di Claudio LISTANTI
È andata recentemente in scena al Teatro dell’Opera di Roma una edizione di Ernani di Giuseppe Verdi che ha ottenuto un buon successo di pubblico. Convincente è stata tutta la compagnia di canto che prevedeva cantanti oggi molto affermati come Angela Meade, Francesco Meli e Ludovic Tézier per una parte musicale alla quale hanno dato il determinante contributo l’Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma e il Coro del Teatro dell’Opera diretto da Roberto Gabbiani, tutti sotto la guida di Marco Armiliato. Altro elemento di spicco di questa rappresentazione è stato l’utilizzo di un allestimento di Hugo de Ana creato dall’artista argentino per la stagione lirica romana 2013-2014, di stampo del tutto ‘tradizionale’ che ha riscosso in pieno l’approvazione del pubblico.
Ernani di Giuseppe Verdi è da considerarsi una delle opere ‘cardine’ del percorso creativo di Giuseppe Verdi, con la quale il musicista bussetano si sta orientando su una nuova strada stilistica che poi si svilupperà nei successivi anni fino a giungere alla piena maturità della vecchiaia. Siamo nel 1844. Verdi dopo I lombardi alla Prima Crociata, che segna un primo punto di arrivo per l’arte verdiana, è alla ricerca di un rinnovo del suo stile. Le prime quattro opere erano, per lo più, ispirate a moduli compositivi dei primi anni dell’800 che avevano in Rossini, Bellini e Donizetti i rappresentanti più illustri. Si rendeva, quindi, necessario un cambiamento. Infatti è proprio in quegli anni che Verdi pensò a Re Lear, un progetto a cui perseguì per tutta la vita senza giungere però ad una finalizzazione. Nel 1830 Victor Hugo rappresentò Hernani, un dramma rivoluzionario con il quale l’autore francese si mise in contrasto con le convenzioni accademiche francesi allora in uso adottando un verso libero che racconti fatti basati su fonti storiche avendo a modello anche le poetiche teatrali di grandi come Shakespeare e Schiller. Verdi, molto attento alla letteratura ed al teatro dei suoi tempi, ne rimase colpito al punto che si convinse ad adottarlo. Una convinzione ottenuta grazie anche all’iniziativa di Alvise Francesco Mocenigo, allora alla guida de La Fenice di Venezia, teatro nella quale fu rappresentato, il cui soggetto, con adeguati adattamenti, non ebbe particolari difficoltà ad essere approvato dalla censura.
Questa circostanza permise il primo vero cambiamento nella vita artistica del musicista: la separazione dal Teatro alla Scala la cui organizzazione interna e i cantanti disponibili erano giudicati da Verdi inadeguati alle sue esigenze di compositore. Se togliamo la Giovanna d’Arco del 1845 solo 42 anni dopo, nel 1887 con Otello, il teatro milanese tornò ad ospitare prime assolute del musicista bussetano ad eccezione di alcune ‘prime italiane’ di opere prodotte per teatri esteri (Aida, Forza del Destino). Un aspetto questo che stride con il sentire comune che vuole Verdi indiscutibilmente legato alla Scala.
Nello stipulare il contratto per Ernani alla Fenice, Verdi avanzò richieste di alcuni elementi indiscutibili di autonomia. Principalmente mano libera per la scelta del librettista sulla base di soggetti da lui stesso proposti e non, come nelle prime opere, accettare un libretto già predisposto sul quale poi doveva, poi, costruire una partitura. Fu un passo avanti notevole per il già affermato, ma ancora giovane Verdi, perché proprio per questa occasione veneziana entra nella sua vita artistica il poeta muranese Francesco Maria Piave, allora molto giovane e alle prime esperienze. Fu una scelta determinante perché Piave fu il più prolifico librettista di Verdi per il quale scriverà ben 10 libretti. Sarà la personalità ideale per il musicista che esponeva le sue necessità letterarie e il Piave da abile versificatore sapeva porre in versi quanto richiestogli. Inoltre era disponibile per qualsiasi cambiamento, sostituzione di versi, tagli e inserimenti di scena o di parte di esse. L’opera in gestazione veniva così ‘modellata’ riducendo al minimo le discussioni o le diatribe che spesso nascevano tra poeta e musicista. L’altra libertà richiesta era l’autonomia sulla scelta dei cantanti che Verdi, molto esigente sotto questo aspetto, pretendeva affini alla linea vocale immaginata per ‘rappresentare’ la personalità di ogni personaggio. Viene con sé, quindi, che Ernani segna l’inizio di una non molto velata ‘rivoluzione’ che porterà negli anni alla definizione del teatro musicale di Verdi.
Inoltre con Ernani si delineano i modelli dei personaggi maschili verdiani che saranno la base per molte sue creazioni. In quest’opera, i tre principali ruoli maschili, possono essere considerati veri e propri prototipi. Il protagonista Ernani è il tenore-eroe-innamorato che avrà poi molti simili nella produzione verdiana così come la parte del baritono, Don Carlo, personaggio nobile d’animo, spesso amante non corrisposto, al quale viene sempre dedicata una linea di canto aristocratica e suadente per finire con il ruolo del basso, Silva, vero ‘precursore’ di parti mitiche come Fiesco, Procida o Banco.
Nell’azione di Ernani si assiste ad una sorta di bilanciamento tra impulsi amorosi e moti d’onore ai quali si aggiungono anche sentimenti di carattere eroico. Questi elementi sono anche la base per un incontrastato, quanto incontenibile, spirito romantico dovuto non solo ai brani solistici ma anche ai numerosi pezzi d’insieme inseriti come duetti e terzetti per giungere al grandioso atto terzo dove la fusione tra coro e solisti giunge ad una coralità di alto livello di coinvolgimento. Si materializza, inoltre, quello stile ‘risorgimentale’ che ha caratterizzato Verdi con riflessi fino a Un Ballo in maschera e che avrà risvolti esaltanti in Attila e Battaglia di Legnano. Ernani, conquistò il pubblico fin dalla prima veneziana del 9 marzo 1844 per rimanere stabilmente in repertorio fino ai nostri giorni; pur appartenendo agli ‘anni di galera’ di Verdi, resistendo anche alle smanie innovative del periodo cosiddetto ‘verista’ non è stato dimenticato e, quindi, non ha avuto la necessità di essere inserito in quel processo di ripescaggio al quale sono stati sottoposti, specialmente nel secondo dopoguerra, molte opere di quel particolare periodo creativo verdiano.
Fatte queste brevi ma importanti premesse iniziamo a riferire dello spettacolo partendo dall’allestimento scenico. Come anticipato è stato utilizzato un allestimento che l’argentino Hugo de Ana produsse per il Teatro dell’Opera nella stagione 2013-2014 e coprodotto con il Sydney Opera House. Finalmente abbiamo potuto assistere ad una parte visiva del tutto in linea con il libretto sia per l’epoca di ambientazione (anno 1519 riporta il libretto) sia per il rispetto di quanto lo svolgimento della trama propone. Una parte visiva impreziosita dalla bellezza dei costumi e dalla cura dei movimenti scenici non solo delle scene d’insieme, che in Ernani sono molte ed impegnative, ma anche per i movimenti dei singoli personaggi dei quali rispetta i caratteri e la personalità originale. Dalla visione d’insieme si capisce che de Hana, che peraltro, oltre alla regia ha curato scene e costumi, è un profondo conoscitore del teatro d’opera in tutte le sue particolarità e sfaccettature osservando il pieno rispetto della tradizione e della volontà degli autori.
Si può considerare questa recita romana di Ernani come uno spettacolo di ‘rottura’, intesa nel senso di recupero del passato e della dignità della rappresentazione che, oggi, in tutto il mondo è colpita profondamente da messe in scena strampalate e del tutto avulse dallo spirito e dalla volontà dell’autore, quasi sempre ostaggio di registi che cercano il ‘nuovo’ a tutti i costi spezzando frequentemente quel rapporto tra palcoscenico e pubblico che sovente dimostra, inascoltato, il poco gradimento di quanto visto e ascoltato.
La prova di quanto abbiamo appena detto è stata la recita alla quale abbiamo assistito, seguita con interesse e concentrazione dal pubblico per tutta la durata dell’esecuzione che ha contribuito al caloroso successo finale dello spettacolo.
Per quanto riguarda la compagnia di canto gli organizzatori del teatro romano hanno scritturato una serie di cantanti di straordinario spessore. Nella parte di Ernani c’era il tenore Francesco Meli, uno dei più in vista di oggi soprattutto nel repertorio verdiano. Pur se la sua voce risulta non particolarmente potente, cosa che penalizza un po’ i momenti eroici, possiede comunque una buona tecnica di canto che gli consente di esaltare i momenti più lirici nei quali, grazie ad una linea vocale piuttosto duttile, riesce ad esibire una non comune eleganza e facilità nelle emissioni che donano ai personaggi da lui interpretati un ‘pathos’ di grande presa e il suo Ernani risulta, in definitiva, del tutto valido.
Nella parte di Elvira c’era la portentosa voce del soprano statunitense Angela Meade che riesce a dominare la particolare tessitura di questa difficilissima parte che passa con grande facilità e frequenza dal registro grave al registro acuto per regalarci una Elvira del tutto convincente che, se escludiamo qualche indecisione nell’aria di sortita, non è mancata nel seguito dell’opera di temperamento e di momenti esaltanti per una interpretazione che è cresciuta di intensità con il procedere dell’esecuzione.
Entrambi i cantanti, Angela Meade e Francesco Meli, hanno interpretato con assoluta intensità la parte finale dell’opera nella quale sono riusciti a dare al pubblico quel senso di commozione e di compassione per la triste storia dei due sfortunati personaggi vittime entrambi delle consuetudini e delle usanze dell’epoca rappresentata.
Nella parte di Don Carlo un altro grande cantante di oggi, il baritono provenzale Ludovic Tèzier, anche egli in possesso di un notevole impianto vocale che ha utilizzato a pieno per esprimere tutta la regalità e la nobiltà del personaggio. Pur se la sua voce risulta all’ascolto un po’ chiara, domina comunque le emissioni riuscendole a modellare per dominare la difficile linea vocale imposta da Verdi al personaggio al quale abbina un notevole volume di voce ed una pronuncia italiana del tutto valida.
Il personaggio di Don Ruiz Gomez de Silva è stato affidato al basso russo Evgeny Stavinsky, anche lui un cantante dalla affascinante linea di canto al quale è mancata però una certa immedesimazione nelle vicissitudini del personaggio per il quale, comunque, ha saputo dare una interpretazione senza dubbio valida.
Completavano la compagnia di canto il mezzosoprano Marianna Mappa Giovanna, il tenore Rodrigo Ortiz Don Riccardo e il basso Alessandro Della Morte Jago tutti appartenenti al Progetto “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma.
Di rilievo è stato anche l’apporto del Coro del Teatro dell’Opera di Roma diretto da Roberto Gabbiani, giunto ad Ernani dopo le recenti e difficili prove di Turandot e I Puritani, molto applaudito non solo uno dei momenti topici di Ernani, il terzo atto, ma anche in tutto il resto dell’impegnativa parte che Verdi ha affidato alla compagine corale.
Marco Armiliato ha guidato con sicurezza l’Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma riuscendo ad amalgamare la parte strumentale a quella di coro e cantanti, curando quella particolare cantabilità verdiana che assieme ai momenti eroici sono fondamentali per la resa dei capolavori di Giuseppe Verdi.
Al termine della recita (7 giugno) il pubblico ha applaudito a lungo tutti gli interpreti decretando un chiaro e lusinghiero successo per una recita che ci è apparsa del tutto coinvolgente.
Claudio LISTANTI Roma 12 Giugno 2022