di Mario URSINO
“Bellezza e Bizzarria” nelle sculture di Andrea Spadini
Se fosse nato tra la fine del Seicento e i primi del Settecento, Andrea Spadini (1912-1983) probabilmente sarebbe stato ben accolto alla corte di Luigi XV, o nella Monaco di Baviera dei Wittelbach, e avrebbe operato in sintonia con gli artisti francesi e tedeschi, secondo lo stile rocaille, allora di moda. Per una curiosa e moderna analogia, e per una specie di sortilegio, questo spirito del passato è transitato e rivissuto, a me pare, nelle opere del figlio del noto pittore Armando Spadini (1883-1925), l’artista che ha immortalato scene di vita e degli “affetti famigliari”, dipingendo autoritratti con la moglie, con madri e bambini, e, come ha scritto Lionello Venturi “… Armando Spadini abbandona i tumultuanti effetti di luce (siamo nel clima della Secessione Romana del 1913, n.d.A.) per amore della soavità del modellato, della fioccosa morbidezza, della trasparenza delle tinte…”.
Niente di tutto questo nelle opere del figlio Andrea, elaboratore di fantasiose sculture,
anche se si era formato sui classici e attraverso attente visite alla Galleria Borghese, ancora bambino, accompagnato dal padre. Dovette qui insinuarsi in lui il gusto per il dinamismo della scultura barocca berniniana, e quindi ne assimilerà i moti e l’agitazione del movimento nelle sue opere, al di là di mode e tendenze artistiche tipiche degli anni Cinquanta-Sessanta.
Come è noto, egli cominciò giovanissimo a far pratica a Firenze alla scuola di Libero Andreotti (1875-1933), scultore, ceramista, dedito a lavori classicheggianti e monumentali, ma non esente da prove e rese di agilità di modellato, come si vede nel gesso Coppia di levrieri, 1914c. [fig.1], Pescia, Gipsoteca; sarà forse anche per questo che il giovane Andrea arriverà a realizzare il dinamico Cavallo e cavaliere, 1965-66 [fig. 2], grande terracotta, cm.150×150: figure lanciate nell’aria si direbbe dall’alto di una rupe; e la numerosa produzione di animali danzanti, e come fantasiosi suonatori di strumenti musicali? Non sarebbe da escludere. Ma c’è di più. Poiché a Firenze il giovanissimo Andrea Spadini non poteva ignorare le sculture disseminate nella città, e soprattutto quelle più bizzarre, e si pensi al cosiddetto Diavolino [fig. 3], il bronzo posto all’angolo di Palazzo Vecchietti con via Strozzi, o al grandioso Appennino [fig. 4] del Giambologna, che giganteggia, metà uomo barbuto e fluente e metà montagna, nel giardino della Villa Demidoff, e alla Grotta del Buontalenti, nel giardino di Boboli, dove emergono dalle pareti rocciose figure e animali, ancora grondanti di fogliami [fig. 5],
che potrebbero aver ispirato la bellissima ceramica invetriata, Inverno, 1958, cm.106×44 [fig. 6] di Andrea Spadini; e sempre nel giardino di Boboli sono presenti sculture di tritoni e scimmie [fig. 7] (quest’ultime, come vedremo, saranno oggetto frequente nelle terrecotte e ceramiche dell’artista); non ha potuto inoltre ignorare, il giovane Spadini, durante il suo apprendistato a Firenze, la Fontana dei mostri marini del 1629 [fig. 8], in piazza dell’Annunziata, con i “leggiadri mostri di Pietro Tacca”, secondo le parole Mario Praz, che delle sculture bizzarre è stato un illustre studioso; ecco come il famoso anglista descrive la fontana: “Non hanno la rude violenza delle gargolle medievali, ma una grazia elegante, alessandrina, che accompagna ogni curva, ogni fossetta, ogni piega dei corpi orridamente leggiadri…”.
Praz, con il suo ponderoso volume Bellezza e Bizzarria, “Il Saggiatore”, Milano 1960, ha redatto un insuperato testo, in materia di stranezze artistiche e letterarie, dal quale io, immodestamente, ho titolato questa nota su Andrea Spadini. Eppure al Praz è sfuggita la personalità eccentrica di questo artista, che, appunto nel 1960, si era già messo in luce in ambiente romano, e, quasi contemporaneamente, a New York. E sebbene Praz, grande studioso, con il suo occhio implacabile, abbia dedicato alcune pagine a Fabrizio Clerici (1913-1993) nel volume sopra citato, purtroppo non si è ricordato dell’Andrea Spadini (si vedano in mostra, i bozzetti per Villa Cicogna dei Mori in cornice, 1952), che proprio con Clerici aveva lavorato nella dimora veneziana della contessa Cicogna. Ma è un fatto ineluttabile che da Mario Praz abbiamo imparato molto sul suo concetto della “linea serpentinata”, che dal manierismo cinquecentesco attraversa il barocco, e si impone nella architettura, nella scultura e nella decorazione rococò.
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Dopo Firenze, Andrea Spadini maturerà altre fondamentali esperienze formative classicheggianti
sia dal Novecento sarfattiano, che dalla Scuola Romana (si veda, per esempio, Fanciulla con uccello, 1939 [fig. 9], con qualche riferimento addirittura in leggero anticipo sulla scultura della Antonietta Raphael, v. Mafai con gatto, 1942, fig. 10), come mi ha fatto notare Monica Cardarelli, curatrice della bella mostra antologica, Andrea Spadini. 1912-1983 [fig. 11] (fino al 18 maggio): un’ottantina di opere fra sculture di materiali vari (marmi, pietre, terrecotte, maioliche invetriate o smaltate, e disegni per gli studi preparatori delle sue stesse sculture), distribuite in tre diverse sedi: in via Margutta 53, nella storica Galleria W. Apolloni, dove un tempo erano i famosi atelier per artisti nel Palazzo Patrizi (dove anche Picasso lavorò nel 1917) sono esposte le sculture di maggiori dimensioni, su cui domina lo spettacolare Lazzarone Napoletano, 1958, in terra bianca, cm.107x58x107 [fig. 12];
da notare in questa grandiosa scultura, non solo i minuziosi dettagli con cui descrive con naturalismo berniniano lo scivolone del mariuolo con le monete rubate ben incise, che cascano dappertutto, ma anche il rigore dell’equilibrio formale stabilito tra lunghezza e altezza (107x58x170), un criterio adottato anche nell’altra scultura sopra citata, Cavallo e cavaliere (150×150), entrambe iscritte in un’ideale forma geometrica, la prima in un rettangolo e la seconda in un perfetto quadrato; ancora un’osservazione peculiare che denota una predilezione di Andrea Spadini per la linea della curvatura “a canoa”, che caratterizza la grande scultura del Lazzarone, ed era già presente nelle elegantissime ceramiche invetriate delle scimmie in canoa, in gondola, o scimmie navigatrici del 1955-1956 [fig. 13], come pure nelle ceramiche bianche colorate, Il Gange e Il gioco del Tevere, del 1958, che tutte richiamano, a mio avviso, la già citata secentesca Fontana dei mostri marini, di Pietro Tacca, collocati appunto su un movimentato natante di motivo “a canoa”, talmente riccioluto da prefigurare il tardo settecento del Rococò.
Molti sono anche i disegni dello Spadini presenti nelle altre due sedi della mostra, insieme alle sculture;
in via Monterone 13, nella Galleria Del Laocoonte, sono presenti quei lavori giovanili classicheggianti di cui si è detto più sopra; infine nello Spazio Espositivo di via del Babuino 136 sono collocate le deliziose sculture di piccolo formato in bronzo e le ceramiche, di cui si è detto e altri bizzarri lavori: scimmie ballerine, scimmie vanitose [fig. 14], nani suonatori, elefanti con obelisco (memoria del Bernini in Piazza della Minerva a Roma?), gatti, cani, persino un Uomo roccia [fig. 15], una singolare ceramica (che più berniniana non si può), del 1980, un Pulcinella nell’obelisco del 1965, e altre amenità varie per la gioia dei collezionisti del genere. Un lungo lavoro accurato, condotto con puntuali ricerche d’archivio, quando i galleristi sono anche storici dell’arte, come Marco Fabio Apolloni, e Monica Cardarelli, appunto curatrice della mostra in oggetto.
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Secondo ulteriori notizie biografiche, sappiamo che Spadini era stato assistente a Monza di un altro grande scultore, Arturo Martini (1889-1947),
al quale dovette guardare con maggiore attenzione, a mio avviso, per lo slancio di alcune figure arcaiche e modernissime del maestro trevigiano, come i noti gessi del 1935, Amazzoni spaventate, o l’Ulisse, a Vicenza, Palazzo Thiene [figg. 16-17]. Ha partecipato poi a lavori più ufficiali per il Padiglione Italiano dell’Esposizione Universale di New York del 1939 (per la storia di questa famosa esposizione americana, poco prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, si veda il mio articolo apparso su questa rivista nel novembre 2018). Spadini ha inoltre lavorato anche per l’ E42. Nel dopoguerra, insieme all’amico Fabrizio Clerici è presente a Venezia, come già detto, per le decorazioni di Villa Cicogna. Ma le prime opere di maggiore fantasia furono create per la storica Galleria L’Obelisco di Gaspero Del Corso e Irene Brin, lavori in ceramica di vari soggetti, obelischi e animali modellati con brio ed eleganza:
“E’ straordinario vedere come Spadini (che quale ceramista prende lo pseudonimo di Lo Spada) giuochi sul rapporto fra tecnica e tema e arditamente rinnovi la grande tradizione della ceramica settecentesca, specialmente quella delle manifatture francesi e austriache” (Lorenza Trucchi, 1989).
Non può essere escluso, inoltre, come descritto più sopra, il ricordo delle bizzarre sculture fiorentine e le manifatture Doccia Ginori al Museo Stibbert. Le ceramiche dello Spadini, quindi, soprattutto fra gli anni Cinquanta-Settanta, per la loro originalità, conquistarono subito un pubblico esigente sia in Italia che in America. Il rapporto di Andrea Spadini con gli States fu dovuto ad un suo collezionista (con la passione per le scimmie), il conte Lanfranco Rasponi (1914-1983), “uomo di mondo”, come si diceva una volta, dai molteplici interessi, musica lirica, arte, scrittura, ampie relazioni sociali internazionali, titolare per un certo periodo della Sagittarius Gallery, a New York, dove nel 1956 si tenne la prima mostra di Spadini in America. Dal successo di questa esposizione, lo scultore presenterà le sue opere nel 1960 anche da Tiffany & Co nella elegante Quinta Strada di New York, che furono molto apprezzate da divi di Hollywood, come Lauren Bacall, Henry Fonda, Douglas Fairbanks jr.; sempre a New York, vanno ricordate le sculture in bronzo di animali suonatori e danzanti del 1964-1965: scimmia, capretta, ippopotamo (i modelli in creta sono esposti in mostra) che decorano e animano il grande Orologio Musicale [fig. 18] commissionato dal facoltoso editore americano George Delacorte (1894-1991), sito all’ingresso dello Zoo del Central Park, a Manhattan.
Anche in Italia, Spadini venne apprezzato da celebri personaggi del cinema, della moda e della mondanità, tra cui Alberto Sordi, gli stilisti Alberto Fabiani e Simonetta Colonna di Cesarò, di cui modellò una originale, elegantissima ceramica invetriata, Leda e il Cigno, 1959, cm.80x52x27 [fig. 19], di gusto serpottiano, se la si confronta con la splendida Fortitudo [fig. 20],una delle numerose sculture a Palermo, nell’Oratorio del Rosario in San Domenico, decorato, tra il 1710-1717, dal celebre plastificatore settecentesco siciliano Giacomo Serpotta (1652-1732).
Mario URSINO Roma aprile 2019