di Daniela PUGGIONI
Aida è un melodramma molto amato e la risposta entusiasta del pubblico l’ha confermato: tutte le recite hanno registrato il tutto esaurito; un risultato quasi inaspettato dopo la pandemia.
A Roma, l’attesa del pubblico è stata premiata da uno spettacolo lungamente applaudito, che ha avuto una riuscita corale grazie alla parte musicale che ha visto Michele Mariotti sul podio, un cast di alto livello, la cui punta di diamante è stato Gregory Kunde, arrivato in emergenza e catapultato direttamente in scena alla prova generale e l’affascinante resa teatrale creata da Davide Livermore con il suo team. La recensione di questo spettacolo è riferita alla recita del 9 febbraio scorso.
La prima assoluta di Aida ebbe luogo al Teatro dell’Opera del Cairo il 24 dicembre 1871; il successo ottenuto quella sera fu il primo riconoscimento del suo grande valore nella produzione operistica verdiana. L’opera è significativa, sia per drammaturgia, sia per il diverso procedimento compositivo, ideato da Giuseppe Verdi; una ulteriore e importante tappa del rinnovamento operato dal compositore nel teatro in musica.
La proposta di Aida arrivò a Verdi nella primavera del 1870 da Camille Du Locle, librettista, impresario teatrale e regista teatrale francese, che divenne amico del compositore in occasione dell’esperienza parigina di Don Carlos, andato in scena l’11 marzo 1867. La proposta arrivò in un periodo non felice per Verdi per la morte di Antonio Barezzi, padre della prima moglie Margherita, che fu un vero e proprio mecenate, una personalità determinante nei primi passi della carriera del musicista.
A questo si aggiungeva il fallimento della proposta di Verdi per la composizione di un Requiem per Rossini, con i singoli brani affidati a tredici musicisti diversi, compreso lo stesso Verdi, per essere eseguito il 13 novembre 1869, giorno dell’anniversario della morte di Rossini, nella Basilica di San Petronio a Bologna. Il progetto fallì perché fu avversato dal mondo musicale di allora, fatto che costrinse Verdi, amareggiato per il trattamento ricevuto, a ritirarla.
Du Locle sottopose vari soggetti a Verdi, che fu attirato dalla trama di un soggetto teatrale di quattro pagine per un’opera ambientata nell’antico Egitto scritta dall’egittologo francese Auguste Mariette, archeologo illustre per lo studio dell’Egitto antico. Aida nacque grazie alla cospicua committenza – 150.000 franchi, il triplo del Don Carlos – di Ismail Pascià, viceré d’Egitto, desideroso di un evento mediatico che rinnovasse l’attenzione verso il paese, dopo il successo all’esposizione universale di Parigi, e che ne evidenziasse la specificità.
Camille Du Locle scrisse un libretto in francese che, secondo gli accordi, doveva essere poi realizzato in italiano da un librettista scelto da Verdi. La scelta cadde sul poeta Antonio Ghislanzoni, che 1869 aveva già collaborato con il compositore per la revisione de La Forza del Destino, relativamente al nuovo finale dell’opera. Il musicista ne rimase soddisfatto al punto che affidò a Ghislanzoni il testo italiano di Aida.
Il libretto fu scritto, come di consueto con la supervisione di Verdi; molti furono i cambiamenti voluti dal compositore, che riguardavano in particolar modo il personaggio della principessa Amneris, grande antagonista di Aida nell’amore per Radames e per questo causa del tragico epilogo
La realizzazione scenica dello spettacolo fu affidata interamente ad Auguste Mariette che, in base alle sue profonde conoscenze di archeologo, ideò l’impianto scenico e i costumi per dare a tutto lo spettacolo l’impronta egizia. La Guerra Franco-Prussiana iniziata nel luglio del 1870 causò la chiusura dei confini, che furono riaperti nel maggio del 1871, solo con la conclusione della guerra e della Comune di Parigi. Nell’impossibilità trasferire il lavoro di Mariette al Cairo la data della prima assoluta di Aida fu spostata dal gennaio 1871 al 24 dicembre 1871.
Per la prima volta, con Aida, il musicista sentì la necessità di ottenere un suono ed una visibilità diversi in sala con l’affossamento dell’orchestra rispetto al piano della platea. È un chiaro riferimento al cosiddetto Golfo mistico propugnato da Wagner, una scelta che dimostra come Verdi sia in sintonia con la sua epoca. Questa soluzione a partire dal ‘900 fu adottata in tutto il mondo.
Per quanto riguarda la parte vocale, coerentemente all’affinamento della resa dei dialoghi per lo sviluppo di una drammaturgia pienamente teatrale, il drammaturgo Verdi mostra la piena conquista del declamato melodico, fondamentale per rendere l’azione interamente comprensibile senza rinunciare al fascino della melodia. Nella sua produzione questa visione di teatro in musica, seppur abbozzata, è sempre presente fin dalle opere giovanili; non a caso già Silvio D’amico lo considerò il nostro grande drammaturgo ottocentesco. Ormai cabalette e arie, intese in senso classico, sono del tutto superate, salvo qualche reminiscenza soprattutto per il personaggio di Amonasro, ma per il resto è tutto dedicato all’azione e allo sviluppo drammatico.
In Aida come in Don Carlos l’impianto del Grand-Opéra francese rimane nella grandiosa scena del trionfo e conserva una notevole parte dedicata alla danza: la danza delle sacerdotesse nella scena della consacrazione della spada nel primo atto, nella prima scena del secondo atto la danza dei piccoli schiavi mori nell’appartamento di Amneris e nella scena del trionfo al secondo atto. Il cuore della vicenda, in cui emergono la personalità e i contrasti sentimentali dei tre personaggi centrali: Aida, Amneris e Radames, è però intensamente intimista. Verdi sceglie sempre la forma musicale più adatta per esprimere e definire una situazione drammatica; per questo motivo la padronanza linguistica, la corretta articolazione delle parole e il fraseggio sono decisivi nella aderenza alla musica e alla resa del personaggio. Non basta saper cantare, bisogna saper recitare e viceversa, questo rende il melodramma così arduo da mettere in scena, ma anche così affascinante.
Davide Livermore ha affermato di aver voluto evocare l’atmosfera grandiosa del film Cabiria di Giovanni Pastrone, un colossal di enorme successo quando uscì nelle sale, negli apparati scenici cinematografici fu utilizzata l’esperienza artigianale delle scenografie e dei costumi dei teatri d’opera. Un altro esempio fu Luigi Sapelli, in arte Caramba, di cui in occasione di questa Aida nel Foyer del Teatro sono esposti i costumi creati per l’opera verdiana. Nella messa in scena si sono usate le proiezioni in cui domina la sabbia a ricordare il deserto che circonda l’Egitto, dono del Nilo. È stato utilizzato, anche un parallelepipedo in ledwall, su cui con le luci led si può creare rapidamente una scena come un muro dorato con iscrizioni in geroglifico e altrettanto rapidamente farla scomparire, come immagini di un sogno o una evocazione di un mondo scomparso.
Ci è parsa particolarmente efficace e suggestiva nella scena del tempio con la consacrazione della spada, nel primo atto, in quella del terzo dove le luci disegnano un tempio e i colori richiamano lo scorrere del Nilo e l’atmosfera notturna e nei toni violenti ma significativi del rosso nella prima scena del quarto atto quando viene condannato a morte Radames. Le luci sono state realizzate da Antonio Castro mentre per la parte video fondamentale è stata la partecipazione di D-Wok.
L’dea registica di Livermore si sviluppa dal ritrovamento di resti umani, durante lo svolgimento del preludio, e come in una evocazione di spiriti vengono richiamati in vita a raccontare la loro vicenda. Il dramma si conclude con la morte in solitudine di Radames, perché, come ha dichiarato Livermore, è inconcepibile che Aida possa eludere la custodia delle guardie e del resto è già morta. Aida così appare nel delirio di Radames morente in una scena sempre più buia, entrambi poi riappaiono e si muovono insieme verso una luce sfolgorante.
La scena ci ha ricordato certi dipinti di Gaetano Previati, in una evocazione di due anime che si ricongiungono dopo la morte. Una visione romantica e affascinante che vuole evidenziare il cuore della vicenda di Aida e Radames, una donna e un uomo di etnie diverse e nemiche, che provano un amore così potente che sopravvive alla morte in un’altra dimensione. Gli elementi scenici di Giò Forma sono appropriati e stilizzati e i fastosi costumi di Gianluca Falaschi sono eleganti, splendidi nei toni del bianco, nero e oro, le acconciature e i lunghi strascichi di Amneris ricordano i costumi del cinema muto.
Il lavoro di Livermore con i cantanti è stato incisivo e accurato in particolare per i tre protagonisti. L’idea di evocare la gestualità del cinema muto è stata di grande impatto visivo nello scontro tra Radames e Amneris. Nel quarto atto abbiamo visto la Amneris che, implorante, si avvinghia per trattenere l’amato e si getta ai suoi piedi con il grande strascico che si apre, mentre Radames, sprezzante, la guarda; una scena ci ha ricordato scene celebri del muto come quelle de Il figlio dello sceicco.
La parte dello spettacolo che ci è parsa meno riuscita è stata quella coreografica e mimica, che spesso sembrava avulsa dal contesto o eccessiva, anche se è stata l’unico elemento mobile nella realizzazione statica della scena del trionfo.
Un grande Gregory Kunde, arrivato all’ultimo momento a causa di una indisposizione di Fabio Sartori, ha interpretato magnificamente Radames, un ruolo notevolmente faticoso, senza mai rivelare alcuna fatica o sforzo, al contrario mostrando una notevole freschezza fino alla fine quando è richiesto un dolce pianissimo. Kunde ha esibito una emissione vocale limpida e sicura, un superbo legato, un incisivo fraseggio che faceva intendere ogni parola con grande espressività e acuti luminosi e potenti e una grande presenza scenica.
Krassimira Stoyanova ha interpretato efficacemente Aida, ha superato elegantemente le insidie tecniche di questo arduo ruolo. Ha una bella voce dal timbro morbido, che sa ben usare nei pianissimo come nei potenti acuti e sa ben muoversi in scena. È un peccato che soprattutto nei momenti di maggiore concitazione non si capiscano le parole poiché non riesce a scandirle, indebolendone la forza espressiva.
Ekaterina Semenchuk, è stata un’eccellente Amneris, ha esibito il suo splendido timbro scuro e vellutato, si muove con disinvoltura in scena e ha mostrato grinta e autorevolezza, non disgiunta da una grande sicurezza vocale negli acuti come nelle mezze voci, cosa che le ha consentito sottigliezze nelle sfumature richieste nei dialoghi anche se, sebbene in modo minore, non riesce a far comprendere tutte le parole.
Vladimir Stoyanov si è ben calato nel ruolo di Amonasro, ha una bella voce baritonale, è sicuro ed elegante nel canto ed evita tutte le grossolanità, troppo spesso usate dai baritoni nel violento duetto con Aida; ha inoltre un’ottima dizione che aumenta l’incisività vocale nei dialoghi e possiede una efficace presenza scenica.
Riccardo Zanellato con la sua voce cupa di basso è stato un autorevole Ramfis e si è ben disimpegnato in tutti aspetti scenici e vocali della parte, deliziosa in uno sfolgorante abito dorato, Veronica Marini ha prestato la sua bella voce sopranile, sicura, chiara e luminosa all’interpretazione della Gran Sacerdotessa. Il basso Giorgi Manoshvili è stato un Re opaco, bene Carlo Bosi come Messaggero.
Il Coro sotto l’esperta guida del maestro Ciro Visco, ha ben risposto alle esigenze interpretative del direttore e si è disimpegnato autorevolmente nel suo ruolo, contribuendo pienamente alla riuscita dello spettacolo. Il pubblico lo ha lungamente applaudito quando, al termine del secondo atto, si è insolitamente aperto il sipario con solo il coro che invece era assente alla fine. Il maestro Michele Mariotti ama molto questa opera, lo dimostra la particolare attenzione che riserva ai colori dell’orchestra che creano le atmosfere delle diverse scene, alle dinamiche e al respiro melodico della musica.
Scroscianti e prolungati applausi hanno salutato la conclusione dello spettacolo
Daniela PUGGIONI Roma 12 Febbraio 2023