniana, la Toscana costituiva un territorio strategico nello scacchiere del Regno Italico, una regione che garantiva al potere imperiale di esercitare un controllo della Roma dei papi, dove le potenti famiglie romane erano spesso in rivolta con gli stessi papi e con l’imperatore.

L’ascesa del marchese Ugo come accorto politico e abile diplomatico, più che come uomo d’armi come si confaceva a personaggi del suo rango, raggiunge il massimo livello alla morte di Ottone II  avvenuta nel 983, che lascia l’eredità imperiale al figlioletto di tre anni sotto la reggenza della madre di questi Teofane e della nonna Adelaide; è in questo periodo di vacanza della corona imperiale che Ugo, godendo della fiducia delle due reggenti, acquisisce sempre più potere consolidando il governo della Toscana e assumendo quello del ducato di Spoleto e della marca di Camerino; il dominio di Ugo quindi viene ad estendersi su buona parte dell’Italia centrale, dal Tirreno all’Adriatico, che il marchese governa con ampia autonomia amministrativa, spesso sostituendosi all’autorità imperiale; in questo periodo di governo di Ugo, i presidenti dei placiti tenuti in territorio italico comparivano infatti non come «missi domini imperatoris», ma come «missi domini Hugonis marchionis», e le ammende giudiziarie dovevano essere pagate non alla «camera imperatoris», bensì alla «camera Hugonis marchionis».[iii].

In un contesto in cui la politica degli imperatori sassoni tendeva ad accrescere la potenza della feudalità ecclesiastica a scapito di quella laica[iv], il prestigio di Ugo si mantiene comunque inalterato anche sotto Ottone III; questi nel 996 all’età di sedici anni scende in Italia per rimanervi buona parte della sua brevissima esistenza; da questo momento in poi Ugo, tra i pochi personaggi laici della cerchia del sovrano, compare sempre a fianco dell’imperatore in tutti i suoi spostamenti sul suolo italiano, scortandolo con le sue milizie; ne sono testimonianza i vari diplomi imperiali emanati in quel periodo che attestano la presenza del marchese insieme all’imperatore e nei quali viene citato come personaggio altamente autorevole, «optimus Hugo noster illustrissimus marchio», al pari di un re o di alti prelati come Gerberto di Aurillac.

Intanto agli inizi del nuovo millennio la situazione in Italia si faceva sempre più complessa, a Roma scoppiarono violente sommesse e Ottone III fu costretto a rifugiarsi nel suo palazzo romano sull’Aventino; fu liberato dopo qualche giorno solo a seguito di un’azione diplomatica di Ugo che riuscì a giungere a patti con i rivoltosi.

Era ormai chiaro che i romani non volevano condividere il progetto di ricostituire la grandezza del popolo romano sotto il giogo dei sovrani sassoni; il sogno di Ottone III di istituire il Sacro Romano Impero con centro in Roma stava svanendo improvvisamente; lo aveva compreso Ugo che consigliò a Ottone e a Silvestro II di lasciare la capitale; intanto anche nella marca della Toscana cresceva la ribellione da parte delle famiglie comitali che rivendicavano la loro autonomia; di lì a poco Ugo moriva il 21 dicembre del 1001, un mese dopo sarebbe morto anche Ottone III alla giovane età di 22 anni, in suolo italiano nei pressi del monte Soratte.

Qualche decennio dopo la morte di Ugo, San Pier Damiani ne traccia una biografia un po’ idealizzata, condita da elogi per esaltarne le doti del buon governo e di elevato sentimento religioso, manifestato nelle fondazioni monastiche da lui promosse e nelle molteplici donazioni fatte nei riguardi di diverse abbazie; in realtà le fondazioni e le donazioni scaturivano più che da un sentimento religioso, da un preciso progetto politico attuato per

«creare un rete di monasteri fedeli all’impero che fosse in grado di contrastare le spinte centrifughe rappresentate delle famiglie comitali»[v]

Poi del marchese si perdono le tracce fino alla fine del XIII secolo quando, a seguito della trasformazione urbanistica della città, si rendono necessari lavori di restauro della Badia fiorentina affidati ad Arnolfo di Cambio; in questa occasione Firenze, in piena espansione economica e culturale, inizia a creare un saldo connubio tra l’illustre antenato ritenuto il promotore della rinascita della città e l’antichissima Badia simbolo del risveglio cittadino dopo secoli di declino.

Questo forte legame di Firenze sia con la chiesa più importante di quei tempi che con il marchese Ugo, si deduce anche dalla Divina Commedia lì dove Dante nel Paradiso parla con il suo trisavolo Cacciaguida, un incontro con il quale il poeta vuole rimarcare con orgoglio la sua nobile discendenza e le origini della sua città natale.

Nel XV canto l’antenato si rivolge al poeta e gli parla della Firenze del suo tempo, sobria e di buoni costumi in confronto a quella al tempo di Dante sfarzosa e corrotta e da cui il poeta fu esiliato; ricorda come la città fosse ancora circondata dall’antica cinta muraria presso la quale sorgeva la Badia e gli abitanti vivevano in pace e come i momenti salienti del lavoro quotidiano erano scanditi dal suono delle campane della chiesa[vi]; evidentemente al tempo di Cacciaguida la Badia, dove era sepolto il corpo di Ugo, godeva di elevato prestigio e svolgeva un ruolo preminente per la vita religiosa e sociale della città.

Nel successivo canto XVI Dante ricorda il marchese e per bocca del trisavolo parla degli illustri antenati e delle principali famiglie fiorentine che si fregiavano dell’insegna[vii] di Ugo di Toscana; il poeta lo cita con l’appellativo “Il Gran Barone[viii] da cui le famiglie più importanti ebbero dignità cavalleresca e il cui nome e il cui valore viene ricordato nel giorno di San Tommaso, cioè il 21 dicembre, con una festa che si svolgeva proprio nella Badia, per perpetrare una ricorrenza che era ancora viva agli inizi del Trecento e che sarà mantenuta nei secoli successivi fino ai giorni nostri. La festa in onore di Ugo è ricordata nel “Ottimo Commento”, opera scritta nel 1334 a pochi anni dalla morte di Dante da un anonimo esegeta della Divina Commedia e contemporaneo del poeta, che del passo dantesco sul marchese commenta:

«il cui nome e il cui valore, quando si fa festa dell’apostolo messer San Tommaso, si rinnova; però che allora di lui nella Badia di Firenze, quale con molte altre edificò, si fanno solenni orazioni a Dio per la sua anima»[ix].

Dopo Dante altri scrittori si interessano al marchese le cui vicende storiche, in assenza a quei tempi di documentazione, si tramutano in episodi leggendari, come si confà a quei personaggi illustri il cui ricordo si è affievolito e a cui si vuole attribuire un’aura ultraterrena.

Nel 1345 una biografia del marchese viene scritta da un certo notaio Andrea abate, che riporta nella sua opera avvenimenti fantasiosi della vita di Ugo, trattati negli stessi anni anche dal Villani nella sua “Nova Cronica”; nei secoli successivi gli episodi leggendari furono ripresi anche da altri autori tra i quali padre Placido Puccinelli, monaco della Badia Fiorentina, che nel 1643 scrive una “Historia d’Ugo principe della Toscana” e poi nel 1664 una “Historia dell’Eroiche Attioni di Ugo il Grande” (fig.3);

Fig. 3 p. P. Puccinelli Biografie di Ugo, edizioni del 1643 e 1664

fino ad arrivare ai giorni d’oggi quando alcuni studiosi hanno iniziato a ricostruire la figura di Ugo sulla base di fatti storici derivanti dalla pur sempre scarsa documentazione attualmente disponibile.

In occasione del millenario della morte di Ugo lo studioso Andrea Calamai [x] fornisce nuove interpretazioni dei fatti storici del periodo in cui è vissuto il marchese e della documentazione riguardante il personaggio, ampiamente indagata in precedenza da Antonio Falce in un suo libro pubblicato nel 1921[xi].

La forte riconoscenza dei monaci della Badia nei riguardi di Ugo si manifestò agli inizi del XV secolo quando il complesso monacale subì, dopo decenni di degrado, un nuovo slancio artistico e culturale ad opera dell’abate portoghese Gomez Ferreira de Silva; in quell’occasione per interessamento di Cosimo il Vecchio, fu richiesto a Brunelleschi un intervento di ristrutturazione che prevedeva degli ampliamenti che avrebbero comportato la distruzione di parti dell’antica chiesa compreso il campanile, oltreché la collocazione degli stemmi medicei al posto di quelli di Ugo, della «bella insegna» (fig.4) di cui parla Dante, presenti nella chiesa.

Fig. 4 La “bella Insegna” posta sull’arco del presbiterio e retta da un putto ai lati del sepolcro

Il progetto di Brunelleschi non fu realizzato anche perché i monaci non volevano che venisse cancellato il ricordo di colui che riconoscevano come fondatore, oltre che benefattore, della Badia[xii].

Fig. 5 Mino da Fiesole, Monumento al Marchese Ugo di Toscana, 1481, Badia fiorentina

I lavori di ampliamento furono comunque intrapresi e nell’occasione fu ristrutturato tra il 1432 e il 1438 il “Chiostro degli Aranci” su progetto di Bernardo Rossellino (Settignano, 1409 – Firenze, 1464). Durante il governo dell’abate portoghese, fu realizzato inoltre, sotto il porticato del piano superiore del chiostro, un pregevole ciclo di affreschi con le storie di San Benedetto, attribuito a Giovanni Consalvo conterraneo dell’abate.

Ugo ha lasciato un segno importante anche nella storia dell’arte oltre che nella letteratura; quasi due secoli dopo le ristrutturazioni arnolfiane della Badia fiorentina, i monaci commissionano a Mino da Fiesole (Poppi ? 1429 – Firenze 1484) il monumento sepolcrale per il “Gran Barone”; la pregevole opera, sormontata dalla personificazione della Carità in ricordo delle cospicue donazioni fatte dal marchese alla Badia, è considerata tra i capolavori dell’artista (fig.5).

Fig. 6 Raffaele Petrucci Statua di Ugo di Toscana, 1618, cortile della Prefettura di Firenze

L’opera terminata nel 1481 fu collocata all’interno della chiesa; in quell’occasione furono traslate nel monumento funebre  le spoglie di Ugo che fino a quel momento erano custodite nel sarcofago di porfido conservato attualmente a Palazzo Pitti.

Un’altra opera scultorea fu realizzata da Raffaele Petrucci che nel 1618 eseguì una statua (fig.6) con le sembianze del marchese; l’opera fu commissionata dall’abate della Badia Serafino Casolani promotore delle ristrutturazioni seicentesche[xiii]; la statua fu collocata nel chiostro del convento ed oggi è situata nel cortile degli attuali uffici della Procura in cui sono stati inglobati gli ambienti del convento soppresso nel periodo napoleonico.

Di Ugo ci sono pervenute anche alcune opere pittoriche realizzate da artisti fiorentini; nel 1590 Cristofano Allori (Firenze 1577 – Firenze 1621), appena tredicenne, fece un ritratto idealizzato di Ugo (fig.7);

Cristofano Allori Ugo di Toscana (part.)

il dipinto, firmato e datato[xiv], era stato commissionato dai monaci della Badia e nel giorno della sua commemorazione veniva mostrato al popolo, come ricorda padre Placido Puccinelli nella sua biografia del marchese del 1664,

«li monaci fiorentini sono stati si zelanti di ciò verso Ugo lor principe, che hanno voluto s’esponghi in tal mattina dirimpetto alla cattedra dell’Oratore il ritratto di tanto eroe dipinto dal famoso Cristofano Bronzino, in abito regale, tenendo la destra sopra il campanile di fabrica della Chiesa».

Il dipinto rimase nella Badia fino al 1867 quando fu trasferito agli Uffizi ed è finito poi nei depositi della Galleria a causa delle cattive condizioni di conservazione. In occasione del millenario della morte di Ugo il dipinto è stato restaurato e trasportato al seguito di una solenne processione nel suo luogo di origine e attualmente è di nuovo esposto agli Uffizi.

Nel dipinto di Allori, Ugo è raffigurato solennemente abbigliato da uomo di governo con la spada al suo fianco a ricordare il suo ruolo di uomo d’armi; anche in quest’opera pittorica si è voluto rimarcare lo stretto legame tra il personaggio e la Badia.

Il marchese poggia la  mano destra sul campanile[xv] della Badia ed è interessante notare come sulla sommità del campanile è raffigurato un angelo che funge da banderuola, angelo che è ben visibile in una miniatura del 1440 tratta dal Codice Rustici (fig.8);

Fig. 8 Angelo banderuola nel campanile della Badia (da Cristofano Allori, particolare del Ritratto di Ugo di Toscana, e da una miniatura del Codice Rustici , 1440)

l’angelo banderuola è anche raffigurato in una acquaforte dell’incisore Vincenzo Franceshini (Roma? 1695 ca – Roma? 1770 ca) su disegno di Giuseppe Zocchi (Firenze 1711 – Firenze 1767) ed è ancora presente in cima al campanile attuale (fig.9);

Fig. 9 Angelo banderuola in cima al campanile della Badia fiorentina; v. acquaforte di Vincenzo Franceschini da un disegno di Giuseppe Zocchi 1754 c/a, e in una foto attuale.

la mano sinistra regge un cartiglio con la scritta dove Ugo presenta se stesso e cita alla fine l’imperatore a cui è stato costatemene fedele: «EGOUGO GLORIOSISSUM AETHRURIAE TOTIUS GUBERNATOR […]OTTONE III IMPERATOR DCCCCXCV; sopra la sua testa l’artista ha riportato i versi di Dante che nel XVI canto del Paradiso elogia il marchese definendolo “Il Gran Barone”.

Sullo sfondo del quadro alcuni studiosi avrebbero riconosciuto un edificio sacro che si identificherebbe con il monastero di Santa Maria di Buonsollazzo[xvi]; il monastero secondo il Villani sarebbe stato fondato da Ugo ma in realtà non esiste alcun documento che lo attesterebbe.

La presenza del monastero di Buonsollazzo nel dipinto di Allori fa riferimento ad uno tra i tanti episodi leggendari legati alla vita di Ugo e racconta la visione che il marchese avrebbe avuto nei pressi del monastero, episodio riferito da diversi biografi; in particolare il Villani nella sua “Cronica” (V,2) racconta:

«Avenne, come piacque a Dio, ch’andando lui a una caccia nella contrada di Bonsollazzo. Per lo bosco si smarrì da sua gente, e capitò, alla sua visione, a una fabbrica dove s’uso di fare il ferro. Quivi trovando uomeni neri e sformati che in luogo di ferro parea che tormentassono con fuoco e con martella uomeni, domandò che ciò era. Fugli detto ch’erano anime dannate, e che a simile pena era condannata l’anima del marchese Ugo per la sua vita mondana, se non tornasse a penitenzia; il quale con grande paura si raccomandò a la vergine Maria»;

tale aneddoto ha colpito l’immaginazione di alcuni artisti di diversi periodi che hanno raffigurato l’episodio, rifacendosi letteralmente al racconto fatto dal Villani.

Fig. 10 Giorgio Vasari, Pala dell’Assunta, Badia fiorentina, 1568, posta nella cantoria sopra al Monumento ad Ugo di Toscana di Mino da Fiesole

Francesco Morandini[xvii] detto il Poppi (Poppi 1544 – Firenze 1697), qualche decennio prima del ritratto dell’Allori, ha rappresentato l’episodio della visione di Buonsollazzo in una parte della predella annessa alla pala dell’Assunzione della Vergine dipinta da Giorgio Vasari per i monaci della Badia (fig. 10); la predella della pala dell’Assunta è citata dal Vasari, senza specificarne il tema trattato, nel “Libro delle Ricordanze”: «Si messe su la tavola della Badia di Fiorenza […] drendovi l’Asunzione di Nostra Donna con la predella piena di storie di figure piccole».

La pala dell’Assunta con la predella fu collocata nel 1568 sopra l’altare maggiore, come ricorda lo stesso Vasari nelle sue vite:

«ai monaci neri della Badia di Fiorenza dipingo similmente una tavola, che è vicina alla fine, d’una assunzione di Nostra Donna»;

l’opera fu sistemata al posto del polittico di Giotto[xviii] noto come “Polittico della Badia” oggi agli Uffizi; a seguito delle ristrutturazioni seicentesche della chiesa la pala vasariana fu spostata nella cantoria del braccio sinistro, al di sotto della quale fu sistemato anche il monumento funebre di Ugo, mentre la predella con il dipinto del Morandini (fig.11) fu rimossa e dopo diversi spostamenti in altri luoghi di culto approdò nel 1943 alla Galleria Pitti.

Fig. 11 Francesco Morandini, il Poppi, Visione di Ugo a Buosollazzo, 1568, Palazzo Pitti
Fig. 12 Visione di Ugo, in Frontespizio di Historia d’Hugo Principe della Toscana, di Placiso Puccinelli 1643

Circa un secolo dopo, l’episodio della visione di Ugo è rappresentato, riprendendo alla lettera il racconto fattone dal Villani, anche nel frontespizio del libro di Puccinelli del 1643 “Historia di Hugo principe delle Toscana” (fig.12), secondo una scenografia molto simile a quella rappresentata dal Morandini, ovvero: il marchese a cavallo smarritosi insieme ai suoi cani durante una battuta di caccia, la visione di esseri corpulenti che in prossimità di una fucina tormentano uomini con il fuoco e con martelli.

Un’altra opera pittorica in cui compare Ugo è quella realizzata nel 1736 da Vincenzo Meucci (Firenze 1694 – Firenze 1766) nel chiostro degli aranci dove è raffigurato “Ugo presentato alla Vergine da San Benedetto”. (fig.13)

 

Fig. 13 Vincenzo Meucci, San Benedetto presenta Ugo di Toscana alla Vergine, 1736, Chiostro degli Aranci della Badia Fiorentina

Come detto, dalla documentazione storica degli ultimi anni del X secolo, il marchese Ugo risulta essere sempre a fianco di Ottone III durante i diversi spostamenti da lui compiuti in Italia.

È molto probabile che il marchese fosse presente anche all’incontro avvenuto nel 999 tra il diciannovenne sovrano sassone e il quasi novantenne monaco basiliano San Nilo; tale evento è ricordato in un affresco del Domenichino realizzato nella cappella Farnese della chiesa dell’Abbazia di Grottaferrata (fig.14).

L’incontro  era avvenuto a Serperi nei pressi di Gaeta e voluto dallo stesso Ottone che intendeva rimediare al crudele trattamento compiuto dalla sua corte nei riguardi di Giovanni Filagato, concittadino di San Nilo che, proclamatosi papa Giovanni XVI con la complicità dei Crescenzi, aveva detronizzato Gregorio XV, il papa voluto dallo stesso Ottone.

Fig. 14 Domenico Zampieri, il Domenichino, Ottone III incontra San Nilo, 1610, Chiesa dell’Abbazia di Grottaferrata, cappella Farnese

San Nilo, prima dell’incontro a Serperi, si era recato a Roma per richiedere a Ottone la liberazione di Giovanni Filagato che era stato rinchiuso in carcere dopo che fu accecato e gli furono amputati il naso e la lingua «orbatus oculi, lingua et naso, in carcerem conjectus est»[xix], ma il monaco non ottenne ciò che aveva richiesto; l’imperatore, pentito del suo operato, intraprese agli inizi dell’anno 999 un viaggio di pellegrinaggio al Monastero di San Michele Arcangelo sul Gargano e nel ritorno verso Roma passò prima per Montecassino e poi volle fermarsi a Serperi, dove risiedeva San Nilo insieme alla sua comunità monastica.

È plausibile ipotizzare che l’incontro con San Nilo sia stato preparato dallo stesso Ugo che come fervente innovatore ecclesiastico era in contatto con i principali personaggi spirituali del tempo; l’anno precedente fra l’altro il marchese aveva organizzato l’incontro a Ravenna tra Ottone e San Romualdo[xx], fondatore dei Camaldolesi, inoltre volle nominare San Bononio, discepolo di San Romualdo, abate del monastero di San Michele Arcangelo di Marturi, uno dei tanti luoghi di culto fondati dal marchese.

Non esiste alcun documento che attesti la presenza di Ugo nel viaggio penitenziale di Ottone, anche se prima e dopo l’incontro a Serperi il marchese è sempre citato come figura di rilievo negli incontri e negli eventi ufficiali annotati nei vari diplomi imperiali; una testimonianza indiretta della sua presenza a fianco dell’imperatore in occasione di quel viaggio è  fornita dalla “Chronica monasterii casinensis” di Leone Marsicano, il quale riferisce che l’abate Nicola di Montecassino nell’inventariare nel 1126 i beni del monastero annotava la presenza di parecchie corone d’argento, che secondo la tradizione erano state donate da Ottone III e da Ugo di Toscana[xxi], è presumibile che tale donazione sia stata fatta dai due proprio durante la loro sosta a Montecassino avvenuta nel 999 in occasione del viaggio sul Gargano.

È suggestivo pensare che il Domenichino nel suo affresco abbia rappresentato Ugo di Toscana nell’alto ufficiale insieme alle sue milizie, che sempre hanno scortato il sovrano sassone nei suoi spostamenti in Italia; l’uomo d’armi è raffigurato al di sopra della scena dell’incontro dotato di elmo con criniera, su un cavallo così come è similmente rappresentato nel dipinto di Morandini e nel frontespizio del libro di Puccinelli, anche qui con l’elmo piumato.

Ugo IMPRESCIA  Firenze  30 maggio 2021

NOTE

[i]Dante Alighieri: «savra ‘l cener che d’Attila rimase», Inferno, canto XIII (149).
[ii]Questa citazione viene attribuita anche al Malispini, ma per alcuni studiosi quest’ultimo l’avrebbe ripresa dallo stesso Villani.
[iii]Andrea Puglia: “Vecchi e nuovi interrogativi sul marchese Ugo di Tuscia” in Atti del Convegno “I nuovi germogli del seme benedettino nel passaggio tra primo e secondo millennio (secc. X-XII)”, Badia a Settimo, 22-23 maggio 1999.
[iv]Un processo di “clericalizzazione” dell’istituzione imperiale che si attuerà anche nel XV secolo, ma a parti invertite, attraverso un processo di “laicizzazione” dell’istituzione papale, con l’introduzione dei migliori esponenti dell’umanesimo e dei membri delle potenti famiglie nella corte pontificia, appena ristabilitasi a Roma dopo il periodo avignonese.
[v]Nicolangelo D’Acunto: “Nostrum Italicum Regnum, aspetti della politica italiana di Ottone III”, ed. Vita e Pensiero 2002, pag 86
[vi]Dante Alighieri:«Fiorenza dentro della cerchia antica ond’ella toglie ancora e terza e nona, si stava in pace, sobria e pudica», Paradiso, canto XV (97-99).
[vii]L’insegna di Ugo è uno scudo con bande bianche e rosse, che sono i colori della città di Firenze; compare all’interno della Badia sull’arco del presbiterio e all’esterno della chiesa; l’insegna è inoltre retta da putti ai lati del monumento di Mino da Fiesole.
[viii]Dante Alighieri:«Ciascun che della bella insegna porta, del Gran Barone il cui nome e il cui pregio, la festa di Tommaso riconforta, da esso ebbe milizia e privilegio». Paradiso, canto XVI (127-130).
[ix]Alessandro Guidotti – “Vicende storico-artistiche della Badia Fiorentina”, in “La Badia Fiorentina”, Firenze 1982, pag. 16.
[x]Andrea Calamai – “Ugo di Toscana. Realtà e leggenda di un diplomatico del primo millennio”, Firenze 2001.
[xi]Antonio Falce – “Il marchese Ugo di Toscana”, Firenze 1921.
[xii]Alessandro Guidotti – op.cit., pag. 67.
[xiii]I lavori di ristrutturazione della chiesa comportarono la demolizione di un pilastro dove Masaccio aveva dipinto un Sant’Ivo citato da Lorenzo Ghiberti nei suoi “Commentari” e lodato da Vasari che nelle sue Vite scrive: «Nella Badia di Firenze dipinse a fresco in un pilastro […] Santo Ivo di Brettagna, figurandolo dentro a una nicchia perché i piedi scortassino alla veduta di sotto»; l’affresco fu staccato e conservato nel convento ma successivamente se ne sono perse le tracce.
[xiv]«Christophanus Allorius adolescens Alexandri Bronzini filius faciebat A.D. MDLXXXX».
[xv]Originariamente il campanile era a sezione circolare realizzato utilizzando un guardingo longobardo; è stato poi demolito nel ‘300 e ricostruito nelle forme attuali, ma rimane ancora il basamento dell’antica torre cilindrica;  la torre alta ben 70 metri rappresenta insieme alla cupola del Brunelleschi uno dei simboli più rappresentativi della città.
[xvi]Andrea Calamai – op. cit. pag. 179.
[xvii]Allievo di Giorgio Vasari, più volte collaboratore del maestro, che nelle sue vite lo definisce: «Francesco da Poppi, giovane di grande speranza e nostro accademico».
[xviii]Nel presbiterio della chiesa trecentesca, Giotto aveva realizzato alcuni affreschi con le storie della Vergine andati distrutti nelle ristrutturazioni seicentesche ed i pochi frammenti rimasti sono nei depositi degli Uffizi. (A. Giudotti, op. cit, pag. 106).
[xix]San Pier Damiani nella sua “Vita Beati Romualdi”.
[xx]A. Falce – op. cit, pag. 46.
[xxi]Andrea Calamai – op. cit. pag. 136.