di Claudio Listanti
Nello spettacolo dedicato agli Intermezzi del ‘700 anche La Serva Padrona di Pergolesi. Valide la regia di Andrea Stanici, la direzione musicale di Pierfrancesco Borrelli e la compagnia di canto.
La riproposta, e la riscoperta, degli Intermezzi del ‘700, è da anni una delle attività principali del Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto. Iniziativa meritevole e di indubbio spessore musicologico che riesce sempre a catalizzare l’attenzione degli studiosi, degli storici della musica e l’interesse del pubblico che dimostra sempre un incondizionato gradimento per queste proposte musicali e teatrali.
L’edizione di quest’anno della manifestazione spoletina, 74ma della sua lunga e gloriosa tradizione, conteneva una doppia proposta di questo particolare genere musicale presentando nella stessa serata una riscoperta, Pericca e Varrone di Alessandro Scarlatti abbinata alla riproposta di uno degli ‘intermezzi’ più famosi, se non il più famoso, della Storia della Musica, La Serva Padrona di Giovanni Battista Pergolesi. Quindi, per tutti gli appassionati e i cultori di questa particolare specie di teatro in musica è stata una ghiotta occasione per ampliare le proprie conoscenze personali e rinsaldare l’apprezzamento per uno dei massimi capolavori della musica di tutti i tempi.
Lo spettacolo è andato in scena al Teatro Caio Melisso venerdì 11 settembre e, come immaginato in partenza, ha avuto il centro focale in Pericca e Varrone, per il quale la musicologa Roberta Mangiacavalli ha approntato una edizione critica che proprio in questa occasione è stata rappresentata per la prima volta, per una iniziativa collocata all’interno della collaborazione con il Centro Studi Pergolesi dell’Università degli Studi di Milano, in essere da diversi anni con la manifestazione spoletina e sostenuta del Claudio Toscani, Presidente del Centro Studi Pergolesi e Professore di Storia del Melodramma e Filologia musicale presso l’Università di Milano.
La particolarità principale di Pericca e Varrone, è quella di essere un Intermezzo non in senso stretto, vale a dire un’entità a autonoma in due parti collocate negli intervalli tra il primo e il secondo atto e tra il secondo e il terzo ma, al contrario, una serie di scene comiche che ‘addolcivano’ la tensione drammatica in diversi momenti dell’opera.
L’opera alle quali furono legate è Scipione nelle Spagne scritta da Scarlatti su libretto di Apostolo Zeno nel 1710 a Barcellona dove fu rappresentata per la prima volta. L’anno successivo fu rappresentata a Milano e nel 1714 approdò a Napoli dove, per l’occasione, furono introdotte le scene comiche in omaggio ad una tradizione seicentesca che prevedeva la presenza di scene di carattere comico nell’ambito di un dramma serio. Qui a Napoli non era ancora diffuso, come per esempio a Venezia, l’Intermezzo come organismo autonomo ma rispettata l’usanza seicentesca di abbinare alcuni momenti comici a quelli altamente drammatici.
Per approfondire le tematiche e le peculiarità relative all’esecuzione dell’opera di Scarlatti vogliamo iniziare dalle parole della curatrice dell’edizione critica, Roberta Mangiacavalli, che molto gentilmente ha risposto alle nostre domande volte a chiarire il rapporto tra l’Intermezzo e l’opera seria che, tradizionalmente, lo conteneva.
“Le fonti che abbiamo usato – ci ha detto la Mangiacavalli – sono quelle che contengono tutta l’opera seria, intitolata Scipione nelle Spagne, in cui sono inserite tutte le scene comiche ma, in realtà, non abbiamo una parte musicale che attesta con chiarezza l’intermezzo. Un libretto riferito ad una rappresentazione del 1730 ci dice che la musica è di Alessandro Scarlatti.”
“Queste scene comiche – ha proseguito la studiosa – sono chiaramente avulse dal dramma serio e quindi posseggono le peculiarità di veri e propri intermezzi. Sono però legati ai personaggi seri; Pericca è la dama di compagnia di Sofonisba mentre Varrone è il servo, maestro di danza di scherma di Scipione. Addirittura Varrone entra anche in due punti del dramma serio mentre Pericca invece solo nelle scene comiche. Le scene comiche nell’insieme hanno però il carattere di un vero e proprio intermezzo. Addirittura due delle scene comiche erano poste alle fine del primo e del secondo atto dove tradizionalmente, nelle opere serie, sono collocati gli intermezzi.”
In conclusione l’azione risulta, teatralmente, del tutto omogena in quanto la stessa Mangiacavalli ci dice che “Estrapolandole dal dramma serio presentano un’azione unitaria. Quindi a tutti gli effetti si tratta di un vero e proprio intermezzo anche se nel 1714 ancora non era chiamato così”.
Per quanto riguarda la trama di Pericca e Varrone si può sintetizzare come una serie di schermaglie amorose tra due personaggi che, in definitiva, sono attratti l’uno dall’altro. Si parte dalla disperazione di Pericca per la presunta morte in mare della sua padrona Sofonisba ma Varrone cerca di confortarla comunicandole che i suoi timori sono infondati e ne riceve in dono un prezioso orologio che è innegabile simbolo dell’attrazione tra i due. Molte sono le vicissitudini che si alternano sul palcoscenico, soprattutto prove atte dimostrare l’amore e la fedeltà di Varrone. Scene divertenti e gustose che hanno un unico sbocco: il matrimonio.
Altro elemento di interesse è la parte musicale soprattutto perché il repertorio comico fu poco frequentato da Scarlatti. All’ascolto ne risulta una partitura raffinata ed elegante, coinvolgente, accattivante e, a volte, anche sensuale. Tutti elementi che riescono a fugare quei residui dubbi sull’autenticità scarlattiana di questa musica.
Per quanto riguarda La Serva Padrona di Pergolesi, ad oggi 2020, non ci sono cose da dire vista la fama di cui gode che rende questa piccola-grande opera uno dei capisaldi della storia della musica. L’intermezzo fu scritto nel 1733 per essere contenuto negli intervalli dell’opera seria Il prigionier superbo che Giovanni Battista Pergolesi scrisse per il Teatro San Bartolomeo di Napoli su libretto di Gennarantonio Federico. Ha resistito alla sfida del tempo rafforzando la sua posizione di privilegio nell’ambito del repertorio del teatro lirico divenendo famoso in tutto il mondo come luminoso esempio di teatro settecentesco e raggiungere le caratteristiche di opera ‘autonoma’. Anche qui il tema di base è di carattere amoroso e l’attrazione dei due personaggi, Serpina e Uberto, sembra più un’ambizione della serva a divenire padrona piuttosto che un vero e proprio moto dei sentimenti. Ma anche qui il matrimonio diviene il suggello della storia con l’innamoramento risulta progressivo e si consolida con il procedere della trama.
Per quanto riguarda la parte visiva lo spettacolo andato in scena al Caio Melisso è stato curato per la parte visiva da Andrea Stanisci che ne ha approntato la regia e l’allestimento scenico avendo a disposizione i costumi dei Clelia De Angelis e le luci di Eva Bruno. Lo spettacolo è risultato del tutto efficace per mettere in risalto le caratteristiche di ognuno dei due lavori rappresentati.
Come contenuto nelle note dello stesso Stanisci contenute ne programma di sala è chiara la posizione del regista che dice: “In Pericca e Varrone, fin dall’inizio, c’è tra i due un’attrazione ed una tensione erotica reciproca che potrebbe, a logica, concludersi subito e che viene invece inopinatamente procrastinata. Ne La Serva Padrona i personaggi hanno una profondità ed un passato complessi ed articolati, riscontrabili ad una attenta lettura del libretto, che difficilmente si trova in altri Intermezzi”.
Su queste basi è stato concepito lo spettacolo che ha messo in risalto questi evidenti contrasti tra le due opere regalando alla recita una piacevole ‘unitarietà’ di fondo che lo hanno reso pienamente godibile anche grazie a dei movimenti scenici che hanno ci hanno restituito una trama vivace ed avvincente. Condividiamo anche la scelta di Stanisci di introdurre anche delle citazioni della drammaticità della situazione che stiamo oggi vivendo inserendo nell’azione riferimenti alle misure anti-covid come l’uso delle mascherine e dei guanti e addirittura il bacio finale tra Pericca e Varrone al momento del matrimonio dato attraverso il ‘filtro’ di uno schermo trasparente.
Per quanto riguarda la parte musicale il direttore Pierfrancesco Borrelli ha messo a disposizione dell’esecuzione tutta la sua esperienza e la sua passione per questo tipo di repertorio del quale dimostra di essere valido specialista. La sua è stata una direzione vivace, intensa e ‘teatrale’ grazie anche al contributo dell’Ensemble strumentale del Teatro Lirico Sperimentale formato da Angelica Pierri e Margherita Pelanda violini, Giada Broz viola, Matteo Maria Zurletti violoncello e Andrea Cesaretti contrabasso con Livia Guarino maestro al cembalo.
La compagnia di canto era interamente composta da vincitori di concorsi degli ultimi anni dello Sperimentale. Sono emerse con forza le due parti femminili, Dyana Bovolo (Pericca) e Tosca Rousseau (Serpina), entrambe dimostrando sicurezza sia nella linea vocale che nell’espressione. Per le parti maschili Alfred Ciavarella (Varrone) e Luca Simonetti (Uberto) posseggono entrambi una buona vocalità ma, al contempo, con qualche intemperanza di tipo ‘verista’; con certezza, però, hanno interpretato con efficacia la parte teatrale dimostrando piena sintonia con le scelte registiche. Concludiamo con la parte mimica affidata a Enrico Toschi che ha ben interpretato la prevista parte muta di Vespone e quella creata appositamente da Stanisci per rafforzare i personaggi di Varrone e Pericca, quest’ultima affidata a Diletta Masetti.
Il pubblico che ha affollato la sala del Teatro Caio Melisso al limite della capienza (ovviamente quella consentita dalle disposizioni anti-covid che gli organizzatori dello Sperimentale hanno rispettato complessivamente a pieno) ha applaudito entusiasticamente tutti gli interpreti a testimonianza del pieno gradimento dello spettacolo.
Claudio Listanti